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TREDICESIMO-PIANO


sab 16 luglio 2016

LA BIOFINANZA CONTRO LA RABBIA E IL DISSENSO

Ma ora il grande gioco sta saltando. Alcuni meccanismi collaudati sembrano fuori fase. Oggi la finanza è il capro espiatorio. Vedono le nostre mani dietro a ogni disastro

Milano, 14 luglio 2016
La mano tiene una sfera. La sfera riflette l’immagine di un uomo anziano, seduto nella poltrona di uno studio. Non mi avvicino, in modo da mantenere la stessa prospettiva e concentrarmi sui dettagli. Gli occhi dentro l’occhio che restituisce la realtà. Unarealtà. Mi sposto di qualche passo: l’immagine rimane identica. Lo stesso uomo con lo stesso sfondo, la stessa prospettiva.
Mi sposto ancora di qualche passo, nella sala incorniciata da stucchi e decorazioni dorate, lontano dalla litografia intitolata Mano con sfera riflettente. Venire in Italia significa anche potersi permettere un paio d’ore a palazzo Reale, godere della temporanea di Maurits Cornelis Escher.
Faccio per raggiungere un’altra opera, ma indugio davanti a uno specchio. Vedo riflesso un uomo sui cinquanta. La camicia bianca, il vestito scuro. Questa è l’immagine di Derek Morgan. Così mi vedono gli altri. Un americano sobrio ma elegante, uno dei più importanti banker di Wall Street, un uomo che siede nel board della grande banca di Murray Street, Manhattan, New York City.
Eppure quest’immagine è solo una parte di me. Ce n’è un’altra che non si vede, che solo in pochi conoscono. Nessuno dice tutto di sé, ma le mie motivazioni sono di quelle pesanti, perché non posso dire che faccio parte di un circolo d’uomini che indirizza l’orbita del pianeta Terra. Non posso dire che mi riunisco con loro in un grattacielo di Midtown Manhattan affacciato sul mondo. È il luogo del potere, lo chiamano il Tredicesimo piano, e io non posso parlarne mai.

Tutti quelli che entrano nel mio ufficio della grande banca sanno che alla parete, davanti alla scrivania, ho una riproduzione del Mulino di Escher. Sanno che l’illusione ottica mostra l’acqua salire dal basso. Non sanno, però, che anche quelli come me hanno il potere d’ingannare la vista, manipolare la realtà, confondere le menti di milioni di uomini e donne. Quelli come me sono in grado di compiere prodigi.
Abbiamo mosso risorse pubbliche per salvare banche, trovato la rotta in mezzo alla tempesta della Crisi, arrestato apocalissi e tacitato profeti d’uguaglianza. Custodiamo l’ordine, l’unico ordine possibile, manteniamo l’equilibrio, difendiamo le rendite, garantiamo la stabilità del sistema.
Ci chiamano i Diavoli.
Mi fermo davanti a un’altra opera, esattamente in corrispondenza del suo centro. Devo fare uno sforzo per non disilludermi subito. È la prima volta che la vedo dal vivo, ma conosco l’inganno e voglio comunque abbandonarmi: finché ci riesco.
Per prima cosa, osservo la perfetta apparenza di simmetria. L’insieme di scale e figure contrapposte, i sostegni e le cavità. Due metà che dialogano alla stessa altezza, si direbbe.
Invece no. Per rompere l’incantesimo scelgo di partire dai due uomini che dànno l’assalto al margine della litografia: sono rappresentati da prospettive diverse, quello a sinistra è mostrato dall’alto, l’altro dal basso. Ed è così in tutta l’opera. L’uscita dall’illusione è liberatoria e triste allo stesso tempo. Un gioco di concavità e convessità da cui esce sconfitto chi guarda soltanto, e vittorioso chi si ferma a vedere.
Sospiro. Per molto tempo, l’inganno prospettico è stato il prodigio che mi riusciva meglio. Mostrare concavo ciò che era convesso. Indebolire l’euro per nascondere la debolezza del dollaro. Usare la moneta per riformare i sistemi politici. Poi le cose sono cambiate.
È svanito l’incantesimo su cui avevamo retto l’Occidente fin dalla caduta del Muro di Berlino. È stato svelato il trucco. Si è incrinata l’offerta politica che avevamo adeguato alle esigenze del capitale globale e ai molteplici cambiamenti del suo ecosistema. Si è rotto un congegno che ha funzionato per due decenni. Proprio adesso mi accorgo, per la prima volta, che le scale del ponte, a sinistra, diventano l’imposta di un arco a destra.
Il nostro sistema è un organismo complesso a garanzia dell’equilibrio. Deve assecondare l’alternanza di fasi recessive ed espansive, e dev’essere assecondato dalla politica. Nel buio del teatro, dietro le quinte, a volte perfino sulla scena illuminata, abbiamo finanziato leader che rispondevano al nostro disegno. All’opinione pubblica abbiamo offerto finte alternanze al potere. Perché noi non siamo solo il mondo della finanza: siamo l’ordito segreto della realtà, nel tempo in cui tutto è intrecciato e connesso.
Qui davanti a me, la colonna che a sinistra sostiene un tetto, a destra sostiene una volta. La finanza è la colla invisibile che unisce il debito pubblico alle start-up tecnologiche e all’industria alimentare e a quella degli armamenti. Noi siamo la cornice e il dipinto, la realtà e l’inganno. Noi siamo la contemporaneità di punti di vista opposti. Così, quelle che secondo la prospettiva dall’alto sembravano scale, cambiando prospettiva diventano sostegni di una mensola su cui una lucertola si arrampica. L’animale, però, rimane immobile nel gioco di quest’imbroglio: non sale e non scende, così come noi abbiamo congelato ogni ipotesi di mobilità sociale e reso lisce le pareti della piramide dalla cui sommità guardiamo in basso.
La finanziarizzazione dell’economia reale ci ha resi indispensabili. Siamo stati legiferanti e costituenti, senza mai essere eletti. L’onda della crisi del 2007 sembrava uno tsunami, eppure l’abbiamo gestita alla perfezione. La paura ci ha lasciato le mani libere.
Ma ora il grande gioco sta saltando. Alcuni meccanismi collaudati sembrano fuori fase. Oggi la finanza è il capro espiatorio. Vedono le nostre mani dietro a ogni disastro, ogni nostro endorsement è un bacio della morte, i nostri cavalli sono zoppi. Possiamo pure far scendere una cascata di dollari, ma non riusciamo più a comprare consensi. Bisogna ammetterlo. E una volta riconosciuta la sconfitta, occorre cambiare. Ancora. È arrivato il momento. Occorre modificare la strategia, e gestire il cambiamento.
Lungo un corridoio, con calma, raggiungo la sala dov’è esposto Altro mondo II. C’è una giovane coppia davanti all’opera.
Aspetto che i due se ne vadano. Non sbircio, per non rovinarmi l’effetto, ma neanche mi allontano per vedere gli altri pezzi della sala. Pochi istanti dopo, finalmente, mi ritrovo da solo di fronte alla xilografia. Di fronte alla compresenza dei tre angoli prospettici nella stessa incisione: frontale, dal basso e dall’alto.
“Un altro mondo è possibile” dicevano alcuni, all’inizio del Millennio. Quello che contestavano era il nostro ordine. A un certo punto l’onda sembrava essersi esaurita…
Invece sta tornando sotto una nuova forma. E rischia di spazzare via le architetture impossibili che abbiamo edificato per controllare il pianeta. Cancellare i miraggi delle nostre ottiche non convenzionali, capaci di sovvertire le leggi della Natura. Come il rovesciamento della statua dell’uccello e del corno che Escher compie qui. L’onda è lunga e matura, porta con sé tutte le contraddizioni che stanno travolgendo l’Occidente. Sta arrivando, con la sua potenza superiore, e sarà più difficile da surfare. È gonfia di rabbia e detriti, è lo slancio della gente libera dalle nostre illusioni.
Gli appuntamenti elettorali e referendari sono ingovernabili. Il voto è una delle poche variabili che ancora sfuggono alle logiche algoritmiche. Il ruolo della paura ha perso efficacia, la disillusione orienta verso cambiamenti sempre più radicali. Il mondo intrusivo dei big data può determinare tendenze di consumo e di comportamento, ma non riesce a governare le emozioni. Il voto è pre-razionale, per alcune fasce della popolazione, e quindi diventa illeggibile, per noi.

