Decodificare il presente, raccontare il futuro

TREDICESIMO-PIANO


ven 23 gennaio 2015

QUANTITATIVE EASING

Bce, Qe, la Germania. Sembrano i Balcani negli anni Novanta. Altro che unione monetaria

23 Gennaio 2015

Agganciati alla struttura in metallo, tutti assieme così, i quotidiani creano una sovrapposizione di titoli che assomiglia a un collage. O al gioco di un’illusione.
“QUANTITATIVE EASING: SESSANTA MILIARDI AL MESE FINO A SETTEMBRE 2016”. Derek Morgan solleva una mano, il cameriere si avvicina. “CONDIVISIONE RISCHI, BCE: 20%”. «Un bianco d’uovo.» Il cameriere annuisce senza esitare, e si allontana composto. Non sapesse mostrare disinvoltura di fronte a qualunque ordinazione, non lavorerebbe al Berkeley Hotel in Wilton Place, London City.
Davanti all’Americano, dall’altra parte del tavolo circolare collocato in un angolo della grande sala monocromatica detta “Blue Room”, Bruno Livraghi sfodera una smorfia ironica: «Lasci la parte nobile… Il rosso, Derek. Quella è la parte migliore. Dovresti buttare via il bianco».
«Che hai contro il bianco?»
«Niente. È solo la parte peggiore.»
«Dipende se consideri il gusto oppure le proprietà alimentari.» L’Americano incrocia le dita sulla superficie del tavolo. «Dipende da cosa cerchi.»
«Comunque non ero l’unico a essere disgustato.» Bruno accenna al punto dove un attimo prima il cameriere se ne stava impettito.
«A me non sembra.»
«Ti sbagli. Ha sollevato il labbro e stretto le sopracciglia.»
Quest’abilità, leggere il body language, pensa Derek, lo fa sentire un dio.
«E sbagliavi anche due mesi fa, a New York» continua Bruno. «Niente QE sull’Equity.»
Derek sospira. «Vedrai, è solo questione di tempo. Un giorno saremo arrivati anche a quello. Hai fretta, tu.»
Saremo arrivati. Bruno traduce mentalmente la formula dell’Americano provando l’immancabile fastidio. «E posso chiederti quando?»
«Un giorno…»
«Lo sai che diceva Keynes.»
Derek annuisce in silenzio. Sotto la fronte alta e spaziosa, il viso squadrato è una maschera inespressiva, gli occhi neri due abissi insondabili.
«In the long run we are all dead» recita Bruno scandendo ogni parola. «E quindi scusami se non mi preoccupo di variabili remote.»
«Conta quello in cui credi.»
«Montare il trade dei trade… Ti sembra una buona fede?»
Derek si stringe nelle spalle. «Mi sembra una fede buona per sopravvivere» conviene ambiguo. «Anche se non penso che volessi parlare di fede?»
Bruno si appoggia allo schienale della poltroncina azzurra e scuote la testa.
«Come la vedi?»
«E tu?»
«Non si risponde a una domanda con una domanda.»
«A volte è più utile una domanda di una risposta.»
Bruno socchiude gli occhi. «Un regalo di Francoforte ai Tedeschi, ecco come la vedo. Questo QE frammenta l’euro. Sicuro che le banche del Nord molleranno tutto il debito del Sud a prezzi altissimi. È un regalo enorme. Chi vuol vendere sta godendo.»
In quel momento il cameriere ritorna con un vassoio. Posa di fronte a Derek un piatto dov’è adagiato un budino biancastro insieme a un bicchiere lungo e stretto per Bruno.
«Adesso siamo solo all’inizio, il mercato è gasato» continua l’Italiano. «Ma tra un po’ di tempo leggerà male il no risk sharing e coi primi scricchiolii della periferia verrà l’inferno.»
«Il mercato non legge, Bruno. Il mercato reagisce in una sequenza infinita di riflessi condizionati.»
«Sarà, ma per me è un segnale di debolezza. Siamo al secondo tempo d’una strategia articolata. Due anni fa Francoforte diede soldi alle banche perché si imbottissero di titoli di Stato. Oggi, il debito, lo fa comprare alle banche centrali che scaricano il rischio sui contribuenti. A Roma, in via Nazionale, si riempiranno di BTP e per di più sui massimi. Giusto per farti l’esempio del mio Paese.»
Derek affonda la forchetta nell’uovo, lentamente, con metodo. «Il tuo Paese… Che per te vale quanto un altro.» Sorride, calmo.
