Decodificare il presente, raccontare il futuro

TREDICESIMO-PIANO


sab 10 dicembre 2016

MPS: NON APRITE QUELLA PORTA

Alla fine l'antica banca verrà salvata coi soldi di tutti. Ma è giusto salvare chi investe in prodotti rischiosi per avere rendimenti maggiori usando i soldi di tutti, compresi di quelli che - per non perdere - avevano rinunciato a guadagnare?

«Lo spread riesci ancora a manipolarlo, allora il problema è un altro. Il tuo problema è il panico. La paura potete controllarla, ma il terrore no, quello no. Immagina la coda agli sportelli…» Da I diavoli (Rizzoli 2014)

Sabato 10 dicembre 

È sempre una questione di tempi.
Per esempio, il tempo che manca, che non c’è più, il tempo che la BCE sembra aver negato all’antica banca italiana per l’aumento di capitale. 
La notizia, l’ha data la Reuters. I mercati ci hanno creduto. Operazione fallita, e la regia dei consulenti impegnata a girare le scene di un brutto film. Volevano una happy end, e invece rischiano un finale brutto, se non tragico. 
È sempre una questione di tempi. Ieri, oggi, domani. 
C’è il tempo che deve ancora venire, il tempo delle variabili da controllare, il tempo contro cui quelli come me giocano la partita di sempre. Ma questa volta il domani è chiaro. Con il fallimento dell’aumento di capitale, il copione è già scritto: conversione forzosa dei bond subordinati in azioni, e – lunedì mattina – il titolo dell’antica banca temo che avrà valutazioni prossime allo zero.  
È sempre una questione di tempi. C’è un tempo per tutto. 
E c’è anche il mio tempo, il tempo di Bruno Livraghi, il tempo giusto: saper aspettare, sfruttare l’attimo, cogliere l’occasione propizia. 
Così è stato.
La finanza, la raccontano sempre nello stesso modo: come le urla concitate, impazzite, di broker che contrattano sbracciandosi in maniche di camicia. Sbagliano. 
La finanza è attesa, e io ho aspettato a lungo. Ho aspettato per tutto quest’anno: “corto” di azioni sui bancari, “lungo” di bond subordinati. Erano i giorni della tempesta a Nordest, le “popolari” nell’occhio del ciclone, io preparavo una manovra di lungo respiro. Così, mi sono trovato al momento giusto con la combinazione vincente in mano: short equity dell’antica banca, lungo su tutto il resto. 
Il mercato, intanto, ha iniziato a salire grazie all’azione della BCE. incurante del referendum italiano.   
Questo è il mio tempo: sempre e soltanto l’attimo giusto. 
È solo una questione di tempi. Ieri, oggi, domani. Il domani dei nodi che vengono al pettine, il tempo del dilemma morale. 
Alla fine l’antica banca verrà salvata coi soldi di tutti. Ma è giusto salvare chi investe in prodotti rischiosi per avere rendimenti maggiori usando i soldi di tutti, compresi di quelli che – per non perdere – avevano rinunciato a guadagnare? E poi gli obbligazionisti non sono tutti uguali: alcuni hanno comprato i bond eccitati dai rendimenti, altri senza nemmeno saperlo. 
È giusto salvare l’antica banca senza distinguere? Oppure è sbagliato? 
Date tempo al tempo, e la polvere sotto il tappeto finirà per saltar fuori. Oltre la porta che si sta aprendo, i temi sono delicati, le questioni confuse, gli esiti incerti. È sempre una questione di tempi. 
Io, Bruno Livraghi, la prendo con filosofia: le banche più o meno antiche faranno la fine che devono fare.
Amen.

Italia 2016

«Ma scusate, come fate a non chiudere sull’aumento di Mps, cari consulenti? I mercati salgono, il settore bancario è sui massimi, lo spread stringe ogni giorno….
Allora possibile che non riusciate oggi a trovare capitali? Oggi che le condizioni sono decisamente migliori di tre mesi fa…»
[Risata….]

