Il forum di Pechino, aperto alla partecipazione dei 65 paesi membri, più indecisi e osservatori internazionali, ha registrato la presenza di delegazioni da 57 nazioni, tra cui 29 capi di stato. Cifre, queste, che hanno aperto il fianco alle critiche internazionali, rilevando le assenze di, tra gli altri, Donald Trump, Angela Merkel, Emmanuel Macron e Theresa May.
E palesando una diffidenza diffusa, in particolare nel mondo occidentale, circa i “veri intenti” di questa Nuova Via della Seta cinese.
Diffidenza che, al momento, è stata esplicitata solamente dall’India, unico paese in tutta l’Asia Meridionale a non inviare una delegazione a Pechino per il forum. Scelta motivata con una critica di etichetta internazionale circa la gestione del corridoio sino-pachistano, la rete infrastrutturale che dovrebbe collegare la regione cinese del Xinjiang col porto di Gwadar, lo “sbocco cinese sull’Oceano Indiano” realizzato grazie ai fondi di Pechino in territorio pachistano.
In mezzo c’è il Kashmir, regione contesa da India e Pakistan dal 1947 e al momento divisa in due parti: Kashmir indiano da un lato, Kashmir pachistano dall’altro o, come lo definisce New Delhi, “Occupied Kashmir”: territorio indiano “momentaneamente” sotto il controllo di Islamabad, sfumatura istituzionale di cui la Cina non ha tenuto conto al momento delle trattative con Islamabad (con la quale ha appena concluso un nuovo accordo da 500 milioni di dollari proprio per realizzare infrastrutture in territorio pachistano).
Secondo la diplomazia indiana, l’intraprendenza infrastrutturale cinese nei paesi aderenti al progetto aumenta vertiginosamente il rischio di ingrossare i debiti nazionali, mettendo a repentaglio la stabilità economica dell’area. L’India, chiaramente, prende ad esempio l’Asia Meridionale, dove al momento – pur aderendo alla banca dei Brics – è l’unico paese a non aver ancora chiuso accordi infrastrutturali all’interno della Nuova Via della Seta cinese. E infine, secondo New Delhi, l’intero impianto ideologico della Belt and Road Initiative, presentato al mondo come un progetto puramente commerciale, nasconderebbe in realtà le velleità egemoniche cinesi in campo politico, la vera “agenda” cinese.
Criticità che l’India condivide con altri attori internazionali di primo piano come Stati Uniti e Giappone, entrambi presenti al forum in qualità di osservatori, ben consci della minaccia egemonica annessa alla prospettiva di una macroarea transcontinentale interconnessa grazie a un’iniziativa cinese.