Un dispiegamento di forze altamente dipendente, per logistica e intelligence, dal vicino alleato pachistano: dal Pakistan partivano i droni armati americani, passavano i convogli di rifornimenti, arrivava l’intelligence necessaria a svelare obiettivi sensibili oltreconfine.
Otto anni dopo, poco è cambiato nella sostanza: le truppe statunitensi in Afghanistan sono scese a 14mila unità, il Pakistan continua a fornire supporto logistico e militare a Washington, intrattenendo relazioni più o meno segrete con alcune delle principali sigle terroristiche dell’area – in particolare Lashkar-e-Taiba, Haqqani Network e quel che rimane di Al-Qaeda – mentre è impegnato in operazioni antiterrorismo nel Waziristan del Nord.
Il Pakistan, francamente, è il miglior peggior alleato su cui Washington abbia potuto contare in questi anni di conflitto, facendo buon viso a cattivo gioco sulla collaborazione intermittente con i servizi segreti locali (Inter-Services Intelligences, Isi) e sulla parte “deviata” dell’esercito pachistano, doppiogiochisti nel dna.
Un’alleanza sporca ma necessaria che mai come negli ultimi giorni rischia di saltare definitivamente, grazie ai metodi poco ortodossi, e ancor meno diplomatici, impiegati dall’amministrazione Trump.
Dopo mesi di minacce poco velate nei confronti di Islamabad, accusata di «aiutare e proteggere le stesse organizzazioni terroristiche cui stiamo dando la caccia in Afghanistan», il primo gennaio, attraverso il suo canale diplomatico preferito – Twitter – Donald Trump ha sganciato l’ultimatum.
«Gli Stati Uniti hanno stupidamente dato al Pakistan oltre 33 miliardi di dollari in aiuti negli ultimi 15 anni, ricevendo in cambio nient’altro che menzogne e inganni: pensano che i nostri leader siano degli sciocchi. Proteggono gli stessi terroristi cui noi diamo la caccia in Afghanistan. Ora basta!» ha twittato Trump poco prima che la Casa Bianca annunciasse la sospensione – a tempo indeterminato – dell’ultima tranche di fondi per la sicurezza garantita da Washington a Islamabad perché la guerra al terrore continuasse sotto l’egida americana.
La cifra reale dovrebbe ammontare a 1,3 miliardi di dollari, tra rimborsi per le attività antiterrorismo che impiega l’esercito pachistano in Waziristan e i “buoni acquisto” elargiti per fare rifornimenti bellici da compagnie statunitensi.
Con una posa paternalistica tutt’altro che diplomatica, gli Stati Uniti hanno chiarito che la linea di credito sarà riaperta quando il Pakistan dimostrerà di prendere la propria missione antiterrorismo seriamente.
Presa in contropiede, la caotica leadership pachistana ha reagito rispedendo le accuse al mittente, col ministro degli esteri Khawaja Asif a guidare la carica di dichiarazioni contro il tradimento di Washington. «Non abbiamo più alcuna alleanza [con gli Usa]. Non è così che si comportano gli alleati» ha spiegato Asif al «Wall Street Journal», descrivendo come un “terribile errore” la decisione presa nel 2001 dall’amministrazione Musharraf di partecipare alla campagna militare statunitense in Afghanistan.
«Ora godiamo di un periodo relativamente tranquillo in Pakistan, ma se ci mettiamo contro quella gente [i terroristi afghani, ndr], ci portiamo la guerra a casa nostra, cosa che non dispiacerebbe agli Stati Uniti», ha indicato Asif, chiarendo che “il Pakistan non è solo” e potrebbe decidere di scaricare gli Usa in favore di altri alleati.