Lunedì 5 dicembre, fuori “dall’Europa”

«Guarda una cosa da un diverso punto di vista e sarà la cosa stessa a cambiare… Lo dicono del sorriso di Monna Lisa, ma vale per tutto. La posizione da cui si guarda è più importante di ciò che viene guardato.
Guardano la vittoria del NO al referendum italiano, e vedono l’inizio di un’apocalisse. Parlano d’incertezza politica e di turbolenze sui mercati, d’impennata dello spread e di rischio contagio.
Io guardo la vittoria del NO da quest’ufficio di London City, fuori dall’Europa, al tempo della Brexit, e vedo un’occasione dove tutti scorgono il pericolo imminente.

Io, Bruno Livraghi, il raider della street, il corsaro dei mercati che ha saputo aspettare.

Da questa stanza asettica nel distretto finanziario londinese, lungo le sequenze alfanumeriche che si alternano su uno schermo ultrapiatto, vedo il manifestarsi del momento propizio. A guardarlo da qui, il risultato del referendum mette a posto tante cose. Prepara il terreno per un governo (semi)tecnico, affonda una volta per tutte quello spirito maggioritario che è sempre stato inadatto all’Italia e che, nell’attuale congiuntura, è semplicemente improponibile, consente ai partiti tradizionali di riorganizzarsi, e – anche se non sembra – disinnesca le forze anti-sistema imbrigliandole in un fase interlocutoria, presenta il conto a un governo che aveva perso il suo asset principale: il consenso bipartisan.
Se in tanti vedono la tempesta approssimarsi al centro del Mediterraneo, io presagisco bonaccia. O la quiete dopo il diluvio. Questo referendum è un elemento di stabilizzazione.
E quindi, dopo aver aspettato, ora mi muovo rapido e comincio a comprare. È un “buy assoluto”, come diciamo sulla street.    
Compro importanti pacchetti azionari italiani e posizioni strategiche in assicurazioni, compro i bond subordinati di Unicredit e tutti i business regolati: distribuzione acqua, gas, energia…
Una mano veloce che ho preparato da tempo, aspettando.
Volete sapere delle banche italiane?  
Le banche italiane, più o meno antiche, faranno la fine che devono fare. Nel frattempo io comincio a comprare, anche perché già da stamattina la Bce sta comprando di tutto. La sento, la avverto: sta comprando bond, ma non solo, stavolta compra pure equity. E io mi metto in scia.  E compro.  
Lo chiamo normalitazion trade… accade tutte le volte che la paura serpeggia sui mercati.
Me lo insegnò Derek Morgan a individuare la mano che si muove dietro alle sequenze alfanumeriche degli schermi.
E allora Cosa volete che sia il NO in un referendum sulla riforma costituzionale per un Paese il cui primo articolo della costituzione materiale recita: “L’Italia è un Paese fondato sulle crisi finanziarie?”».

Pochi giorni prima

«Saper aspettare – fermi, immobili – per cogliere l’attimo giusto, l’occasione propizia. Sulla street dei mercati finanziari, questa è la prima regola. Saper aspettare… E mentre comincia la conversione delle obbligazioni di MPS, mentre il titolo dell’istituto senese sprofonda e lascia il 13%, io, Bruno Livraghi, aspetto… In gioco c’è la ricapitalizzazione dell’antica banca, una manovra da cinque miliardi, e io aspetto… La partita non si gioca solo sulle piazze d’affari, si gioca dentro le urne del prossimo referendum italiano, la consultazione del 4 dicembre. Tutto dipenderà dal risultato.
Di solito gli obbligazionisti diventano proprietari di un’azienda quando tutto il capitale è stato bruciato. Sono le basi del capitalismo, e del libero mercato. Dopo che il patrimonio è azzerato, allora tocca agli obbligazionisti “comandare”, previa conversione dei bond in capitale. Ma questa volta non funziona così, no. Questa volta, si richiede agli obbligazionisti di aderire all’offerta pubblica d’acquisto volontaria a una manciata di giorni dal referendum. Le banche d’affari, invece, possono aspettare e ragionare con le carte scoperte sul tavolo, possono fare le loro mosse a urne chiuse e col risultato acquisito. Due temporalità diverse: il “prima” per alcuni, e il “dopo” per altri. Due pesi, due misure. Bel paradosso per gli obbligazionisti, a cui viene negato il diritto di proprietà. E poi si parla di capitalismo…
C’è solo una cosa certa: la soluzione la daranno i prezzi.
Se vincerà il NO, i prezzi crolleranno e l’operazione fallirà. Alla fine, però, i compratori arriveranno, acquisteranno i bond a saldo e convertiranno tutto in equity.
Se invece vincerà il SÌ, le banche avranno gioco facile per raccogliere denaro fresco e chiudere l’aumento di capitale. In questo caso, anche l’Italia potrà recuperare molto rispetto al suo andamento negativo.
Da italiano aderirei alla proposta di offerta pubblica di acquisto volontaria del Monte Paschi. Il problema è che sono italiano solo una notte alla settimana, quando – per rilassarmi – sfreccio sulla mia Lamborghini a duecentocinquanta all’ora lungo l’autostrada A7, la “Serravalle”, che da Milano porta al mare. Linate-Busalla, Busalla-Linate. E poi via, in volo verso Londra. Tutto in poche ore, nel buio della notte. Nel momento in cui l’aereo si stacca dalla pista, io smetto di essere italiano. Quindi, per ora aspetto: fermo, immobile. E resto a guardare. Naufragio con spettatore recitava il titolo di un vecchio libro…
Così aspetto, non converto i bond e rifletto su quello che chiamano il “dilemma del prigioniero”: cosa è utile fare in certe situazioni non è semplice da stabilire. E i vecchi paradossi sono sempre attuali. Gli obbligazionisti singolarmente non dovrebbero aderire, rifiutando lo scambio bond/azione. Il problema è che se tutti singolarmente si comportassero in maniera razionale, a livello aggregato l’adesione risulterebbe bassa e il danno si scaricherebbe su tutti con un rischio  di bail-in. D’altronde, se accettano in molti, l’operazione andrà in porto, ma ciascuno dovrà mettere in conto una perdita, un sacrificio. A quel punto, però, i pochi che non hanno aderito faranno free ride su tutto e guadagneranno tanto.
Ecco, allora io aspetto, perché mi piacerebbe ritrovarmi – il 5 dicembre – dalla parte di quei pochi che si prendono il meglio senza sacrificare nulla.
La verità è che questa storia l’hanno data per chiusa troppo presto. E invece assomiglia tanto a un videogioco: più si va avanti, più le schermate sono difficili e si perdono vite. Ora siamo all’ultima. Un altro errore ed è game over.
Intanto, io aspetto…»
(Bruno Livraghi, 29 novembre 2016)

Qualche settimana prima

«La partita su Monte Paschi è stata data per chiusa troppo presto. E poi verrà il turno di Unicredit con un aumento di capitale quantificato intorno ai 13 miliardi di euro. Definirla una “tempesta perfetta” non è un’iperbole. Del resto, di recente avevo messo in guardia contro il rischio di un take over sul risparmio italiano. In quei giorni si profilava un passaggio di consegne – in alcuni grandi gruppi bancari e assicurativi del Paese – dai vecchi soci a nuovi soggetti pronti ad approfittare di un inasprimento dei parametri di controllo della Vigilanza europea. Le grandi manovre erano in atto da tempo. »
(Bruno Livraghi, 18 novembre 2016, da Italia: tempesta perfetta)