Il microchip dell’illusione consumistica ha smesso di funzionare, il sonnambulismo è interrotto, la geometria torna a essere euclidea, la fisica riscopre gli universali che la governano, la legge di gravità può farci cadere e l’entropia può consumarci. Come se la linearità annullasse i capovolgimenti percettivi che Escher racchiude in questo parallelepipedo.
Io sono qui a guardare le opere del grande architetto d’inganni, colui che capovolse il mondo di Euclide e Newton, mentre i britannici hanno votato il Brexit. Il voto degli esclusi, il voto contro il sistema. Contro di noi.
Sì, abbiamo sbagliato. L’endorsement dei nostri uomini nella City a favore del Remain è stato un suicidio. Ora dobbiamo tornare nell’ombra perché la fase è mutata. I cambi delle valute non incidono più e le obbligazioni governative sono sterilizzate. Ora le nostre armi sono le banche, l’anello debole del sistema. Ogni voto contro il sistema viene tradotto in un collasso del sistema bancario: gli spagnoli lo sapevano e hanno votato con prudenza. La lezione greca è servita.
L’Europa ormai si fonda sulla fragilità del suo sistema bancario. Siamo passati dalla biopolitica applicata alla gestione del debito pubblico alla purezza della biofinanza nella gestione del sistema bancario…
Torno a guardare la xilografia dell’Altro mondo, la struttura che vaga sospesa nell’universo, i diversi sfondi su cui a seconda della prospettiva si stagliano Giove e Saturno e la superficie lunare.
Ecco uno sguardo che tutto abbraccia. Ecco cosa dobbiamo fare. Ecco come bisogna guardare agli Stati Uniti d’America: considerando tutte le visioni possibili senza sceglierne una da imporre.
Abbiamo avuto la presunzione di essere come Lucifero, portatori di luce. Abbiamo sbagliato.
Abbiamo voluto scegliere Hillary Clinton nel segno della continuità. Abbiamo sbagliato.
Rischiamo che una variabile nuova ci sfugga di mano, come in UK. Non dobbiamo più puntare su un solo cavallo per vincere. Dobbiamo addomesticare tutti i cavalli per non perdere.
Una volta: We shall be all, dicevano alcuni. Dobbiamo tornare nell’ombra e dobbiamo essere tutto.
«Abbiamo avuto la presunzione di essere come Lucifero, portatori di luce. Abbiamo sbagliato»
«Il nostro sistema è un organismo complesso a garanzia dell’equilibrio. Deve assecondare l’alternanza di fasi recessive ed espansive, e dev’essere assecondato dalla politica. Nel buio del teatro, dietro le quinte, a volte perfino sulla scena illuminata, abbiamo finanziato leader che rispondevano al nostro disegno. All’opinione pubblica abbiamo offerto finte alternanze al potere. Perché noi non siamo solo il mondo della finanza: siamo l’ordito segreto della realtà, nel tempo in cui tutto è intrecciato e connesso»

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