Decodificare il presente, raccontare il futuro

TREDICESIMO-PIANO


ven 11 marzo 2016

EUROPA ANNO ZERO

(I Balcani si stanno trasformando in un avamposto ottomano sull'Adriatico)

11 marzo 2016, London City 
[Soundtrack: Europa, di Lars von Trier]
L’ultima luce di un giorno di fine inverno filtra dalla finestra, liberando un gioco di ombre nel piccolo ufficio al terzo piano del “Birkbeck” College. La stanza è un cubicolo invaso da libri. Sono ovunque: accatastati sui ripiani, allineati negli scaffali delle librerie, impilati lungo le pareti in colonne dall’equilibrio precario. Sulla scrivania che occupa quasi per intero l’ambiente, i volumi compongono una muraglia di carta, un vallo di parole e concetti e storie dietro il quale si rifugia il professor Philip Wade.
Anche adesso, seduto alla scrivania, trae sicurezza dalla vista dell’insormontabile bastione di pagine. Come una vedetta che scruta l’orizzonte al riparo della fortificazione. Ma non è sempre stato così. Un tempo, Philip ha scelto di stare nel vivo della battaglia, in prima linea nell’invisibile guerra, il conflitto non dichiarato che ogni giorno si combatte sui mercati finanziari. Conoscere il nemico: con quel pensiero – anni prima, in un’altra vita – aveva accettato una proposta pericolosa, una di quelle che possono costare l’anima, e l’innocenza.  E così –  in un altro tempo e in un’altra vita – era stato un uomo della City, lo strategist al fixed incomedella grande banca: la banca di Derek Morgan il Manovratore, l’Eminenza del “Tredicesimo piano”, come certe fonti confidenziali chiamavano l’inner circlecomposto da esponenti delle più importanti banche d’affari d’oltreoceano, consulenti del Tesoro americano, uomini vicini alla Federal Reserve e pochi, selezionatissimi raider dei più grandi hedge fund. Il cerchio magico, custode della supremazia USA, che tesseva la trama dei destini del mondo.
Ma poi le cose erano cambiate o forse Philip era cambiato. Alla fine aveva lasciato la grande banca e accettato la cattedra al “Birkbeck”. E adesso il professor Wade segue il filo di pensieri confusi mentre nella mente risuonano parole lontane: Ora ascolterai la mia voce. La mia voce ti aiuterà e ti condurrà ancora più a fondo dentro l’Europa. Un ricordo labile. Una reminiscenza a cui aggrapparsi per impedire che sfugga.  La voce off di un film in bianco e nero, il mantra sommesso che nelle prime scene ispira una specie di trance, l’incipit trasognato di un’avventura nell’Europa del secondo dopoguerra sfigurata dalla mattanza planetaria e in cui continuano ad aggirarsi i fantasmi del nazismo.
Ogni volta che sentirai la mia voce, a ogni parola e a ogni numero, entrerai in uno stato di rilassamento più profondo, più ricettivo. Ora io conterò da uno a dieci. 
Phil ricorda quella pellicola, uno dei primi lavori di un regista danese. L’ha vista e rivista, non sa nemmeno più quante volte. Ricorda il titolo: Europa.
E ricorda quella voce contare, mentre la camera inquadra lo scorrere di traversine e binari di una ferrovia. E io dico uno. E mentre ti concentrerai totalmente sulla mia voce, incomincerai lentamente a rilassarti. 
Philip sonda le ombre che il crepuscolo addensa nell’ufficio. Poi si sporge in avanti. Al centro della scrivania c’è una cartina geografica. Ritrae il vecchio continente, i confini tra gli Stati sono quelli della guerra fredda. Frontiere cancellate dalla Storia, sepolte sotto le macerie del Muro di Berlino. Segue con lo sguardo il procedere della costa balcanica verso Mezzogiorno. Un tempo quella era la Jugoslavia. Si spinge ancora più a Sud, circumnaviga con gli occhi e la mente il Peloponneso. Poi con l’indice sfiora l’estrema propaggine dell’Europa. I Dardanelli. E Istanbul, la città in bilico tra i continenti.
…Due. Le tue mani e le tue dita diventano più calde e più pesanti… 
Phil aggrotta la fronte, mentre fissa quel lembo di terra: la Turchia europea, l’ultima traccia di un Impero che nel 1529 arrivò ad assediare Vienna. Passato e presente si confondono in un gioco di ripetizione e differenze. “Non vi è nulla di nuovo sotto il sole” è scritto nell’Ecclesiastae.
E questa volta non sono le armate di Solimano il Magnifico a marciare verso il cuore dell’Europa, bensì moltitudini di donne e uomini. Eppure la forza che sospinge il viaggio dei migranti, degli esseri umani in fuga, sembra la stessa.
Ombre in Europa. Ombre che risucchiano l’ufficio nel buio. E ombre ad annerire i pensieri. Oggi, i passi di quelle donne e di quelli uomini ridefiniscono gli equilibri geopolitici nello spazio strategico che va dal Medioriente ai Balcani.
