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gio 14 giugno 2018

IL VIAGGIO DEI MALEDETTI

Il 13 maggio 1939, pochi mesi prima dallo scoppio della seconda guerra mondiale, la nave St. Louis salpa da Amburgo con a bordo 937 passeggeri, tutti ebrei, per sbarcare a Cuba. Sull’isola, nel frattempo, un nuovo decreto governativo stabilisce che i documenti dei migranti in arrivo non sono più validi, e che per questo gli verrà negato l’approdo. La nave allora raggiunge le coste della Florida, e anche lì viene respinta, poi quelle del Canada, e ancora lo stesso copione. Questa è la storia di un “viaggio maledetto”, che dura un mese di vana navigazione, perché tutti i porti vengono chiusi in faccia alla St. Luis.

C’è una nave in mezzo al mare. A bordo, centinaia di persone: donne, bambini, uomini in fuga. Non vogliono guardare dietro, nella direzione che hanno lasciato. Cercano un porto dove sbarcare. Ma nessuno li accoglie.
È la primavera del 1939. Quattro mesi dopo scoppierà la Seconda Guerra mondiale. La nave è un modello di lusso, lungo quasi duecento metri e costruito in Germania. Si chiama “St. Louis”. I passeggeri sono 937: tutti ebrei, eccetto sette persone. Scappano dalle persecuzioni naziste, che negli ultimi tempi sono diventate insostenibili (sei mesi prima c’è stato il pogrom della Notte dei Cristalli).
Il loro passerà alla Storia come il “viaggio dei Maledetti”.
Il 13 maggio il transatlantico salpa da Amburgo. Ogni passeggero ha un regolare documento per sbarcare a Cuba, approvato dall’Ufficio immigrazione dell’isola. Considerano l’approdo a Cuba un transito, per provare poi a raggiungere gli Stati Uniti. Risultano turisti, grazie a una lacuna di un decreto cubano che non distingue chiaramente il turista dal rifugiato.
La traversata dura due settimane. Mentre la nave sta affrontando l’Atlantico, il decreto lacunoso viene sostituito con un nuovo decreto dal governo cubano: i documenti dei passeggeri della St. Louis non sono più validi.
Quando la nave raggiunge L’Avana, il presidente Federico Laredo Brú, nazionalista, uomo di Fulgencio Batista, rifiuta lo sbarco. Per sette giorni il capitano della nave negozia per convincere le autorità, ma senza successo. Solo in 29, tra i Maledetti, riescono ad avere comunque accesso all’isola. Restano ancora 908 persone.
Il capitano Gustav Schröder ha 54 anni ed è in mare da quando ne aveva sedici. Non è ebreo. Il venerdì permette che sulla St. Louis si svolga la tradizionale preghiera ebraica e fa togliere il ritratto di Hitler dalla sala da pranzo.
Schröder sa che ottenere il permesso di entrare negli Stati Uniti sarà difficilissimo, considerato l’Immigration Act che dal 1924 stabilisce limitazioni nel numero dei migranti ammessi. Eppure tenta.
La St. Louis raggiunge le coste della Florida, dove è costretta ad aspettare. I negoziati proseguono per lunghe ore. La quota di migranti ammessi dalla Germania per il 1939 (27.370) è già stata raggiunta, bisognerebbe andare in deroga per questioni umanitarie. Si coinvolge direttamente Franklin Delano Roosevelt, con un telegramma al quale però il presidente non risponde.
Via via diventa chiaro che gli Stati Uniti non permetteranno lo sbarco. I bambini sulla nave studiano le espressioni ansiose dei genitori, per capire quanto la situazione sia grave.
Ci sarebbe ancora il Canada. La St. Louis è a due giorni di navigazione da Halifax. Ma anche le autorità canadesi decidono di tenere i loro porti chiusi ai Maledetti, nonostante un accorato appello di accademici ed ecclesiastici del Paese. D’altronde è il Canada dove un agente dell’Ufficio immigrazione nel ‘39 rispose, a chi gli chiedeva quanti ebrei sarebbero stati accolti dalle persecuzioni europee, con la celebre frase: “None is too many”.
Il 6 giugno, l’unica possibilità è tornare indietro, nell’Europa minacciata da Hitler. La St. Louis è in viaggio da quasi un mese. A bordo si tocca la disperazione. L’equipaggio deve tenere a bada il tentativo di rivolta di alcuni giovani. Un passeggero si taglia i polsi e si butta in mare.
Iniziano fitte trattative con i governi europei per dare rifugio ai passeggeri, tenerli lontani dalla Germania nazista. Il capitano Schröder ipotizza di incagliare la nave a ridosso delle coste inglesi, in modo da costringere il Regno Unito ad accogliere i passeggeri in quanto naufraghi.
Il 17 giugno la St. Louis sbarca ad Anversa. Sono trascorsi trentacinque giorni dalla partenza.
Regno Unito, Francia, Belgio e Olanda aprono le loro porte. I migranti vengono suddivisi in quote e dal porto di Anversa mandati in ciascuno di questi Paesi. Quasi un passeggero su tre non sopravviverà, secondo gli studi dello United States Holocaust Memorial Museum.
I più fortunati sono quelli destinati al Regno Unito (solo una vittima) e quelli che riescono a lasciare l’Europa nelle settimane prima dello scoppio della guerra.
Di chi rimane sul continente, se ne salvano 278. Gli altri sono 254, e muoiono nei campi di sterminio, nei campi d’internamento o nei tentativi di cercare scampo. Da alcuni mesi è attivo un account Twitter, St. Louis Manifest, che pubblica i loro nomi e le loro fotografie.
Il mio nome è Max Hirsch. Sono uno dei tanti passeggeri della St. Louis rispedito indietro dagli Usa 79 anni fa. Sono morto nel campo di concentramento di Mauthausen. #NeverAgain

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