Circa un mese prima

«Avevo parlato degli NPL (non performing loans), dicendo che la posta era l’acquisto dei crediti deteriorati delle banche a prezzo di saldo e con lo Stato costretto a metterci pure una garanzia sopra. Ero arrivato a parlare di “banchetto del secolo” evocando la chiusura del cerchio: dai grandi trade contro i debiti sovrani alle manovre sui crediti deteriorati delle banche in sofferenza, passando attraverso l’austerity con un biglietto di sola andata per profitti incalcolabili. Beh, le cose cambiano. L’atteggiamento rinunciatario con lui la politica aveva abdicato ai mercati, accettando il dato di fatto di una svendita degli NPL, è stato corretto. Il varo del fondo Atlante, unito allo spacchettamento dei crediti deteriorati (il cosiddetto spin off degli NPL), ha prosciugato il prezioso bacino d’estrazione in cui ci muovevamo. Tuttavia, sulla street l’intelligenza di un operatore sta nel cogliere le occasioni laddove i più vedono il restringersi delle possibilità. La finanza è il prolungamento della guerra con altri mezzi e, come in guerra, al mutare del contesto deve mutare anche la tattica. Perché passare dagli NPL quando possiamo sfruttare l’opportunità della nuova regolamentazione BCE? Così, adesso acquisiremo direttamente stake delle principali banche e assicurazioni italiane attraverso gli aumenti di capitale. Fuori i vecchi soci, dentro noi.»
(Bruno Livraghi, 17 ottobre 2016, da Rischio (s)take over sul risparmio degli italiani)

Nove mesi prima

«È così dal 1992. L’articolo 1 della Costituzione dovrebbe essere “L’Italia è un paese fondato sulle crisi finanziarie”. (…) Stessa storia di sempre, la crisi bancaria era una crisi annunciata, c’è una continuità impressionante nella politica italiana nel non sapersi muovere per tempo. Nonostante il fior fiore di consulenti e la contiguità del governo con alcuni gestori globali il Paese si è fatto trovare impreparato sulla crisi bancaria. La storia dei crediti deteriorati è paradigmatica, ma è simile alle altre: crollo, macerie e ricostruzione. Vede, io gestisco un hedge fund e cerco opportunità, “special situations”. Ecco l’Italia è la patria delle special situations, ho raccolto miliardi di euro grazie alla mia conoscenza del mercato italiano. (…) Perché l’Italia regala sempre grandi soddisfazioni? Perché l’Italia è il paese dove i regolati condizionano i regolatori e dove l’instabilità, da quasi mezzo secolo, è una forma di governo.»
(Bruno Livraghi, 27 gennaio 2016, da L’Italia è un Paese fondato sulle crisi finanziarie)

Un anno prima

«La crisi durava. Considera certe gestioni disinvolte dei management ed ecco che nelle banche continuavano ad accumularsi crediti deteriorati, nel silenzio più totale. E arriviamo a oggi: la massa di quei crediti è enorme, il legislatore europeo incombe con nuove regole, più stringenti, e diventa lampante l’assenza di chi doveva controllare. (…)
Shorto le banche e mi metto lungo sui subordinati che adesso non vuole nessuno. Tra poco su un pezzo d’Italia, sul famoso Nordest, sarà tempesta, e io sarò lungo di roba che non vuole nessuno e corto di roba che andrà a zero.»
(Bruno Livraghi, 30 dicembre 2015, da Tempesta a Nordest)

Due anni prima

«Ora ti servo perché qualche banca italiana sta per saltare, dico bene?»
Derek inarca un sopracciglio, senza far niente per trattenere lo stupore. «Da cosa l’hai capito?»
(…)
«L’ho capito dalla tua faccia. Sei preoccupato. Per la prima volta da quando ti conosco, sei preoccupato sul serio. E considerando che lo spread riesci ancora a manipolarlo, allora il problema è un altro. Il tuo problema è il panico. La paura potete controllarla, ma il terrore no, quello no. Immagina la coda agli sportelli, immagina migliaia di persone a ritirare i depositi con l’Europa che ci impedisce di salvare le banche. (…)»
«Di una banca in particolare stiamo parlando, che rischia di essere il principio della slavina.»
Da I diavoli di Guido Maria Brera (Rizzoli, 2014)
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