Decodificare il presente, raccontare il futuro

TREDICESIMO-PIANO


ven 10 aprile 2015

SOGNI OGGI, INCUBI DOMANI

Pensano di curare la malattia, e invece alleviano i sintomi

London City, ore 11:07 am

Prima e dopo la battaglia, non c’è che il silenzio. E ogni silenzio dice cose diverse.
Ci sono silenzi carichi d’imbarazzo e quelli pieni d’arroganza. Alcuni dissimulano, altri tradiscono. Le battaglie si consumano tra un silenzio teso, assordante, carico di attesa, e uno muto, inscalfibile, che copre il campo quando si spengono le urla dei vincitori e cessano i gemiti degli sconfitti.
È il silenzio del “dopo” che avvolge il floor di Bruno Livraghi. Il silenzio stanco delle grandi manovre appena concluse, o quello d’una sala macchina in cui i motori hanno smesso di vibrare dopo l’ultimo urlo della sirena.
Seduto alla sua postazione, Bruno lascia vagare uno sguardo indecifrabile nello stanzone. È come se non vedesse i trader che si allungano sulle poltroncine ergonomiche o i numeri che continuano a danzare nelle cornici degli schermi ultrapiatti. Sul viso del raider italiano, il velo di un’espressione ermetica non lascia intendere vittoria o sconfitta. Sembra impegnato solo a riprendere fiato, Bruno Livraghi.

USA, Maine, nello stesso momento, ore 6:07 am

Derek Morgan respira a fondo e riprende fiato, interrompendo i passi delle scarpe robuste. L’alba è ancora fredda. I sentieri di montagna, la sua casa di legno, se li concede quando sente di aver fatto quello che deve. Lontano da New York, lontano dalla grande banca.
Il vento fruscia tra i rami piegati dalla neve, qualche animale si muove sul ghiaccio che allenta la presa ai primi raggi, la primavera vicina. Soltanto questo rompe il silenzio. Derek ricomincia il cammino. A un’andatura sostenuta e costante, senza correre. Non gli basta quella pace intorno. Irrigidisce le dita serrate nel pugno, mentre cammina, e non c’entra il freddo.
Pensa alla battaglia che è stata combattuta. Alcuni hanno vinto, altri hanno perso. Ma una battaglia non è mai la guerra.

 London City, ore 11:15 am

L’espressione indefinita sul viso di Bruno, mentre siede su una montagna di profitti, è quella del vincitore che si sente svuotato. Ha montato il trade della vita in meno di quattro mesi. Ha alzato numeri da capogiro in poco più di novanta giorni. In una manciata di settimane, Bruno Livraghi ha fatto la performance di un anno, forse di due.
Tutto era cominciato a dicembre, mentre parlava con Derek tracciando ipotesi, valutando l’impatto di un cambio di governo ad Atene e le probabili risposte di Francoforte. Quel giorno d’inizio inverno l’Americano, senza dire, aveva detto. E così Bruno era corso a comprare tutto quello che c’era da comprare. Aveva montato un lungo all in. Periferia europea: obbligazionario, bond. Ma anche bancari ed Equity, soprattutto Italia e Spagna. Derek gli aveva mostrato l’angolo della scena rimasto in ombra. E in effetti, quando la discontinuità in Grecia e il QE avevano reso conveniente vendere, Bruno era lì: a vendere. Al posto giusto, al momento giusto. Anche se il “momento” era durato tre mesi.
«E adesso che facciamo, boss?» La domanda dà voce improvvisa al dubbio che lo tormenta.
Bruno si volta.
In piedi, accanto alla postazione, Mike tiene le mani in tasca. In un altro momento, il senso pratico e la schiettezza di quel corpulento trader dello Yorkshire gli avrebbe fatto piacere. In fondo è per questo che l’ha scelto come braccio destro.
Adesso però sente l’irritazione montare. E rimane a guardarlo, senza parlare, sperando che il silenzio non tradisca il dubbio.