Seguire le tracce di transiti fuggiaschi per comprendere lo scenario che si profila.
…Tre…
Quei pensieri, il professor Philip Wade non può trasformarli in parole. Non può dirlo ai suoi studenti che la Turchia vive un nuovo sogno ottomano, prendendosi un ruolo da protagonista nello scacchiere del Mediterraneo orientale. Non può dire che ad Ankara l’euforia europeista è svanita, scoppiata come una di quelle bolle che vedeva montare e volteggiare sui mercati ai tempi della grande banca. Philip Wade deve tacere sul silenzio con cui gli americani hanno accettato che Ankara prendesse in ostaggio l’Unione europea.
…Quattro… 
Non c’è morale nella ragion di Stato. Questo, invece, Phil lo dice ai suoi studenti quando accenna ai grandi teorici della politica moderna: a Machiavelli e Guicciardini. Non c’è morale nella ragion di Stato, e la volontà di potenza delle nazioni non conosce freni né limiti. Quella turca si manifesta attraverso l’azione di due leve: i flussi migratori e la politica energetica. Così sovverte gli equilibri europei delineando una sfera d’influenza che va dal confine siriano al cuore dei Balcani.
Lo spettro della Sublime Porta torna ad aggirarsi per l’Europa.
…Cinque…
Mentre la sera cala su Londra, Philip si lascia avvolgere dal buio. Non gli serve la luce per sbrogliare la matassa intricata del ragionamento.
C’è sempre una guerra in ogni politica. Evidente o invisibile, occulta, irregolare, poco importa. La guerra è l’inespresso del politico. E se ogni guerra implica dei nemici, nella politica turca ce ne sono di vecchi e di nuovi. Da un lato, l’avversario di sempre: i kurdi. Dall’altro, l’emergere dell’asse russo-iraniano.
La posta sul tavolo è costituita dalle fonti energetiche. Phil allunga una mano verso la base della lampada alla sua destra. Quando preme l’interruttore, un fascio di luce rischiara la scrivania. Esiste solo ciò che si vede.
Quella verità, l’ha imparata da Derek Morgan, l’uomo capace di mostrare o nascondere pezzi della realtà a seconda delle proprie esigenze.
Torna a guardare la mappa. Fissa la parte in basso a destra. Il bordo oltre il quale si dovrebbe allungare la penisola arabica, dove la Siria brucia e dove stanno saltando equilibri consolidati: per esempio, quello saudita che ha dominato per decenni la produzione e il commercio del petrolio.
Adesso si profilano nuove alleanze: il filo che lega Mosca a Teheran e a Damasco e a Beirut. Trama e ordito di una rete che vuole catturare la preda europea. Trama e ordito di un piano che – attraverso Iran, Siria, Libano – garantisca alla Russia l’agognato sbocco sul Mediterraneo. Una pipeline per il gas russo, un percorso privilegiato con cui proporsi alla vecchia Europa e tagliare fuori Ankara e Riyadh. Guerra energetica, guerra che scompone e ricompone i fronti. Guerra in cui i nemici dichiarati possono diventare alleati inconfessabili. Phil vorrebbe smettere di pensare, come se perfino le mute parole di un flusso di coscienza potessero suonare compromettenti.
L’Occidente in guerra contro Daesh… Eppure, è proprio Daesh a impedire che, tra Siria e Iraq, il nuovo asse energetico scalzi l’egemonia territoriale turco-saudita.
Non esiste morale nella ragion di Stato, non esiste morale in guerra.
…Al sei entrerai in uno stato di rilassamento ancora più profondo. E io dico: sei. E il tuo corpo incomincia lentamente a sprofondare…  
Phil sposta lo sguardo dal bordo della cartina, segue la linea frastagliata dell’Asia minore, passa rapido sull’Egeo orientale e si ferma sui Balcani: la grande polveriera continentale, dove più di un secolo fa cominciò la Grande Guerra e dove, oggi, schiere di reietti sono trasformati in armi per un conflitto non convenzionale, sacrifici di carne umana per edificare differenti egemonie.
La rotta balcanica dei migranti è il cono di luce che ha oscurato il braccio di mare tra Italia e Maghreb, illuminando il fronte sudorientale. La rotta balcanica è la leva con cui rovesciare il fondamento dello spazio europeo: Schengen. L’intensità dei flussi migratori esprime l’intensità del ricatto.
Adesso Ankara ha mano libera per la repressione del popolo kurdo mentre contratta cifre astronomiche per gestire i migranti siriani usati come moneta di scambio in trattative al di là di ogni spregiudicatezza. La Turchia ha individuato la faglia per terremotare l’Europa. Così ha esercitato pressione sull’odiato nemico greco, impoverito e isolato dalla cecità dei Tedeschi.
I Balcani si stanno trasformando in un avamposto ottomano sull’Adriatico.
“Non vi è nulla di nuovo sotto il sole”.
…Sette: continui a sprofondare sempre di più…
Phil si passa una mano sugli occhi. Li sente bruciare.
Studia la forma, lunga e sottile, della penisola che si allunga nel blu. Eccola, l’Italia, protesa al centro del Mediterraneo. Ed ecco Roma, la città in cui ha vissuto dopo gli studi di Economics, e dove è stato allievo di Federico Caffè.
Ora gli sembra di vedere un caleidoscopio di corpi. Immagina i rocamboleschi, infiniti transiti dei migranti.
Proprio a Roma, quindici mesi fa, un’inchiesta ha disvelato la matrice segreta di un potere criminale. E anche nelle maglie di quella connection i migranti erano fonte di profitto.
«Sono meglio della droga» era arrivato a dire qualcuno. Ancora più redditizi di una merce perfetta come quella che crea dipendenza: la merce che non può generare crisi di sovrapproduzione.
Come onde di un mare in tempesta, schiere di uomini erranti attraversano l’Europa. Una mareggiata di carne umana lascia sulla battigia i segreti inconfessabili di un continente, la cui unità politica sembra andare in frantumi nel volgere di questi anni Dieci del XXI Secolo.
I migranti come grande alibi per comprimere al ribasso il costo del lavoro, vestigia ottocentesca nella postmodernità, déjà-vu di Lumpenproletariat buono per tacitare ogni rivendicazione salariale.
I migranti che generano crescita economica… ma di questo non si deve parlare.
I migranti che fanno paura e incrementano i profitti della sicurezza.
I migranti come spauracchio evocato per coltivare le passioni tristi e raccogliere il consenso.
I migranti per dimostrare l’insostenibilità del welfare.
I migranti, ovunque. Anche dove non ci sono. La formula magica di un incantesimo che sta ammaliando l’Europa.
…Otto: ogni respiro che fai, sprofondi sempre di più… 
Al centro della cartina, la Germania è una massa compatta, nel cuore dell’Europa.
Phil sospira cercando con lo sguardo la protezione dei libri allineati sulla scrivania. Forte della sua solidità economica, Berlino ha provato a fuggire l’isterismo, a farsi promotrice di un paradigma d’accoglienza. Anche se alcune fonti ben informate parlano di un interesse tedesco per i migranti siriani, derivante dall’apertura di vie commerciali con l’Iran sciita. Quei rumors gli ha sentiti anche Phil. Ha conservato alcuni rapporti dei tempi della grande banca, legami che tornano utili per raccogliere informazioni.
Niente in Europa è esente dalla ragione economica, come se il continente capace di generare l’universalismo dei diritti e le grandi conquiste della modernità fosse precipitato in una spirale di egoismo.
…Nove: sei sospeso, inerte… 
Il professor Wade piega la cartina e la ripone in un cassetto della scrivania. Per concludere quella deriva in Europa non ha più bisogno di seguire una traccia o le linee di una geografia. A ovest della Germania, la Francia sembra cancellare le migliori pagine della storia europea mentre si sgretola la cittadinanza repubblicana. Dietro le lenti sfocate di una perduta grandeur, lo sguardo miope di Parigi si è allungato sulla Libia e sul Medioriente. Gli esiti di una politica estera disastrosa hanno contribuito a precipitare il Paese nell’incubo della guerra al terrore. Ai piedi della Tour Eiffel l’emergenza si palesa come strumento biopolitico: politiche securitarie erodono i diritti sancendo una sconfitta epocale di cui i socialisti sembrano non avere neppure consapevolezza.
…Al conto mentale di dieci ti troverai in Europa. Ci arriverai al dieci. E io dico dieci.   
Philip si alza. Oltre la trasparenza dei vetri, la notte è calata su Londra. Il Birkbeck è avvolto nel silenzio. Al di là della porta, nel lungo corridoio, i passi del custode devono essere risuonati l’ultima volta almeno mezz’ora prima. Sempre più spesso, il professor Wade è l’ultimo a lasciare il College. Sempre più spesso si scopre privo di una ragione per attraversare la città, straniero nella Capitale del suo Paese, vetrina scintillante dei flussi finanziari. Alcuni dicono che quei movimenti invisibili coinvolgano anche i capitali dei carnefici di migranti, i capitali dei signori della guerra sunniti.
«Welcome capitals» recita il volto sorridente del Regno Unito targato David Cameron. «Unwelcome refugees» ringhia mentre il sorriso si trasforma in un ghigno.
UK: meta prediletta per i proventi di guerre lontane, terra proibita per chi è in fuga da quelle guerre.
«Dieci» mormora Phil spegnendo la luce sulla scrivania.
Rimane fermo, in piedi, nel buio, alla fine di quel viaggio mentale nell’Europa che muore. Di là dalla Manica, sulla costa francese: Calais. Welcome to the jungle.
La giungla nella civile Europa, l’Europa sprofondata nel sonno della ragione.
“Non vi è nulla di nuovo sotto il sole”.

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