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MONITOR


mar 9 maggio 2017

COSA SIGNIFICA LA VITTORIA DI MACRON PER LA GERMANIA E L’UE

Flessibilità, responsabilità, austerity: ecco cosa vuol dire Macron all'Eliseo, dal punto di vista di Berlino. L'augurio di Merkel, ma anche il no tedesco sugli eurobond a colui che si è venduto come l’uomo della svolta, il traghettatore della Francia verso un’Europa «più unita» e sempre più neoliberista, il difensore del libero commercio che propone 120 mila tagli nella Pubblica Amministrazione e risparmi per 60 miliardi di euro in Francia, e che è pronto a ridurre il surplus commerciale tedesco. Per la Germania la responsabilità sul debito resta delle singole nazioni.

Macron mise a punto la politica degli sgravi fiscali per le aziende e guidò la politica europea della Francia, in particolare col compromesso raggiunto con la Germania che nel 2012 portò alla centralizzazione delle politiche bancarie dell’Eurozona. Da Il fenomeno Macron
Sono passati cinque anni da allora. Oggi Emmanuel Macron è il presidente della République française e il suo primo viaggio da inquilino dell’Eliseo (entrerà in carica il 14 maggio) – non a caso –  sarà a Berlino.
È stato capofila della svolta liberal-socialista di Francia – prima da vice-segretario alla presidenza con François Hollande e poi da ministro dell’Economia nel secondo governo Valls.
Nella corsa alle presidenziali 2017, è diventato il candidato della “Terza via” di Parigi, né socialista né repubblicana, con il suo movimento neoliberal e centrista En Marche!.
Si è venduto come l’uomo della svolta, il traghettatore della Francia verso un’Europa «più unita», il difensore del libero commercio. Si è spinto oltre, ergendosi a portatore di «un nuovo modello di crescita» e di «un percorso di bilancio virtuoso» che, però, passa dall’austerity. La sua ricetta economica, infatti, prevede: 120 mila tagli, ovvero, posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione e risparmi per 60 miliardi di euro, nonché investimenti per 50 miliardi nei prossimi cinque anni.
È stato eletto come argine ai neofascismi, uomo-barriera anti-Le Pen, ma soprattutto – visto dalla Germania – si è tramutato in simbolo di «speranza» per l’Unione europea in profonda crisi di identità, tanto che è arrivato sull’esplanade du Louvre sulle note dell’Inno alla Gioia di Beethoven.
Non c’è nessun segnale, però, che lasci pensare a un desiderio di rovesciare il paradigma: nessuna intenzione manifesta di riformare profondamente gli assetti politici che guidano Bruxelles.
Non sembra esserci spazio per ribaltare il segno della crisi, per volgerla in sommovimento che riscriva il fondamento ordoliberale dell’Europa. Da Il blues di Parigi

Prospettiva Macron: rinsaldare l’asse franco-tedesco

Il motto è camminare insieme sulla rotta che va da Parigi a Berlino, passando da Bruxelles.
I toni sono trionfalistici, i propositi ambiziosi, le parole d’ordine: responsabilità e flessibilità.
Ricostituire l’asse franco-tedesco è l’obiettivo numero uno in Europa, ma quando si parla di eurobond e distribuzione dei debitiarriva il bastone tedesco che si oppone, per mano della cancelliera Angela Merkel.
«L’amicizia franco-tedesca è un pilastro della politica tedesca, Francia e Germania coordinano molti passi in comune (…) e si trovano oggi di fronte alla sfida comune di condurre i nostri Paesi e l’Unione europea in un futuro sicuro e di successo», ha detto Merkel che ha definito la vittoria di Macron «un grandioso successo elettorale».

«No agli eurobond», parola di Merkel

All’augurio della cancelliera, a quel «lavoreremo bene» perché «la partnership con la Francia rimane un pilastro fondamentale della politica tedesca», si aggiunge subito il chiarimento: la posizione della Germania sugli eurobond non cambia.
«L’atteggiamento del governo federale sugli eurobond tenuto finora resta valido», ha fatto sapere Merkel per bocca del suo portavoce Steffen Seibert. La responsabilità sul debito resta, insomma, per le singole nazioni – lo aveva già ripetuto più volte come un mantra. Lo spirito, dunque, è: «Poi vedremo dove troveremo i punti in comune».
Concedere più margine sugli investimenti alla Francia? Merkel ha glissato: «Come prima cosa dobbiamo cambiare la nostra politica: voglio essere d’aiuto affinché diminuisca la disoccupazione in Francia e aumentino le chance soprattutto per i giovani di trovare un posto di lavoro», ma «dobbiamo aspettare finché Macron sarà in carica», perché «ciò di cui la Francia ha bisogno sono risultati» e «il sostegno della Germania non può sostituire la politica francese, la Francia deve prendere le sue decisioni da sola e lo farà».

Flessibilità, flessibilità, flessibilità. E il surplus commerciale tedesco?

L’egemone d’Europa con il suo bastone sul commercio e un surplus che Macron vorrebbe ridurre elogia il recente percorso di Parigi e il nuovo presidente che ha guidato la svolta liberal-socialista di Hollande anni fa: «Credo che, in relazione alla Francia, se si osservano i risultati degli ultimi anni, sia stata dimostrata flessibilità nell’adempimento del patto di stabilità e crescita europeo».
Riguardo al surplus commerciale Merkel ha risposto che la Germania ha le mani legate: «Una parte delle nostre eccedenze nelle esportazioni ha a che fare con la qualità dei nostri prodotti, non lo mette in dubbio nessuno; una parte con la politica della Bce, che non possiamo influenzare, e una parte con la questione se possiamo fare di più nel settore pubblico».

La lunga corsa di Merkel verso le elezioni

Se per Merkel la vittoria di Macron è una vittoria dell’Europa, di certo è un trionfo per uno specifico modello di Ue, che la cancelliera tedesca non ha intenzione di scalfire né in patria né fuori.
Candidata della Cdu per la quarta volta, adesso guarda alle elezioni federali in programma per il 24 settembre. Forte della vittoria al voto regionale nello Schleswig-Holstein, il Land che affaccia sul Baltico e sul Mare del Nord, con il giovane Daniel Guenther, Merkel è sempre più convinta di potere cancellare l’entusiasmo dei socialdemocratici e le loro speranze per Martin Schulz, che fino a pochi mesi fa sembrava l’uomo del miracolo.
Il cambio di rotta tanto millantato, dunque, dalla Francia alla Germania non è così concreto.
Il neo-liberismo traccia nuove geografie su cui il populismo tesse narrazioni. Il primo plasma i territori, scompone continuità e marca profonde cesure, il secondo non ricompone politicamente, bensì approfondisce i solchi e crea antagonismi surrettizi. Da Il blues di Parigi

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