USA, Maine, ore 6:15 am

Per Derek Morgan la finanza ha smesso da tempo di riguardare i soldi e ha cominciato ad assomigliare alla più sottile ed efficace forma della politica. L’Americano sente scorrere il torrente poco lontano. A dicembre era ghiacciato.
Che fare?
A volte le domande dei rivoluzionari sono le stesse dei difensori dello status quo. A volte, i migliori difensori dello status quo devono comportarsi da rivoluzionari. Funziona così dal Settecento. Dal Termidoro che segnò la caduta di Robespierre. Una rivoluzione contro la rivoluzione. È il miglior modo per conservare l’esistente.
Ancora silenzio, ancora la regolarità del suo passo, intanto che la luce s’incunea tra gli alberi e prende forza. Intanto che Derek si avvicina a destinazione.
Rimugina sulla cartamoneta pompata nel sistema, cataratta di liquidità che ha ingrossato la corrente dei profitti per chi saputo leggere la fase e muoversi di conseguenza.
La neve inizia a farsi fragile e con la primavera si scioglierà, alimenterà quel torrente che lui adesso sente scorrere in lontananza. E quella corrente da qualche parte dovrà pure andare. Anche sul mercato, i cacciatori non possono fermarsi troppo a lungo.
Alcuni punti del bosco non vogliono lasciar posto alla primavera. Sono i tratti dove l’ombra è più densa e il ghiaccio rimane compatto. Niente a che vedere con i tratti dove il sole batte, e il freddo non basta a evitare un lento sfaldamento, fradicio e fangoso. Il corso della natura, l’alternarsi delle stagioni. Eppure miliardi di euro stanno cadendo come in una nevicata tardiva, disponendosi in modo disomogeneo. Iniquo, direbbe qualcuno. Le banche centrali rispondono a modo loro ai pericoli di discontinuità e alle domande d’una crescita sempre mancata. Immettono nuovo denaro. Così i salari vengono compressi al ribasso, i prezzi degli asset schizzano in alto, i tassi rimangono a zero e il denaro si deposita dove ce n’è già altro. Conseguenze inevitabili di un Quantitative Easing. Oppure, secondo altri, effetti collaterali: come in una guerra.
Pensano di curare la malattia, e invece alleviano i sintomi.
Alla fine, però, arriverà per tutti il tempo del disgelo. E allora la schiuma d’una corrente impetuosa gonfierà una nuova bolla.
L’Americano arriva in prossimità della sponda del lago. Guarda sul lato opposto, e pensa al divario enorme che c’è oggi tra prezzi degli asset e fondamentali economici.
Quando i raider faranno kayak sulle rapide della nuova corrente di primavera, sarà come andare in guerra: in attesa del prossimo Crash.

London City, ore 11:20 am

«Boss, hai sentito?» insiste Mike.
Bruno fa un cenno d’assenso. Ha sentito. Ha sentito fin troppo bene. Il problema è che, per una volta, non sa cosa fare. O meglio: lo sa, ma sa pure quanto è difficile.
«Stiamo fermi» taglia corto e cerca di apparire sicuro.
Del resto, per fare soldi bisogna anche star fermi, diceva Warren Buffett.
Ma non esistono guerrieri se non esiste la guerra. E la pace non è fatta per Bruno Livraghi. Non si può sopprimere l’istinto di un animale rapace. E i flussi finanziari premono come fiumi impetuosi in cerca di greti in cui scorrere.
E come fa ad accettare l’inattività, chi vive di azione? Come fa a star fermo, chi ama la velocità? L’odore del sangue, il richiamo dei soldi.
Uno come Derek sì, pensa Bruno, in una fase del genere vedrebbe l’attesa del momento giusto, il grande preambolo, il rimuginare prima dello scacco.
Ma secondo Bruno il momento giusto si strappa, e si inventa. Non si aspetta, mai.
Con le dita tamburella sulla superficie del desk. Poi si alza in piedi, sposta il peso del corpo da una gamba all’altra. Per un attimo è come se si guardasse da fuori: si vede il ritratto dell’indecisione e della smania repressa.
Prende il cellulare dalla tasca della giacca, compone un numero. Quant’è difficile stare fermi,   pensa mentre la linea squilla libera.

