Decodificare il presente, raccontare il futuro

MONITOR


lun 3 settembre 2018

VIENI A CHINATOWN

I più celebri quartieri cinesi del mondo, quello di New York e quello di San Francisco, ma anche altrove in Europa, come quello di Lisbona e di Londra, quello dell’Esquilino a Roma e, il più importante d’Italia, quello in Canonica-Sarpi a Milano, sono ormai da anni sotto attacco. A colpi di sfratti e di aumenti del costo di alloggi e attività, la composizione degli abitanti viene messa sottosopra. «Vieni a Chinatown» sembra essere il richiamo più cool del momento, dando il via, negli ultimi anni, a trasformazioni importanti, che forse possono esserci d’aiuto per una proiezione anche sul futuro italiano e (ovviamente) globale.

Locali alla moda, stradine alberate, ristoranti gourmet. Sempre più frequentatori e residenti che non hanno origine cinese. Sempre meno persone d’origine cinese.
È in atto un processo di gentrification, nella Chinatown di Milano, che non ha ancora prodotto un’espulsione significativa della comunità locale ma semina indizi promettenti.
Quartiere Canonica-Sarpi, quadrante nord di Milano, tra il Cimitero Monumentale e Parco Sempione. La Chinatown urbana più importante d’Italia si distribuisce intorno all’asse principale di via Paolo Sarpi. Qui i cinesi ci sono da quasi un secolo, dalla metà degli anni Venti. Da quando un primo nucleo di migranti lascia la provincia dello Zhejiang per lavorare il tessile in Europa. La zona si presta bene con i suoi cortili, i magazzini, la possibilità di allestire laboratori.
Per decenni il numero di cinesi a Milano rimane esiguo, il radicamento piuttosto invisibile. A segnare il grande scarto sono gli anni Ottanta, quando la migrazione diventa notevole, arriva il primo ufficio consolare in Italia (1987) e la prima festa pubblica del capodanno cinese (ancora 1987).
Collocazione centrale, appetibile. Prezzi relativamente bassi, grazie a una recente condizione di famigeratezza. Elemento esotico. Potenziale di profitto inespresso. Ci sono abbastanza elementi, insomma, per attirare un processo di gentrification.
Un ulteriore elemento di sostegno è la cosiddetta riqualificazione del 2010/11, che attraverso la pedonalizzazione e altre misure ha messo ordine in una zona caotica, di difficile controllo.
Parallelamente, l’abbiamo già raccontato, si sta giocando una partita simile a Roma, nel quartiere Esquilino. Perché forse si sta finalmente scardinando la Chinatown della capitale, dove la famigeratezza e gli allarmi-degrado hanno finora tenuto lontane le grandi speculazioni.
Ma anche altrove in Europa, negli ultimi anni, si è assistito a trasformazioni importanti, che forse possono esserci d’aiuto per una proiezione sul futuro italiano.
La più brutale è la ricollocazione, imposta dall’alto, che sul finire del Novecento è toccata alla Chinatown di Lisbona, nella municipalità di Marvila, insediata lì dagli anni Quaranta. Un’altra opzione classica è lo sparpagliamento, avvenuto per esempio a Londra. Dove la Chinatown si è svuotata (74% di popolazione non-cinese) e di cinese ha mantenuto l’involucro esotico per soddisfare i desideri dei turisti.
Lo svuotamento qui ha avuto una doppia spinta: quella dei sino-inglesi benestanti che si sono spostati in zone più prestigiose, e quella di chi è stato scacciato perché impossibilitato a reggere l’urto degli aumenti. “Un’ulteriore marginalizzazione dei poveri” l’ha definita la professoressa Knowles della Goldsmiths University of London.
Di recente abbiamo poi accennato a quanto successo nella Chinatown di San Francisco, la più longeva degli Stati Uniti: la comparsa nel 2016 di manifesti che mettevano all’indice gli host degli alloggi Airbnb nel quartiere. Nome, cognome e fotografia. La scritta “Wanted” come nel Far West. Una reazione minacciosa ma quantomeno consapevole, accompagnata com’era da scritte molto precise: “Distruggono l’accessibilità degli alloggi per immigrati, minoranze e famiglie a basso reddito”.
Negli Stati Uniti, dove questi processi sono più avanzati, la retorica imperante vuole che le Chinatown abbiano bisogno di revitalization. Qualcosa di più sottile, cioè, della retorica della riqualificazione del degrado: come se ci fosse bisogno di vivacizzare lo spettacolo, per un pubblico di turisti che vuole divertirsi (e di investitori che vogliono speculare).
Dagli anni Novanta, Los Angeles non ha più il suo quartiere dalle atmosfere fumose che Roman Polanski raccontava in Chinatown(1974). È verosimile che l’immaginario di lanterne rosse e malavita, creato dallo stigma, abbia avuto un ruolo cruciale nel processo che ha cacciato i cinesi dalla zona sostituendoli con gallerie d’arte, bar pagoda-style, turisti che fotografano insegne che non capiscono.
Anche la più celebre Chinatown del mondo, quella di New York, è da anni sotto attacco. A colpi di sfratti e di aumenti del costo di alloggi e attività, la composizione degli abitanti viene messa sottosopra. Gli affitti a prezzo convenzionato sono ormai una rarità.
Spuntano boutique e hotel dai prezzi elevati, spariscono i piccoli negozi familiari, in assenza di una misura urbanistica come quellache protegge l’East Village da edifici fuori scala e usi commerciali diversi dagli esistenti. Arrivano giovani professionisti bianchi, se ne vanno i sino-americani. E quelli che restano, rischiano di ritrovarsi al Columbus Park come in una riserva.
Lo stesso succede a Philadelphia e Boston. Già alcuni anni fa l’Asian American Legal Defense and Education Fund evidenziava come nelle tre metropoli la popolazione asiatica fosse diminuita tra 2000 e 2010 costantemente, mentre la percentuale di bianchi aumentava.
Questo displacement è per la maggior parte legale, il che non significa però che ci sia da assistere serenamente a una ricomposizione tanto brusca. Anche perché, ad esempio, la trasformazione coinvolge pure la tipologia degli edifici: sempre più condomini di lusso, sempre meno edifici dai costi accessibili.
A essere penalizzato, come sempre, è il senso di comunità che anima un territorio. E quindi il territorio stesso.

Per approfondire:
– AALDEF, Chinatown Then and Now. Gentrification in Boston, New York and Philadelphia, 2013
– Lidia Katia C. Manzo, Via via, vieni via di qui!. Il processo di gentrificazione di via Paolo Sarpi, la Chinatown di Milano (1980-2015), 2016

NEWSLETTER


Autorizzo trattamento dati (D.Lgs.196/2003). Dichiaro di aver letto l’Informativa sulla privacy.



LEGGI ANCHE: