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MONITOR


lun 18 luglio 2016

WALL STREET E SILICON VALLEY, IL VOLTASPALLE A TRUMP

Per la finanza, così come per i big della tecnologia, senza libertà di commercio e confini aperti a tutti lo status quo è troppo a rischio

«Se alcuni pensano ad alleanze che costano l’anima, lui pensa a patti che fondano equilibri più avanzati. È successo anche qualche giorno prima, quando gli ultimi leader neo-conservatori hanno proposto un incontro riservato ai capitalisti della West Coast per organizzare un fronte comune contro Trump. C’era anche lui in quell’isola della Georgia a incontrare i Signori dell’hi-tech. Alleanze spericolate. O nuove architravi per garantire stabilità. Solo su una cosa hanno ragione: ci si vende l’anima. Ma non è sempre così, con il Diavolo?» Da Il Tredicesimo Piano. Elezioni Usa, il male minore
Mentre i 2472 delegati affluiscono e sfilano alla convention repubblicana di Cleveland (Ohio), i blocchi d’interesse dell’America 2016 prendono posizione. Prima Wall Street, poi la Silicon Valley e ancora gli investitori: uno dopo l’altro i rappresentanti della finanza e ora anche quelli del capitalismo tecnologico voltano le spalle a Donald Trump.
Allo show di Cleveland, che è anche un test per la tenuta delle diverse fazioni del Grand Old Party, i banchieri non ci sono. A differenza del 2012 a Tampa, dove era tutto un pullulare di numeri uno dell’alta finanza, i pezzi grossi, da JP Morgan a Goldman Sachs, quest’anno hanno scelto di disertare il meeting repubblicano. In pochi vogliono imbarcarsi sulla nave del tycoon che promette di fare guerra all’immigrazione, colpire gli accordi commerciali e minaccia di costruire un muro con il Messico. «Cleveland ha le carte in regola per essere uno show di m.. È un vero problema per i dirigenti perché se ci vai offendi di sicuro le donne o altre minoranze che lavorano nella tua azienda», ha dettoanonimamente un dirigente di una nota banca d’affari.
Sentimenti ostili a Trump ribollono anche nella Silicon Valley, culla dell’innovazione tecnologica made in Usa. In 140 tra manager, investitori e imprenditori hanno firmato una lettera aperta contro il candidato repubblicano. In fondo al testo compaiono i nomi di Evan Williams e Steve Wozniak, rispettivamente co-fondatori di Twitter e Apple. Grandi assenti, invece, i numeri uno dei colossi come Google o Facebook (Peter Thiel, membro del consiglio di amministrazione di Fb ha in programma un intervento a Cleveland). «Noi crediamo in un paese inclusivo che promuove opportunità, creatività e parità di condizioni. Donald Trump no», scrivono. L’accusa al potenziale inquilino della Casa Bianca è di cavalcare «rabbia, bigottismo, paura di nuove idee e nuove persone, e una convinzione fondamentale che l’America sia debole e in declino». Concludono senza sconti: «Trump sarebbe un disastro per l’innovazione. Le sue posizioni sono contro lo scambio aperto di idee, la libera circolazione delle persone, e l’impegno produttivo con il mondo esterno che sono cruciali per la nostra economia e che costituiscono le basi per l’innovazione e la crescita». Il nodo cruciale che preoccupa tanto i piani alti della finanza quanto i guru dell’high-tech è che Trump vuole escludere piuttosto che includere, chiudere piuttosto che aprire. Inneggia al protezionismo, all’isolazionismo degli Usa. Nella lettera dei 140 della SV si legge ancora: «La diversità degli Stati Uniti è la nostra forza. Le politiche di immigrazione progressive ci aiutano ad attrarre e mantenere alcune delle menti più brillanti della terra – scienziati, imprenditori, e creatori. (…) Donald Trump, nel frattempo, traffica stereotipi etnici e razziali, insulta ripetutamente le donne, ed è apertamente ostile all’immigrazione. Crediamo anche nello scambio libero e aperto di idee, tra cui Internet, che è un seme da cui scaturisce l’innovazione. Donald Trump propone di “spegnere” pezzi del web come strategia di sicurezza – dimostrando sia scarsa capacità di giudizio che ignoranza su come funziona la tecnologia». La conclusione suona come un tacito endorsement al programma dell’avversaria di Trump, la candidata democratica Hillary Clinton: «Il governo svolge un ruolo importante nell’economia della tecnologia, con gli investimenti in infrastrutture, istruzione e ricerca scientifica». Clinton, infatti, ha un piano da 275 miliardi di dollari per infrastrutture e grandi opere, da realizzare nei primi 100 giorni.
Che nella valle californiana dell’high-tech vibrassero poche simpatie per Trump era già noto, anche tra i supporter repubblicani. Finora, però, la Silicon Valley era stata abbastanza imparziale nel dispensare fondi e aiuti finanziari ai candidati in corsa per la Casa Bianca. Trump, però, con la sua aggressività ha sparigliato le carte. L’amministratrice delegata di HP Enterprise, Meg Whitman, lo ha bollato come un «demagogo, impossibile da sostenere in nessun caso».
In questo scenario, bonificare il dibattito in corso negli Stati Uniti al momento appare ugualmente impossibile. Per la finanza, così come per i big della tecnologia, senza libertà di commercio e confini aperti a tutti lo status quo è troppo a rischio. A quel punto, meglio Hillary Clinton, che il sistema invece lo rappresenta. A differenza di Trump parla di evoluzione e non di rivoluzione. Per questo rassicura anche gli investitori. Secondo uno studio ETradeFinancial riportato da CNN, il 45% degli intervistati si fida di più della candidata democratica, contro il 34% che preferirebbe Trump. Clinton, vista da molti come il male minore, lavora sotto traccia per portare i grandi finanziatori dalla sua. E finora, come ha scritto Wired, «Clinton ha una squadra di star della Silicon Valley, Trump ha Twitter».
«Il nostro sistema è un organismo complesso a garanzia dell’equilibrio. Deve assecondare l’alternanza di fasi recessive ed espansive, e dev’essere assecondato dalla politica. Nel buio del teatro, dietro le quinte, a volte perfino sulla scena illuminata, abbiamo finanziato leader che rispondevano al nostro disegno. All’opinione pubblica abbiamo offerto finte alternanze al potere. Perché noi non siamo solo il mondo della finanza: siamo l’ordito segreto della realtà, nel tempo in cui tutto è intrecciato e connesso». Da Il Tredicesimo Piano. La biofinanza contro la rabbia e il dissenso

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