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TREDICESIMO-PIANO


ven 5 febbraio 2016

NOTTURNO ITALIANO

Intervista all'economista Philip Wade

5 FEBBRAIO 2016 – Abbiamo incontrato Philip Wade, economista inglese, prima allievo di Federico Caffè a Roma, poi strategist in una delle più grandi banche d’affari americane, oggi professore ordinario al Birkbeck College. In un momento in cui il Vecchio Continente naviga a vista, in balia di spinte centrifughe, ci concentriamo sulla periferia italiana e finiamo col parlare di Uber e di deflazione. Sullo sfondo, un fiume torbido che è sul punto di straripare.
Lei è un economista che conosce molto bene il sud Europa e in particolare l’Italia. Cosa succede nel Belpaese? Perché l’Italia sembra di nuovo essere l’anello debole dell’eurozona?
Il discorso è molto complesso, la crisi bancaria italiana ha delle radici profondissime nel tessuto del Paese ed è sempre stata sottostimata o addirittura rimossa. La grande narrazione tossica riguardo l’Italia è sempre stata centrata su di un concetto cardine: l’Italia ha un enorme debito pubblico ma un debito privato irrisorio, quindi tutte le soluzioni e cure imposte o autoimposte al paese sono state legate alla stabilizzazione del debito pubblico e alla sua eventuale riduzione. Partendo da questo assunto fallace sono state fatte riforme, sono stati accettati salassi fiscali ed è stato imposto un regime di austerity della spesa pubblica molto rigido. I risultati apparenti sono stati ottimi: lo spread è rientrato, il costo del debito è sceso sotto livelli mai toccati prima e alla fine è arrivato anche il Quantitative Easing della Bce che è sembrato a moltissimi – e devo ammettere anche a me – una sorta di soluzione finale verso una vera ripresa.
E invece?
L’Italia aveva un debito privato molto grande anche se diverso da quello dei paesi con il settore bancario inguaiato. Non era un debito individuale legato ai consumi o ai mutui, era un debito industriale o meglio un debito imprenditoriale: le banche italiane erano considerate ben capitalizzate, il problema era che il settore imprenditoriale era fortemente sottocapitalizzato.
Bene, ma non capisco il nesso….
E’ semplice: per anni viene rimosso il problema, nel frattempo il mondo cambia, l’Italia non cresce, le banche ricevono direttive più pressanti e stringono le maglie del credito; le aziende sottocapitalizzate fanno fatica a ripagare i debiti e falliscono così i crediti deteriorati crescono inesorabilmente. A questo punto entrano in gioco anche le politiche di austerity che deprimono ulteriormente i consumi.
La ascolto…
Nel 2012 si parlava con enfasi di unione bancaria europea ed il mantra era “spezzare il circolo vizioso tra le banche e gli stati sovrani”. Questo voleva dire che le sofferenze bancarie non dovevano più trasformarsi in debito pubblico ed il bail out delle banche in crisi sarebbe stato sovranazionale. E’ chiaro che le banche dovevano prima attenersi a regole stringenti, dovevano adeguarsi a ratios patrimoniali prestabiliti e poi dal 1 gennaio 2016 dovevano essere pronte a non attingere da aiuti statali. Ma invece il sistema bancario è arrivato a questa data totalmente impreparato ed il risultato è stato questo mini crash di inizio anno, a posteriori inevitabile.
Di chi sono le responsabilità?
La voglio sorprendere, non parlerò di responsabilità politiche – anche se ci sono – e non entrerò neanche in annose discussioni sull’euro ed il suo malfunzionamento, che è evidente. Le parlerò di microeconomia e di casi reali.
Sono tutta orecchie…
Ho letto un articolo di Morozov sul Guardian, un articolo su Uber
Cosa ha a che vedere la crisi bancaria con Uber? 
Secondo Morozov, Uber sta massacrando la concorrenza perché vende i suoi servizi sotto costo, accumulando perdite. I concorrenti, spiazzati dalla concorrenza al ribasso, falliscono e scompaiono mentre Uber acquisisce fette di mercato, diventa dominante e un giorno sarà monopolista. Vede, Uber è sovracapitalizzata perché alcune platform tecnologiche ci hanno investito miliardi di dollari, quindi può permettersi di vendere servizi sottocosto uccidendo la concorrenza sottocapitalizzata. In altre parole il rapporto capitale-lavoro fa un salto di qualità, non si tratta più di subordinazione di lavoro al capitale ma del fatto che il capitale diventa il carnefice del lavoro e uno dei principali imputati per la deflazione.
Mica vorrà farmi una lezione su Marx?
Assolutamente no. Abbiamo superato Marx e calpestiamo terreni inesplorati: tutta la net economy è sovracapitalizzata e può permettersi di acquisire fette di mercato perché può operare in perdita. Di fatto interi settori tradizionali stanno sparendo e la deflazione impera.
Alt mi sono persa, eravamo partiti dall’Italia come siamo finiti a parlare di Uber?
Ha ragione, il mio è un azzardo, ma mi segua: la Germania è sovracapitalizzata, è riuscita negli anni ad abbassare il costo del lavoro e ha mantenuto in vita il welfare state, le basti sapere che in Germania esiste il reddito di cittadinanza. L’Italia invece è sottocapitalizzata, nel senso che la sua industria è sottocapitalizzata, e adesso anche il sistema bancario lo è. Mentre la locomotiva tedesca è riuscita a sopravvivere alla deflazione, l’Italia non ce l’ha fatta. A ben vedere il nesso con Uber esiste eccome: l’Italia non sopravvive a prezzi più bassi e le sue banche vanno in sofferenza. Ed ecco perché oggi il problema assume proporzioni enormi, non c’è QE che tenga, non ci sono riforme che da sole possano essere sufficienti a portare il paese fuori dal pantano, questa è la deflazione.
Scusi, ma l’Italia ha un enorme risparmio privato, non dovrebbe aiutare?
E’ vero – l’aspettavo al varco – ma il risparmio non è capitale, il risparmio si muove a seconda delle aspettative, è molto erratico, può trasformarsi in capitale solo se viene investito, ma lei ricapitalizzerebbe una banca italiana in difficoltà?
Probabilmente no, ma se avessi delle garanzie?
Certo, è vero, il QE è stato utilissimo per il debito pubblico, ma in una cornice deflattiva chi può fornire delle garanzie per un’impresa privata? All’interno della struttura cervellotica dell’Europa, chi potrebbe fornire queste garanzie?
Ma il QE non dovrebbe combattere la deflazione? 
Dovrebbe, dice bene, ma è inefficace.
Allora torniamo a Uber, perché possiede tutto quel capitale in eccesso? 
Perchè può contare su ottime aspettative. Una fetta enorme di risparmio è confluito nelle piattaforme tecnologiche ma gli investitori sono in larga maggioranza altre aziende tecnologiche che si siedono su miliardi di dollari di capitale in eccesso, spesso custodito in paradisi fiscali e per lo più generato da forme di elusione fiscale. Queste compagnie reinvestono a loro volta in altre piattaforme alterando la concorrenza in altri settori, spingendo i prezzi al ribasso. Non è la tecnologia la causa della deflazione ma il capitale. Stessa storia a livello macroeconomico, il neomercantilismo tedesco che strozza il sud Europa è finanziato dal capitale in eccesso.
Come andrà a finire?
Non lo so. Ma se non si interviene alla radice del problema, parafrasando Bolaño, temo si scatenerà una tempesta di merda.

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