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MONITOR


mer 12 aprile 2017

TRUMP, LA VERSIONE DI GOLDMAN SACHS

A quasi tre mesi dall'insediamento il presidente americano si è dimostrato praticamente incapace di tener fede alle promesse lanciate fatte. I mercati stanno dimostrando di averlo capito, e l’euforia iniziale legata ai punti chiave del suo programma politico si è trasformata in una tiepida accondiscendenza. Ma è solo una questione di tempo.

A quasi tre mesi dall’insediamento, l’Amministrazione guidata da Donald Trump ha mostrato serie difficoltà nel realizzare alcune cruciali promesse del suo programma elettorale.
Eppure il rally dei mercati finanziari, iniziato dopo l’8 novembre proprio sulla spinta di quelle promesse, non sembra dare cenni di arresto, sordo ai vistosi traballamenti del nuovo inquilino della Casa Bianca. Perché? Una risposta la offre la divisione Economic Research di Goldman Sachs, in uno studio dal titolo US Daily: Why Has the Equity Market Rally Outlived Faith in Policy Change?
Andiamo con ordine. Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca portandosi dietro una pesante dote fatta di promesse protezionistiche e una reputazione da implacabile disruptor del vecchio establishment. L’una e l’altra erano piaciute parecchio, tanto agli elettori quanto ai mercati, che a cominciare dal sorprendente election day avevano iniziato a puntare forte su alcuni dei temi chiave della campagna elettorale di The Donald: lo smantellamento di Obamacare, il taglio delle tasse alle imprese, un mastodontico piano di infrastrutture e una massiccia deregulation finanziaria.
Sono passati cinque mesi da quel momento: Trump ha messo piede alla Casa Bianca lo scorso 20 gennaio. Da allora, le sue roboanti promesse hanno fatto i conti con una realtà dura come un pugno in faccia.

Tutte le promesse non mantenute di Trump

Il progetto di riforma sanitaria, araldo della campagna elettorale e tappa decisiva per la credibilità politica di Trump, avrebbe dovuto trasformarsi in legge quasi senza ostacoli, con Camera e Senato unite alla Casa Bianca nella volontà di cancellare Obamacare: è affondato miseramente, ancor prima di arrivare al voto. E i titoli legati alle healthcare companies, tra i meno energici nel periodo seguente l’elezione di Trump, hanno recuperato tutto il terreno perso da novembre.
Sul fronte fiscale, la promessa era un taglio netto delle aliquote alle imprese, dall’attuale 35% al 15%, oltre ad agevolazioni per il rimpatrio dei profitti generati all’estero. Misure che sembrano ormai destinate a slittare: magari ad agosto, come sostiene il Segretario del Tesoro Steven Mnuchin, ma forse anche al 2018.
Quel che è certo è che anche su questo fronte la spinta iniziale dell’election day ha compiuto una rocambolesca inversione a U: lo studio effettuato da Goldman Sachs chiarisce come, dalle iniziali, sorprendenti, performance relative di novembre e dicembre, il paniere che riunisce i titoli “high-tax”, quelli che avrebbero più benefici da un vigoroso taglio alle tasse, è tornato ora a registrare livelli al di sotto di quelli pre-elezioni.
Sorte identica è toccata ai titoli sui materiali da costruzione, tornati al punto di partenza dopo l’eccitazione connessa a una probabile realizzazione del piano-infrastrutture (mille miliardi in dieci anni nelle parole del presidente). Perfino il peso messicano, prima vittima annunciata della “guerra commerciale” minacciata da Trump, dopo aver toccato un minimo ventennale a gennaio, ha registrato il miglior trimestre dal 1977, e non solo grazie alle contromisure della banca centrale messicana.

La “luna di miele” elettorale è finita presto

Il terreno sotto i piedi di Trump sembra farsi sempre più caldo. I sondaggi gli assegnano il 38% di gradimento, un risultato misero considerando il poco tempo passato dall’insediamento.
L’inchiesta sulle ingerenze russe nelle elezioni pende testa come una spada di Damocle, e la contestata, difficile ratifica del conservatore Neil Gorsuch a giudice della Corte Suprema ha richiesto un colpo di mano non indifferente.
Il rapido voltafaccia sul fronte siriano, venduto come l’accorato ripensamento di un buon cristiano («no child of god should ever suffer such horror…») sembra più simile al guizzo di un animale ferito e in gabbia.
Si può dire che è presto, certo, e che Trump avrà ancora tempo a disposizione per realizzare quanto ha promesso in campagna elettorale: ma è anche vero che difficilmente, nel corso del quadriennio, un presidente può godere di un momento più favorevole di quello immediatamente successivo all’insediamento, in cui l’elevata popolarità legata alla “luna di miele elettorale” si unisce allo spaesamento degli avversari.
Insomma, Trump si è dimostrato fin qui incapace di tener fede alle promesse lanciate fatte. I mercati stanno dimostrando di averlo capito, e l’euforia iniziale legata ai punti chiave del suo programma politico si è trasformata in una tiepida accondiscendenza.

La reazione dei mercati a “The Donald”: una questione di tempo

Eppure il Trump rally prosegue, e i mercati continuano a volare. L’anomalia è evidente. Come può la spinta impressa sui mercati finanziari dalle promesse di Trump sopravvivere alla speranza che quelle promesse diventino realtà?
Secondo gli analisti di Goldman Sachs, gran parte di questo effetto si spiega con le notizie sulla crescita, migliori delle aspettative da entrambe le sponde dell’Atlantico. Ma a questo punto, la fine del Trump trade sembra ormai una questione di tempo.
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