Bruno non raccoglie la provocazione. «È un trucco» prosegue con voce atona. «Anzi, è ipocrisia, sembrano i Balcani negli anni Novanta. Altroché unione monetaria. Ogni banca centrale a comprarsi il debito del proprio Stato.»
Sorseggia il drink. Quindi ripone il bicchiere e apre le mani sul tavolo. «Prima o poi ci scateneremo contro la periferia, Derek. Una voce mi dice: “too fast too much”, e per ora taglio un po’ i lunghi.» Si concede una pausa per ghignare. Non è un sorriso. È la smorfia del cacciatore.
L’Americano tiene gli occhi fissi sul piatto, ma avverte il peso di quelle iridi che sanno leggere tra le righe, dando forma agli spazi bianchi, traducendo i silenzi in parole, cogliendo ciò che sfugge a sguardi normali. Ma senza riuscire a bucare davvero il velo del tempo, Bruno Livraghi. Vedi dettagli impercettibili, ma non guardi il futuro che conta.
La dote geniale compensata dal difetto d’uno strabismo invisibile. «E alla fine sarà guerra» sussurra Bruno.
Con un fazzoletto Derek si pulisce le labbra. Alza gli occhi. «Ti sbagli.» La luce ha un fremito dietro l’abat-jour rosso, l’unico elemento a spezzare il dominio cromatico che dà il nome alla sala. «Con questo colpo Francoforte avrà messo tutti sotto scacco. Bundesbank compresa. E guai a chi sgarra.» Sottolinea le parole toccando il piatto con la forchetta: «Bassa condivisione del rischio, acquisto del debito da parte delle banche centrali con gli euro freschi di stampa.
Gli effetti non saranno stati necessariamente negativi. Le debolezze dell’Unione si potrebbero trasformare in punti di forza.»
Bruno trattiene a malapena il fastidio che gli procura quel modo di parlare. “Avrà messo”, “saranno stati”. In Italia, quella coniugazione verbale, la chiamano “futuro anteriore”. Considerare un fatto a venire come trascorso, l’attesa che trasmuta in ricordo. Bruno sa che quel tempo linguistico ha a che fare col disprezzo della velocità. Che Derek considera il futuro semplice, quello che usa lui, una bassezza.
È come se volesse dire che non ce n’è bisogno, che il futuro anteriore curva immediatamente lo spazio-tempo trasformando ciò che sarà in un reperto archeologico. È come se volesse dire che Bruno ha una macchina di grossa cilindrata, mentre Lui, Derek Morgan, ha una macchina del tempo. L’Americano lascia la forchetta nel piatto, accavalla le gambe. «L’euro potrà anche essere una trappola evolutiva…» E tace per seguire il filo di pensieri remoti come se fosse da solo, come se Bruno non stesse seduto lì, a un metro. E si mette a pensare a quello che ha imparato sulle trappole evolutive. A come la civiltà degli uomini può illudere la natura. Esche, inganni. Che si trovano in qualsiasi habitat. Che riguardano tutte le specie animali. Albatros muoiono, pieni ma affamati, scambiando per cibo i pezzi di plastica. Nei cortili della Florida raganelle ingoiano piccole luci scambiandole per insetti. Certe scelte che sembrano giuste attraggono gli animali in un vicolo cieco.
«Derek.» La voce di Bruno lo strappa a quelle immagini.
«Pensa alla Bank of England… Ha il trenta percento del debito nazionale, incassava le cedole dal Cancelliere dello Scacchiere e poi le rimetteva sotto forma di dividendi, alla fine dell’anno. A un certo punto si sono stancati della partita di giro, e puff…» Le dita dell’Americano si aprono di scatto. Assomiglia al gesto d’un prestigiatore al termine della magia. «Fine del gioco. E questa non la vuoi chiamare ristrutturazione del debito per il trenta per cento? Come lo consideri un debito che giace infruttifero nelle banche centrali?»
Il cameriere si avvicina a ritirare il piatto vuoto insieme al bicchiere di Bruno. Appena sono di nuovo soli, Derek riprende a parlare: «Un nostro vecchio amico diceva sempre che per guardare gli aspetti d’una politica monetaria devi portarla all’esasperazione, solo così la riesci a vedere veramente. Dilata un’immagine, e tutto ti apparirà più nitido».
«O distorto» lo corregge Bruno.
«In questo caso la distorsione è funzionale allo sguardo. Pensa a Escher… È nel riflesso deformato della sfera che vedi chi la regge. Altrimenti saresti cieco.» Gli occhi, neri e profondi, sono due fessure. «Immagina che Bankitalia compri tutto il debito italiano e poi decida di fare la stessa cosa di Bank Of England. All’Italia sarebbe sufficiente avere un avanzo primario, per non andare più sul mercato a emettere debito».
«Va bene.» Livraghi alza le mani, i palmi rivolti verso l’interlocutore. «Te lo concedo. È un angolo non banale. È un ragionamento al limite, certo. Ma comunque, fosse anche il trenta per cento, per l’Italia sarebbe ossigeno.»
«E allora debiti abbattuti, bilanci più solidi, e voi a schiantarvi coi vostri “corti” sulla periferia.» Lo sguardo di Derek si perde oltre le spalle dell’interlocutore. Nel rettangolo della grande porta a vetri si è materializzato un uomo dalla corporatura robusta e il viso tondo su cui campeggia una coppia di gelidi occhi azzurri. Indossa completo e cravatta. Eppure i movimenti tradiscono qualcosa di rozzo. Sorride e alza una mano verso Derek che si limita a rispondere con un cenno del capo. Quindi l’uomo prende posto a un tavolo nell’angolo opposto della Blue Room.
Bruno osserva il riflesso nello specchio che occupa la parete di fronte. «Jason Reed» mormora alla volta di Derek. «Avrà saputo che eri a Londra.»
«Gliel’ho detto io.»
«Concorrenza leale» commenta Livraghi in tono ironico riferendosi al capo del fixed income “Europa” del secondo player di mercato. Un competitor diretto di Derek.
«Le parole sono ambigue.» L’Americano torna a fissare Bruno. «Si stampano euro senza generare troppa inflazione anche per il prezzo basso del petrolio. E con gli euro stampati si monetizza il debito.»
Bruno studia i movimenti del viso, delle spalle, delle mani. Un dubbio lo assilla. Il dubbio di sempre. Gli sta dicendo la verità? Oppure quella è l’ennesima mossa d’una partita a scacchi che l’Americano gioca sullo scacchiere del pianeta Terra e lui, Bruno, è un pedone tra tanti?
«La BCE include anche la Grecia. Ad Atene si finanzieranno quasi a zero comprando titoli all’otto e qualcosa di rendimento, a patto che non escano dal programma della Trojka. Altri effetti virtuosi: chiuderebbero un po’ gli spread e si recupererebbe consenso in periferia.»
Bruno è teso a leggere il linguaggio del corpo.
«Tra un paio d’anni, inflazione e crescita saranno ripartite. La scommessa è questa.» Derek fa un cenno al cameriere, ma prima conclude: «A voler guardare ancora più avanti, questo faciliterebbe l’Italia se mai decidesse di uscire dall’euro. Bankitalia si troverebbe già in bilancio i titoli italiani». E alla fine Bruno deve rinunciare: no, non ci riesce. Con l’Americano è impossibile interpretare i segni del corpo. Ha troppo controllo, non tradisce nessuna espressione in cui il suo talento da crittografo di esseri umani, esegeta di sentimenti, passioni e pensieri segreti, possa incunearsi.
Il cameriere è arrivato a prendere l’ordinazione. «Un altro bianco d’uovo» dice Derek. Poi torna a rivolgersi a Bruno. «La differenza tra noi e voi Europei è che voi avete visto declinare e cadere troppi imperi.» Indugia sulle parole “decline” e “fall”.
Bruno lo sa che sta citando Edward Gibbon. E sa anche che quella citazione è un riferimento all’Italia. The History of the Decline and Fall of the Roman Empire «Noi invece pensiamo e agiamo come se il nostro impero fosse eterno, e sul tempo lungo saremo stati invincibili.»

NEWSLETTER


Autorizzo trattamento dati (D.Lgs.196/2003). Dichiaro di aver letto l’Informativa sulla privacy.



LEGGI ANCHE: