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TREDICESIMO-PIANO


gio 12 marzo 2015

IL QE COME RELIGIONE

L’euforia è come la paura. È un virus che si diffonde senza controllo

Da: derek_morgan@xxxxxxxxxxxxx.com A: philip.wade@mail.birkbeck.ac.uk Data: 11 marzo 2015 17:39 Oggetto: Wait Until Spring
Dear Phil,
se c’è qualcosa che mi manca di Londra sono i prati di Regent’s Park in questo periodo, quando l’inverno è finito e la primavera fa le sue promesse. Erano altri anni, ma tu già portavi quei brutti maglioni e quelle giacche di tweed. Le prime giornate di sole mettevano Londra in uno stato di euforia, la gente abbassava la guardia.
Anche adesso c’è euforia, anche se non c’entra con la luce e i profumi della nuova stagione. I mercati si muovono, Phil. So che preferisci tenere il naso nei libri, riuscivi a farlo perfino in banca. Ma so pure che non ti sfugge quello che sta succedendo.
Abbiamo cominciato a scaricare la periferia europea, e i profitti si alzano. Ora abbiamo a chi vendere quello che prima abbiamo comprato.
Ma c’è tutta questa euforia, qui a New York, e bisogna stare attenti. Bisogna tenerla a bada. L’euforia è come la paura. È un virus che si diffonde senza controllo. Addormenta l’intelligenza, alimenta gli istinti. Penso al tuo Shakespeare. Penso a quello che scrive sulla primavera nei Sonetti.
A Manhattan si sentono le solite cose. Se il Quantitave easing fosse una religione, luoghi come questa banca sarebbero i suoi templi e molti di noi i suoi sacerdoti. Ne magnificano le sorti, Phil. Guardano quello che è successo qui, negli States, e sembra che abbiano trovato una nuova pietra filosofale. Con la printing machine al posto del segreto per trasmutare i metalli vili in oro. Dicono che Wall Street ha triplicato i rendimenti dall’inizio del nostro QE, che l’occupazione è in crescita, la produttività è aumentata e la ripresa tira. Dimenticano che c’è un oceano a dividere l’Europa e l’America.
Sono noiosi. Guardano i trilioni di moneta, e pensano a una piena capace di rinforzare la corrente di questo fiume su cui ogni giorno navighiamo scambiando, vendendo e comprando. Tempo fa, quando mi ero appena traferito a New York da Boston, ho regalato a mio figlio John una macchina per fare le bolle di sapone. In pochi minuti produceva migliaia di sfere iridescenti. Ho ripensato a quella macchina…
In questo grattacielo di Murray Street guardano tutti all’istanza reflattiva di ogni QE, anche di quello europeo, senza coglierne l’essenza politica. Non capiscono la forza del Whatever it takes che fu pronunciato a Francoforte. Sai che gli imbecilli guardano il dito, invece di guardare la luna. Studiano i mercati, muovono sulla street, senza comprendere quella particolare arte del possibile che insegna come modificare – o controllare – i rapporti di forza. Non intendono il nesso, la dialettica, tra le due cose. E poi ci mettono quest’euforia, che confonde tutto.
Il QE è un dispositivo politico, Phil. Un grande dispositivo. E politico è pure il piano di Francoforte. L’unico disegno – lungimirante – capace di anticipare repentine rotture di scenario (Atene) e al tempo stesso contenere l’“ideologia tedesca”, questo wagnerismo postmoderno.
Negli ultimi tempi la vittoria di Syriza, la forza eccessiva dell’euro, la svalutazione competitva di yen e dollaro, il rischio di certe manovre… “corsare” – quelle che altri definirebbero “speculative” – avevano determinato un cambiamento del quadro. E l’Eurotower ha colto il tempo giusto. A volte mi colpisce quante cose in comune ci siano tra chi si occupa dei mercati e chi conosce la politica.
Invece di farsi prendere dall’euforia, bisogna chiedersi se tutto questo sarà sufficiente, per proteggere i debiti pubblici europei da incognite destabilizzanti e dalle discontinuità più brusche. Non amo le cesure nette, lo sai.
Conosci l’Italia, Phil. Conosci Machiavelli, e conosci pure il romanzo di quello scrittore siciliano. Diceva: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».
Come andrà a finire in Grecia? E in UK, con le elezioni a maggio? E in Spagna con quelle di novembre? A quel punto sarà autunno, tu avrai ricominciato a mettere i tuoi brutti maglioni e un nuovo inverno sarà alle porte. Le stagioni passano, Phil. Non esiste abbastanza tempo per darsi le risposte. L’importante è farsi le domande giuste.
Derek Morgan
Da: philip.wade@mail.birkbeck.ac.uk A: derek_morgan@xxxxxxxxxxxxx.com Data: 11 marzo 2015 23:25 Oggetto: Re: Wait Until Spring
È cominciata presto la vostra primavera, Derek. Era ancora inverno. Ed è cominciata in Grecia. C’è un proverbio che ho imparato quando vivevo in Italia, dice: “La primavera di gennaio porta guai”.
Certo che i tuoi vedono le cose in modo strano. Da qualche tempo, per leggere metto un altro paio di occhiali. È vero che le stagioni passano. Alcune cose, però, continuo a vederle chiaramente.
Se il Quantitative easing fosse una religione, io lì in America sarei un senzadio. Che bella trappola, pretendere che ci sia ripresa economica con i salari fermi o in discesa, addirittura! Che inganno sopraffino il QE, che è attuabile in una cornice di deflazione salariale! Ovunque guardo nel mondo, la tendenza a precarizzare le condizioni del lavoro è un pilastro del QE. È fra le cose che ancora vedo chiaramente. Come vedo che in America la printing machine avrà pure ridotto la disoccupazione, certo, ma coi salari fermi.
Derek, quelli che tengono il naso nei libri si divertono a costruire immagini. Facciamo che l’Occidente sia un corpo umano: la risposta immunitaria naturale a questi fenomeni non ha funzionato. Niente aumento della domanda interna. Giù la disoccupazione, sì, ma i posti di lavoro recuperati sono quelli con i salari più bassi. Il QE ha avuto l’effetto del cortisone. Ha alleviato i sintomi, non le cause. Ha spento la reazione immunitaria del mondo del lavoro. Il risultato lo conosci: impoverimento della classe media, prezzi degli asset alle stelle, approfondimento delle diseguaglianze strutturali. Su tutto questo il QE ha pesato più della politica fiscale. Peccato che la ricerca di Piketty sia a due dimensioni invece a che tre.
Scrivi del Whatever it takes, Derek. È una mossa davvero politica, certo. La lettura è corretta. Ma per il momento mi dichiaro laico rispetto al rito francofortese di questa religione della cartamoneta. Scrivi Wait until spring. E ok, stiamo a vedere.
Di certo possiamo dire che in un colpo solo l’Eurotower prova a dare battaglia alla deflazione e a riequilibrare il costo del debito. Se sia efficace o no, ci resta il dubbio. L’unico effetto per ora sono i rally che corrono le borse e i bond. Il vostro scaricare titoli di Stato del Sud Europa a compratori sicuri, lo vedo anche da qui. Il QE europeo è politico: anche – e soprattutto – perché ristabilisce nuove condizioni nell’equilibrio debitorio tra Paesi. Comincia a introdurre quel “comune” che dall’altra parte della Manica è sempre mancato. Spinge i rendimenti dei titoli al ribasso, e tenta la difesa dei debiti pubblici. Costringe gli investitori, o i “corsari” – sei tu ad avere usato questa parola – verso investimenti che dovrebbero stimolare l’economia reale e la crescita. Mah, vedremo se sarà davvero così, oppure se certi Paesi verranno semplicemente messi in vendita a prezzo di saldo.
Negli anni ho imparato a conoscere la tua avversione per le cesure. Le controtendenze, però, le apprezzi. Nella tua alchimia di pesi e contrappesi, l’inversione di un trend è un elemento ri-equilibratore, introduce possibilità addomesticate. E allora ti dico che questo QE potrebbe determinare una controtendenza rispetto al secolare andamento di riduzione del tasso di profitto. E si colloca nel grande schema, il tuo schema?, come un raffinato strumento di lotta del capitalismo per la sua sopravvivenza.
A volte, mi sembri un funambolo, mi ricordi un trapezista che vidi da bambino, alle porte di Liverpool. Non sto a fare il sentimentale con te. Non ti racconto di un ragazzino incapace di stare fermo in classe al pensiero del circo, e di un padre che ce lo portava dopo il lavoro al cantiere. Tu stai in bilico come quel trapezista, sopra allo scontro fra due forze opposte: una distruttrice, l’altra restauratrice. Una che devasta tutto quel che trova, l’altra che ricostruisce come Sisifo, prima di un nuovo attacco.
(In quegli anni, a Liverpool, per fare le bolle mescolavamo un po’ di detersivo con l’acqua e la glicerina.
E poi soffiavamo la schiuma.)
Le stagioni passano, Derek. Hai ragione. Si alternano il freddo e il caldo, tempi piovosi e tempi asciutti, per quello che può saperne un inglese come me. Le primavere arabe si sono trasformate in gelidi inverni. Le promesse di tempi nuovi possono essere mantenute o tradite. Fai bene a interrogarti. Domandare è sempre bene. Rispondere sempre, invece, è sbagliato.
E poi esistono fenomeni atmosferici fuori stagione. Chi lo può prevedere? Non tutte le anomalie possono essere (ri)governate, non tutte le variabili possono essere considerate. Le donne e gli uomini che si muovono insieme hanno la forza di porre interrogativi nuovi. La Storia, la fanno le masse organizzate. In questo college ha insegnato gente che conosceva bene la forza di chi vuole cambiare le cose. E le persone fanno anche scelte arbitrarie. E provare a controllarle è un’altra fatica di Sisifo. I miti greci sono più antichi dei grandi romanzi italiani. I gattopardi sono animali strani, Derek.
A proposito del mio Shakespeare, ti lascio con una citazione: «“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi”. Buonanotte, e buona fortuna».

Philip

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