USA, Maine, ore 6:20 am

Seimila chilometri a occidente, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, sul bordo di un piccolo lago, nella tasca di un pantalone di lana spessa, un cellulare comincia a vibrare.
Aveva tolto la suoneria, per non inquinare il silenzio della natura.
«Ti godi la vittoria?»
«Mi sto riposando. In montagna.»
«Mentre io sono ancora a Londra…»
«Quando imparerai a fermarti, Bruno?»
«In effetti pensavo a una vacanza… nello Yucatan.» L’Italiano smette di parlare per un attimo. Ci sono silenzi allusivi che dicono più di mille parole. «In Mexico» puntualizza riproducendo alla perfezione l’accento spagnolo.
«Sarebbe meglio il Mediterraneo, magari qualche isola dell’Egeo. È un buon consiglio.»
«No, no. Per un po’ niente Europa del Sud. Se riesco a non sentirne parlare, è già una specie di vacanza… » Poi, di colpo, Bruno cambia tono. «Hai visto il Messico, Derek? Ha emesso un bond perpetuo. Cento anni, al 4,5 in euro. Sembra uno scherzo, invece sta già andando forte. È tempo di muoversi…»
In quel momento è come se l’Americano osservasse il paesaggio che ha intorno con altri occhi. Lo infastidisce quell’approccio frontale, è una violazione alla regola del dire e non-dire. Gli antichi oracoli erano sibillini. Fissa la crosta sulla superficie del lago. «Qui, i laghi sono ancora gelati. È bello camminarci sopra. Ci si può pure pattinare. Stare sui mercati è come andare a una festa: finché c’è la musica, balli. Ogni cosa ha il suo tempo. È scritto anche nella Bibbia. Quando arriverà il caldo, il ghiaccio si scioglierà e allora dovrai stare attento a non finire in acqua, Bruno.» E Derek riattacca, senza aspettare risposta.

London City, ore 11:30 am

Maledetta la prudenza di Derek Morgan, anche se “prudenza” è la parola sbagliata.
Bruno guarda l’orologio sul display del cellulare. Appoggia due dita sulla superficie del desk, le trascina premendo i polpastrelli fino a rendere bianche le unghie.
Poi si siede e digita qualcosa sulla tastiera del computer. Lo schermo si riempie di una spiaggia assolata. Yucatan. La luce benaugurante del Messico, un sole tropicale che gli sembra irridere la montagna di Derek, e i suoi dannati laghi di ghiaccio.
Cento anni, al 4,5 in euro.
C’è solo da scommetterci contro.
È azzardo, ma non importa. Da qualche parte la corrente deve andare.
E sorride, Bruno Livraghi, come se stesse surfando sull’onda più alta.

USA, Maine, ore 6:30 am

Sulla sponda del lago, Derek pensa al paradosso che gli ha raccontato Bruno. Un Paese che vent’anni fa era la Grecia del continente americano, oggi emette bond al 4,5 per cento anni. Miracoli del Washington consensus, saggia adesione ai dogmi che consente al Messico di accedere al credito internazionale che conta.
Guarda un ramo che è rimasto incagliato nel ghiaccio, a pochi metri da lui. Il Messico plurifallito, il regno del femminicidio, il Paese la cui frontiera settentrionale è un’enorme striscia di cocaina, emette un titolo perpetuo che diventa attrattivo come una calamita. Una delle poste della nuova partita. Scuote la testa. Gli pare il segno della disperazione dei fund manager che non sanno più dove investire liquidi.
Pensa che il debito pubblico mondiale è enorme e continua ad aumentare, ma non drena più risorse dai mercati perché viene comprato dalle banche centrali grazie ai QE.
E adesso provate a chiamarli “effetti collaterali”…
La bolla deve ancora crescere prima di esplodere: la volontà di potenza dei raider non è ancora all’apice. Presto o tardi, in tanti cominceranno a ragionare come Bruno. E il ghiaccio prima o poi si scioglierà per tutti.
Ma non sarà oggi, né domani. E il compito di quelli come lui, Derek Morgan lo sa bene, è fare in modo che il ghiaccio resista in eterno e l’inverno non abbia mai fine, come in quelle montagne remote del Maine, la culla degli Stati Uniti d’America.

NEWSLETTER


Autorizzo trattamento dati (D.Lgs.196/2003). Dichiaro di aver letto l’Informativa sulla privacy.



LEGGI ANCHE: