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MONITOR


mar 19 luglio 2016

TURCHIA: WHAT’S NEXT?

Come avverrà il riallineamento mondiale post-golpe? Per non restare intrappolati nella lotteria di risposte alla classica domanda What’s next now?

«Aveva registrato tutto, testato il potere della menzogna e i pericoli della debolezza, ma non aveva mai perso la speranza di trovare una via di fuga.» Da “I diavoli” di G. M. Brera (Rizzoli, 2014)
19 LUGLIO 2016 – In una nota dal carcere, datata 1930, Antonio Gramsci osservava: «La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati». In questa trappola tra passato e presente si trova la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. All’indomani del golpe fallito del 15 luglio, il Paese è finito in un limbo geopolitico, imbrigliato dalla reazione muscolare di un presidente che non ha nessuna intenzione di abdicare. Nel giro di quattro giorni, Ankara ha sbattuto in carcere i militari responsabili del tentato colpo di Stato e ha indispettito Stati Uniti e Unione europea (ma senza troppe conseguenze effettive al momento), rilanciando la volontà di reintrodurre la pena di morte (abolita nel 2004 per venire incontro alle richieste europee nei negoziati per l’adesione all’Unione). Ma ha anche incassato il sostegno dell’Iran di Hassan Rouhani da un lato e il rinnovato appoggio della Nato dall’altro («La Turchia è un alleato valido dell’Alleanza atlantica con il quale sono solidale in questo momento difficile», ha detto il segretario generale, Jens Stoltenberg), mentre si è allontanata sempre di più dall’Egitto del generale al-Sisi. Tutti questi cambiamenti hanno iniziato a vibrare nell’aria in parallelo alle manovre di distensione con Russia e Israele.
Come avverrà il riallineamento mondiale post-golpe? Per non restare intrappolati nella lotteria di risposte alla classica domanda What’s next now? (E adesso che succede?) o in strampalate teorie cospirazioniste conviene procedere con ordine e mettere in fila dichiarazioni ufficiali, moniti e frecciate neanche tanto velate. Per capire, torniamo all’interregno e ai «fenomeni morbosi più svariati».
A golpe praticamente archiviato, Erdogan ha giocato su un doppio binario: repressione in casa e provocazione all’esterno. La reazione interna è stata di oltre ottomila arresti solo nelle prime ventiquattro ore, correlata a una massiccia epurazione di circa diecimila ufficiali dell’esercito. La risposta del “Sultano” agli occhi del mondo, invece, è stata la seguente (ribadita da Erdogan in persona durante un comizio a Istanbul proprio stamattina, nonostante le raccomandazioni degli alleati): «La pena di morte c’è negli Stati Uniti, in Russia, in Cina e in diversi Paesi del mondo. Solo in Europa non c’è». Erdogan ha dato in pasto a giornali e tv teorie della cospirazione anti-americane sulla presunta protezione accordata da Washington Fethullah Gülen, considerato da Ankara ispiratore del golpe fallito, in esilio da vent’anni in Pennsylvania e nemico giurato di Erdogan. Infatti la Turchia dopo il golpe avrebbe chiesto l’estradizione immediata di Gülen (mai avvenuta) e la temporanea chiusura della base aerea Nato di Incirlik: una tattica per fare pressione su Obama. Gli Stati Uniti hanno risposto a quella che potrebbe essere una delle più grosse crisi all’interno della Nato negli ultimi cinquant’anni: da un lato minacciano, dall’altro per ora mantengono lo status quo. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha detto che «la Nato valuterà molto attentamente cosa sta succedendo in Turchia», ma gli Usa «aiuteranno a portare alla giustizia i responsabili del tentativo di colpo di Stato», chiedendo comunque «cautela verso azioni che vanno ben al di là» di questo obiettivo.
La posta in gioco è parecchio alta. Per gli Stati Uniti, indispettiti anche dal riavvicinamento di Ankara con Mosca, la Turchia gioca logisticamente un ruolo fondamentale all’interno della coalizione antiterrorista contro l’Isis, cruciale nel sud del Paese. Ergo, per la Casa Bianca, la Turchia nella Nato non può essere messa in discussione.
Gli Stati Uniti, in coro con l’Unione europea, hanno chiesto immediatamente alla Turchia di «rispettare la democrazia, le libertà fondamentali e lo stato di diritto» nella sua risposta al tentato colpo di Stato. L’avvertimento è arrivato durante una conferenza stampa congiunta dell’Alto rappresentante europeo, Federica Mogherini, e del segretario di Stato americano, John Kerry.
Eppure, sulla carta la Ue considera ancora la Turchia un «partner» e segue i fatti di questi giorni «con atteggiamento amichevole», parole di Mogherini. Al momento il quadro «è particolarmente preoccupante», ha aggiunto l’alto rappresentante per gli esteri Ue, quindi per adesso si auspica «il ritorno al rispetto dello stato di diritto. In futuro, però, «potrebbe servire una nuova riflessione strategica» sui rapporti, «ma in un secondo momento, ora la situazione si deve stabilizzare». L’Unione europea, nelle note conclusive del Consiglio degli esteri sulla Turchia, «condanna nel modo più forte il tentato colpo di stato in Turchia e ribadisce il pieno sostegno alle legittime istituzioni del Paese», «deplora l’alto numero di perdite», «dà il benvenuto alla posizione comune dei partiti a sostegno della democrazia in Europa» e domanda che «si faccia tutto il possibile per evitare ulteriore violenza», ribadendo che «il rigetto della pena di morte è elemento essenziale» per l’Ue.
L’unico a usare toni poco diplomatici è stato il commissario europeo che sta negoziando l’adesione della Turchia all’Europa, Johannes Hahn, il quale ha apertamente accusato il governo turco di «aver preparato» le liste degli arrestati prima del golpe fallito, in modo da attaccare con questo pretesto l’opposizione interna.
Il nodo cruciale per l’Europa, difficilissimo da sciogliere ora più di prima, è dunque quello dei diritti umani: «Nessun paese può diventare membro dell’Unione se introduce la pena di morte», continua a ribadire l’Ue, e la Germania ripete lo stesso refrainaggiungendo, per bocca del portavoce della cancelliera tedesca Angela Merkel, Steffen Seibert, che «la reintroduzione della pena capitale in Turchia determinerebbe di conseguenza la fine dei negoziati di adesione».
Ma non è tutto. Altro pomo della discordia tra Ankara e Bruxelles è la nuova legge antiterrorismo varata da Erdogan, che permette a chiunque si opponga al governo di essere incarcerato. La cancellazione di questa legge è condizione fondamentale perché l’Ue accetti l’ingresso di cittadini turchi senza visto. C’è un però: Erdogan, dopo il colpo di Stato, si sente ancora più forte e così in grado di sfidare l’Unione dei 28. Ha guadagnato maggiore legittimità e la sua posizione, almeno rispetto all’Europa è rafforzata dall’accordo in cui la Turchia ha accettato di arginare i flussi migratori verso l’Ue.
Se guardiamo, inoltre, allo scacchiere internazionale attraverso una lente più allargata, la Turchia di Erdogan sta ricucendo diverse e delicatissime alleanze. In cima alla lista c’è quella con Israele.Secondo quanto scrive il quotidiano Haaretz, il ritorno di Ankara «alla strategia del “nessun problema con i vicini” non verrà compromessa in alcun modo dal tentato colpo di Stato. La riconciliazione con Israele, si prevede, avverrà». La logica, sia nel caso israeliano che nelle trattative con la Russia, sarebbe strumentale: verrebbe così sottolineata la rapida «normalità post-golpe a cui la Turchia è tornata». La matassa geopolitica è parecchio ingarbugliata, visto che Ankara, che è nella NATO e ha concesso la base di Incirlik su richiesta americana, aveva recentemente aperto alla Siria su pressione russa.
Non ultimo in questo quadro si piazza l’Egitto guidato dal generale al-Sisi, salito al potere nel 2013 con un colpo di Stato. Come fa notare Haaretz, «nella sua prima apparizione pubblica dopo il golpe fallito, Erdogan ha agitato la mano con le quattro dita tese e il pollice piegato, gesto di chiaro sostegno ai Fratelli musulmani, al potere fino al colpo di stato di al-Sisi. Il messaggio non era tanto sottile: la Turchia non è come l’Egitto».
What’s next? La risposta è sempre più complicata. Anche perché alle scelte politiche si intrecciano gli interessi economici. Come ha scritto l’economista turco Dani Rodrik, «il tentativo di golpe è una cattiva notizia anche per l’economia. La recente riconciliazione, abbastanza superficiale, di Erdogan con Russia ed Israele è stata verosimilmente motivata dalla volontà di ristabilire i flussi di capitali esteri e di turisti». A differenza di Haaretz, per Rodrik, «tali speranze sono ormai improbabili da realizzare», per via delle profonde divisioni politiche della Turchia. Il rischio è che – a golpe fallito e accantonato – Erdogan invece che abdicare diventi un vero e proprio sultano.
«Phil aggrotta la fronte, mentre fissa quel lembo di terra: la Turchia europea, l’ultima traccia di un Impero che nel 1529 arrivò ad assediare Vienna. Passato e presente si confondono in un gioco di ripetizione e differenze. “Non vi è nulla di nuovo sotto il sole” è scritto nell’Ecclesiastae. E questa volta non sono le armate di Solimano il Magnifico a marciare verso il cuore dell’Europa, bensì moltitudini di donne e uomini. Eppure la forza che sospinge il viaggio dei migranti, degli esseri umani in fuga, sembra la stessa.» Da Il Tredicesimo piano. Europa anno zero

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