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MONITOR


lun 12 dicembre 2016

IL VENTO DI DESTRA

Obiettivo numero uno: attaccare l'euro e l'Ue da destra. Nell’era della (quasi) post-austerità, nel tempo in cui la globalizzazione va ripensata, ai margini dell’Europa si ingrossano le file dei detrattori del progetto comunitario. Chi ieri ha seminato austerità, oggi raccoglie fascismi e populismi che invocano protezionismo e detassazione, retorica anti-immigrati e rinazionalizzazione delle masse

Sul piano strettamente politico, le connessioni e gli intrecci su cui si fondava la stabilità in area Ue sono saltati, la crisi di legittimità è ormai endemica, la perdita di egemonia da parte dei partiti tradizionali (moderati e socialisti) è sotto gli occhi di tutti. Ovunque, in Europa, si attivano processi, emergono parole d’ordine e si formano linguaggi tendenti a coagulare il rifiuto dello stato di cose presente. La convergenza tra conservatori e socialdemocratici, il modello della grande coalizione, pilastro del cosiddetto estremismo di centro, sta perdendo aderenza. Da Germania-Europa: nessun grado di separazione – Il Tredicesimo piano 
Rinazionalizzare le masse è la regola numero uno. Poi lo schema si sviluppa come segue, è un crescendo: parlare al «popolo», mobilitarlo indiscriminatamente contro una minaccia percepita (gli immigrati, le élite, l’establishment, la moneta unica), poi ridefinire i rapporti tra lo Stato e i cittadini, tra lo Stato e il resto del mondo, ristabilire la sovranità nazionale, securizzare il territorio.

In un solo motto: attaccare l’euro e l’Unione europea, da destra.

Nell’era della (quasi) post-austerità, nel tempo in cui la globalizzazione va ripensata, ai margini dell’Europa si ingrossano le file dei detrattori del progetto comunitario. Ufficialmente l’Ue sembra aver abbandonato la retorica dell’austerity – grande assente nel discorso sullo Stato dell’Unione pronunciato dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, a settembre.

Ma chi ieri ha seminato austerità, oggi raccoglie fascismi e populismi.

Mentre la sinistra prova a riagganciare porzioni di elettorato perduto, dalla Francia all’Olanda, c’è chi promette di lavorare per le «banlieu patriottiche» ed eliminare scuola e cure gratis per i figli degli immigrati irregolari, come Marine Le Pen del Front National. C’è chi assicura politiche di detassazione per gli olandesi e divieto assoluto di moschee come Geert Wilders del Partij voor de Vrijheid, il Partito della Libertà. C’è chi ambisce a rubare voti al Labour e invoca il sovranismo, come Paul Nuttall nuovo leader dell’Ukip britannico. C’è chi vuole una Germania senza euro e gli immigrati confinati in due isole lontane dal Vecchio continente, come Frauke Petry, leader dell’Alternative für Deutschland.

Il minimo comun denominatore è il ripudio della moneta unica e degli euroburocrati, misto a una retorica isolazionista e sigilla-frontiere contro l’immigrazione.

In principio è stata la Brexit. Ha fatto da detonatore alle istanze populiste, alla rabbia sociale, alla frustrazione per i processi di deregolamentazione del lavoro e le disuguaglianze. È diventata anche il collettore di proclami xenofobi, slogan nazionalisti, sparate sovraniste e anti-establishment.
La Gran Bretagna del nostro passato prossimo sembra segnare il percorso alla nuova Europa di oggi.
La narrazione della destra populista sfrutta lo stato sociale come arma di mobilitazione delle masse contro lo status quo incanalandolo in un discorso prettamente nazionalista, dove il diritto di nascita si impone come sovrano rispetto alle regole democratiche.

Gli elementi sembrano ricomporre in parte la cornice politica degli anni Ottanta. Ci sono tre fattori a rendere il quadro tanto diverso quanto più complesso:

1) i processi di globalizzazione e deglobalizzazione; 2) l’immigrazione percepita come un attacco alla sicurezza sociale ed economica della nazione ; 3) l’ingresso della religione (e non solo della razza) nella retorica di estrema destra, sempre intesa in una logica binaria noi versus voi. [emblematico il caso dell’estrema destra britannica, leggi qui il nostro focus]

A PAROLE LORO: «FREXIT», «NEXIT» E «BAZOOKA ANTI-UE»

24 giugno 2016, all’indomani della Brexit

Frexit, uscita della Francia dall’Unione europea: la invoca il Front National di Marine Le Pen. «Vittoria della libertà! Come chiedo da anni ora serve lo stesso referendum in Francia e nei Paesi dell’Ue», scrive su Twitter la numero uno del FN. Il suo braccio destro, Florian Philippot, aggiunge: «La libertà dei popoli finisce sempre per vincere. Bravo Regno Unito. Ora tocca a noi». La più piccola della squadra, Marion Le Pen, riassume: «Dalla Brexit alla Frexit, è ormai ora di importare la democrazia nel nostro paese. I francesi devono avere il diritto di scegliere».
Nexit, ovvero divorzio di Amsterdam da Bruxelles: la chiede Wilders. «Urrà per i britannici. Ora è il nostro turno. È tempo per un referendum olandese. Se diventerò primo ministro, ci sarà un referendum anche in Olanda per abbandonare l’Unione europea, lasciamo decidere il popolo olandese. Vogliamo essere responsabili per il nostro Paese, la nostra moneta, le nostre stesse frontiere, e la nostra politica migratoria», ora «è tempo per un nuovo inizio facendo affidamento alla nostra stessa forza e sovranità, anche in Olanda».
«I tempi sono maturi per una nuova Europa», twitta Petry dell’AfD. Euroscettica sì, ma vuole riformare l’Unione, non uscirne.

Pochi mesi dopo

A settembre Le Pen si appella alla «Francia dei dimenticati»,al «Paese che soffre», a coloro che cercano la grandeur perduta. Ribadisce: «Se sarò eletta organizzeremo un referendum per uscire dall’Ue». Aggiunge: «La miglior risposta contro il terrorismo è la scheda nell’urna». A dicembre lancia un messaggio chiaro sull’immigrazione: «La ricreazione è finita, stop a scuola e cure gratuite per i figli dei clandestini».
Alla fine di novembre Frauke Petry snocciola la sua ricetta anti-Ue e anti-Merkel. Lavora per: «la fine dell’euro, la riforma dell’Unione europea, un programma diverso sull’immigrazione e nuove politiche per la famiglia. Ma il nostro successo dipende anche dal fallimento di Cdu e liberali. Oggi in Germania chi è conservatore non ha più una patria». Nella stessa intervista aggiunge: «Al momento punto ad essere la capolista di AfD per entrare nel Parlamento nazionale e diventare capogruppo del principale partito di opposizione. A quel punto, alle elezioni del 2021, posso correre per la Cancelleria. Ma una cosa alla volta: prima viene l’opposizione, poi il governo».
Il 1 dicembre, l’Ukip che ha promosso la Brexit torna alla carica cercando di compattare gli elettori del Leave. Paul Nuttall, nuovo leader dopo Farage dichiara guerra alla sinistra laburista: «Voglio sostituire il Labour e rendere il mio partito la voce patriottica delle persone che lavorano».
Il 4 dicembre l’Italia vota al referendum sulla Costituzione. I populisti europei esultano, leggono la vittoria del no comeun «bazooka» contro Bruxelles. Farage dice: «La Brexit è stato il primo mattone abbattuto nel muro e la vittoria di Trump è stata una Brexit al cubo sulla scena globale. Nel referendum italiano, il popolo ha sparato con un bazooka contro l’establishment pro-Ue, dando voce a chi si oppone alla centralizzazione del potere e a chi gli ha imposto l’austerità e i diktat di Bruxelles». Continua: «Questo è un colpo di martello contro l’Euro e l’establishment pro-Ue che ha dato agli italiani più povertà, disoccupazione e meno sicurezza a causa dell’immigrazione di massa. La Ue sta barcollando da una crisi all’altra: rapide elezioni appaiono necessarie in modo che gli italiani abbiano l’opportunità di liberarsi dell’establishment pro-Ue».
Le Pen parla di «un no di speranza», perché «aggiunge un nuovo popolo alla lista di quelli che vogliono voltare le spalle alle assurde politiche europee». Usa la retorica dello stato sociale per schiacciare l’Ue da destra, si scaglia contro «la purga dell’austerità in Italia oltre ad essere profondamente antisociale, non ha portato alcun risultato economico». Poi commenta la situazione francese: tutto questo è «anche un segnale per la Francia dove l’austerità viene applicata da anni e alcuni candidati, Fillon in testa, vorrebbero accelerarla per raggiungere lo stesso livello dell’Italia».
Il 9 dicembre Wilders, ormai favorito alle elezioni di marzo 2017, viene condannato per incitamento all’odio. In un discorso del 2014, infatti, aveva chiesto alla folla se volesse «più o meno» marocchini in Olanda. Alle grida di chi rispondeva «meno», aveva replicato: «Ci occuperemo di questo». Come scrive nel suo manifesto di undici punti, pubblicato ad agosto su Facebook, il leader dell’ultra destra vuole in primis la de-islamizzazione dei Paesi Bassi. Come avevamo scritto qui, lo slogan di Wilders somiglia molto a quelli del «volto borghese» della destra populista tedesca, Frauke Petry, di Orbán in Ungheria, e ancora di Jaroslaw Kaczynski del PiS polacco, esempio perfetto di “democratura” europea: «La nazione [l’Olanda] torni a essere nostra».
Se un vento di destra spira sull’Europa, staremo a vedere quanto gli Stati dell’Unione saranno piegati. I prossimi appuntamenti elettorali sono fissati per marzo 2017 in Olanda, maggio in Francia e settembre-ottobre in Germania.
Da decenni giochiamo una grande battaglia nel segno della continuità, della supremazia del nostro modo di vivere, della conservazione dell’Occidente. Abbiamo preso tempo. Abbiamo protratto, in una lunga notte bianca, gli ultimi chiarori del tramonto. Abbiamo trasformato ogni sommovimento strutturale in una congiuntura, ogni fattura irricomponibile in un ciclo. C’eravamo ieri, ci siamo oggi, e ci saremo domani. E quando noi non ci saremo, la nostra visione continuerà. Chi ha paura del risveglio? – Il Tredicesimo piano

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