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TREDICESIMO-PIANO


mer 30 marzo 2016

LE UTOPIE DEI FORTI

Banche italiane ancora sotto i riflettori col caso Carige

30 MARZO 2016 – Mentre le azioni di Banca Carige rimangono sull’ottovolante e il fondo statunitense Apollo ha avanzato una proposta d’acquisto per gli Npl (non performing loans), oltre a un aumento di capitale da 550 milioni, raggiungiamo non senza difficoltà al telefono “The Raider”, all’anagrafe Livraghi Bruno, in stop-over romano da volo intercontinentale. Punta avanzata dell’alta finanza italiana a London City, Livraghi ha sempre fatto un vanto della sua vocazione spregiudicata e del suo fiuto infallibile per gli affari giusti: quelli a molti zeri.
Livraghi, Apollo Management International ha offerto 695 milioni per rilevare 3,5 miliardi di crediti deteriorati. Pagherà insomma meno del 20% sul valore nominale. Davvero poco, non crede?
Temo che il mercato fisserà lì il paletto, e sono numeri eclatanti. Praticamente è possibile acquisire una banca comprando con un extra sconto i crediti deteriorati e poi ripianando la falla che si apre sul bilancio intervenendo con capitali freschi. Sempre a stra sconto ovviamente. Questo è un precedente clamoroso, reiterabile in altre occasioni, magari con banche più grandi e blasonate, che presentano analoghe sofferenze e analoghe esigenze di ricapitalizzazione. E comunque, lo dicemmo tempo fa, no? Crollo, macerie e ricostruzione. Il mio hedge fund ha comprato crediti deteriorati dalle banche italiane. E ora tutti ci chiamano, ci invocano come i salvatori della patria. È andata proprio come le raccontai sarebbe andata a finire.
Facciamo un po’ di conti. Se si pagano i bad loans così poco, significa che tutto il mercato si ri-prezzerà e le banche avranno bisogno di consistenti aumenti di capitale…
L’Italia è in una posizione di ricattabilità di fronte al mercato. Il debito pubblico è così alto che il risparmio degli italiani è terra di conquista. Il punto è che i soldi ce li mette il mercato, cioè noi. Chi conquista le banche, è anche in grado di fare la strategia politico-industriale di un Paese.
Quindi, qual è il senso dell’operazione?
Il suo essere emblematica: se venisse realizzata, sarebbe la pietra miliare di una nuova relazione tra sistema bancario e capitali privati. Le banche commerciali manifestano il rischio sistemico dell’Italia, la crisi delle banche regionali è un insieme di cattiva gestione e stagnazione del Paese. In quei crediti deteriorati ci sono la corruzione e il clientelismo, da un lato, e le politiche di austerity e la contrazione economica dall’altro. La verità è che l’operazione Apollo è un toccasana per la politica, perché sposta sul risparmio privato una situazione esplosiva. Ed è un toccasana per il fondo, che genererà da quei crediti ritorni a doppia cifra per i prossimi anni.
Apollo dovrà comprare e gestire la banca, in futuro?
Ma questo non è un problema. Nuovo management, nuovi prodotti e nuovi crediti saranno gestiti dagli algoritmi. Di sicuro la banca sposterà l’asse della sua attività sulla gestione del risparmio e sui prodotti assicurativi. Sarà qualcosa di completamente diverso.
E vincono tutti, Livraghi?
Beh, no. Perde il territorio. Interi pezzi della regione passerebbero in mano a soggetti parecchio disinvolti, per così dire.
Realisticamente faranno meglio dei loro predecessori?
Qui emerge lo sconforto: sembra una via senza uscita, dove le alternative sono la svendita o il fallimento. Forse la politica dovrebbe ingegnarsi per trovare una terza soluzione.
Lo farà?
Non penso. La strada è segnata. La politica ha già delegato alla tecnologia i sogni d’una vita migliore dei suoi cittadini. Farà lo stesso con i problemi economici: li delegherà al risparmio privato.
La Bce sta facendo un pressing sempre più insistente. Pretende che si arrivi in tempi rapidi alla redazione di un nuovo piano. La fretta non è cattiva consigliera?
La funzione di vigilanza compete alla Bce, non a Bankitalia. Apollo fa il suo business, ma la Bce lo sponsorizza, con tanto d’investitura.
Che tipo di lettura complessiva è possibile dare dei mutamenti in atto sui mercati finanziari a partire da questo deal?
Nella finanza stanno emergendo dei nuovi “interpreti”, che affiancano e non sostituiscono i vecchi attori. La crisi ha fatto le sue vittime, ma come ogni crisi offre nuovi schemi. Il trading è sempre più vincolato ai regolamenti e alla convivenza con le anime delle banche commerciali. Per questo si delega al mondo che viene definito shadow banking. In realtà, in quel mondo convivono soggetti molto diversi. All’interno delle asset class, più le attività sono poco liquide e complesse, più devono attingere a un bacino informativo ricco, a volte riservato. Questa commistione è più marcata quando l’investimento riguarda istituzioni finanziarie come banche e assicurazioni, o singoli portafogli delle stesse. Gli investitori di queste istituzioni hanno bisogno di competenze specializzate e articolate per affrontare la loro complessità. Per questo, si rischia che attività rivolte a certi investimenti facciano emergere vantaggi competitivi e asimmetrie informative.
Per esempio?
Prendiamo il caso di investitori specializzati in attività illiquide come le sofferenze bancarie. L’investimento chiede un’analisi dei portafogli, attraverso una due diligence e un rapporto di riservatezza. Supponiamo che il portafogli rappresenti una delle maggiori criticità finanziarie, economiche e operative della banca. Conoscere questo portafogli dà all’investitore un privilegio informativo rispetto ad altri investimenti come il patrimonio della banca stessa. Questi investitori potrebbero essere in condizioni simili a quelle in cui operano le banche d’affari. Com’è possibile garantire la trasparenza del mercato e la tutela dei risparmiatori? Quali problemi pongono i nuovi conglomerate, dove le attività d’investimento possono incrociarsi e condizionarsi? Bisogna guardare a queste tendenze, per evitare di sostituire un problema con un altro. E per far sì che l’utente finale, sia chi deposita sia chi investe, non si trovi a pagare per tutti.
Sembra un gioco in cui tanti, troppi, rischiano di perdere tanto, troppo…
In un mondo a somma zero, la chiave è la redistribuzione. Perché qualcuno si arricchisca, qualcun altro deve perdere. Un contesto di deflazione esalta quest’effetto. Le regole garantiscono il funzionamento del gioco. E garantiscono le informazioni al mercato. Regole instabili spostano il vantaggio da una parte, è chiaro. Il gioco finisce quando non c’è più la palla, cioè le banche. O finisce quando una squadra prevale sull’altra, cioè quando il risparmio protetto di un’élite prevale su quello pubblico. Più ai ricchi significa più poveri. Le nuove regole spostano il campo di gioco, allargano le porte e cambiano i giocatori. Vince il risparmio fuori mercato, perde quello trasparente. È il regno della redistribuzione inversa, la battaglia contro la caduta tendenziale del tasso di profitto. È una guerra senza quartiere.
Lei si è laureato alla Sapienza di Roma e, se non sbaglio, ha studiato sui testi di Ezio Tarantelli, di cui in questi giorni ricorre l’anniversario della scomparsa. Come leggerebbe questi eventi, il professore?
Credo ne sarebbe profondamente sconfortato. Vedrebbe la politica abdicare al mercato, la fine del suo ruolo di ammortizzatore sociale. E vedrebbe l’accademia recitare modelli matematici in un teatro vuoto. La verità è che siamo in una società liquida e tutto ciò che avviene è figlio dei nostri tempi.
Concludendo, Livraghi: utopia o distopia?
Faccia lei. Forse utopia di pochi e distopia di molti.
Allora chiamiamole pure le utopie dei forti.

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