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MONITOR


mar 27 marzo 2018

LA RUST BELT COLPISCE ANCORA

La Rust Belt colpisce ancora. Dopo essersi cristallizzato come sinonimo di “abbandono” ed essere diventata un consorzio semantico universale, oggi, raggiunge il culmine della sua realizzazione distopica. Lo raggiunge in una società ormai non più in grado di intercettare flussi consistenti di capitale, e il cui panorama è costellato da: capitali della speculazione immobiliare al collasso; capitali industriali in fuga a causa del dumping fiscale e tecnologico; e infine capitali statali che, dopo aver funzionato da equalizzatore redistributivo per oltre mezzo secolo, ora si stanno diradando in maniera inesorabile.

Il termine “Rust Belt” è stato coniato con riferimento alla zona statunitense delimitata a nord dai Grandi Laghi e ad est dai monti Appalachi. Un’area che tocca nove stati – New York, Pennsylvania, Virginia, Ohio, Indiana, Michigan, Illinois, Iowa e Wisconsin – e che, nel boom economico della prima metà del XX secolo, rappresentava il più grande polo industriale americano, in continua espansione.
Tra le valli di montagne maestose e bacini d’acqua dolce immensi, le fabbriche del made in Usa sferragliavano senza soluzione di continuità, riecheggiando il mantra del Capitale: produzione e fatturato.
Poi, nella seconda metà dello stesso secolo, l’ingranaggio comincia a scricchiolare e l’industria pesante, capannone dopo capannone, (si) esternalizza o chiude i battenti. È l’era della grande dismissione, che destinerà quei luoghi alla deriva sociale ed economica, allo spopolamento e alla depressione.
Di quelle fabbriche dai macchinari e capannoni sferraglianti, resta solo la ruggine, a ricordare i tempi della produzione di massa che furono. E visto l’ingente numero di quei capannoni abbandonati al vuoto, si comincia a parlare di una vera e propria “cintura di ruggine”.
La “Rust Belt”, appunto, espressione volta a indicare una zona dal passato industriale poi piombata nella depressione e nel conseguente deterioramento sociale.
La Rust Belt colpisce ancora. Dopo essersi cristallizzato come sinonimo di “abbandono” ed essere diventata un consorzio semantico universale, oggi, raggiunge il culmine della sua realizzazione distopica.
Lo raggiunge in una società ormai non più in grado di intercettare flussi consistenti di capitale, e il cui panorama è costellato da: capitali della speculazione immobiliare al collasso; capitali industriali in fuga a causa del dumping fiscale e tecnologico; e infine capitali statali che, dopo aver funzionato da equalizzatore redistributivo per oltre mezzo secolo, ora si stanno diradando in maniera inesorabile.
Su ogni tornata elettorale incombe oggi lo spettro della Rust Belt, degli ultimi di quelle zone che, da ogni angolo del mondo, gridano il loro smarrimento, facendo assumere al fenomeno caratteri endemici e globali: negli Usa, con la strumentalizzazione delle passioni tristi per cavalcare odio e risentimento, e approdare all’elezione di Trump; nel Regno Unito, con la “vittoria” della Brexit; in Francia con l’ascesa del Front National, tamponata in extremis da una legge elettorale più che da una controparte politica; in Germania con la crescita esponenziale dell’Afd.
In Italia, infine, paese uscito dalle urne con un risultato che stravolge i vecchi assetti e inaugura una “terza repubblica” in cui il partitismo tradizionale è ormai soltanto un pallido ricordo.
Il Partito, o la grande coalizione politica, non parlano più alle masse impoverite e stipate nei luoghi più periferici e dismessi. Gli esiti delle elezioni italiane si potrebbero sintetizzare in un quadro che vede opporsi risultati tanto diversi quanto confluenti.
L’aspetto comune è legato alla richiesta di protezione e sicurezza, avvenuto a nord e sud e, a macchia di leopardo, estesosi in tutto il paese.
Una protezione economica che viene traslata in protezione identitaria dall’offerta politica: il nord della piccola imprenditoria viene conquistato con un’ipotetica autarchia che va dal protezionismo commerciale fino al trinceramento dei confini declinato in lotta all’immigrazione; il sud viene abbindolato con il reddito di cittadinanza e una nuova bonanza di trasferimenti dal centro alla periferia, passando per la distruzione della presunta “casta politica”, rea di avere abbandonato intere regioni all’oblio delle mafie e della povertà.
L’unico dato positivo, se esiste, nel meridione potrebbe essere letto in termini di sconfitta del voto di scambio, che per decenni ha dominato le ragioni meridionali.
Un dato da non sottovalutare, certo, in quanto la politica non riesce più ad avere un ruolo determinante nella redistribuzione di risorse e ricchezze, e lo scavalcamento del voto di scambio è una sirena d’allarme di questa evidente debacle.
L’altro grande vettore del voto è stata la disintegrazione della finanza del sistema bancario territoriale. Una Rust Belt finanziaria, per così dire.
Le banche regionali hanno da sempre supplito alla scarsità di capitali in molti territori, il banchiere regionale era assimilato al politico locale come importanza e molto spesso rappresentavano un potere unico che foraggiava e sosteneva il territorio con pratiche clientelari. Ora salta anche questo schema.
Mentre la banca regionale del sud era già morta da anni, nell’ultimo quinquennio è scomparsa anche la finanza regionale del centro nord, e lo ha fatto in modo eclatante.
Il voto italiano è dunque l’eco di un enorme grido d’aiuto, indirizzato a uno Stato che non riesce più a supplire alle mancanze create dalla violenza del ciclo economico globalizzato, e non ci riesce per sua stessa definizione e per eterogenesi: cioè lo Stato che demanda la sua funzione al capitale e il capitale si ferma dove può, a estrarre valore.
Nei luoghi in cui c’è vita ma non valore, il capitale fugge e lascia macerie. Il voto contemporaneo, in Italia e ovunque, si configura come una richiesta mal posta ma disperata.
Di fronte alla scomparsa delle compagini che più e davvero si riferirono agli ultimi, rimane una coltre di diffidenza per lo Stato e verso lo straniero, cristallizzare sui ruderi rugginosi della Rust Belt pervasiva, il cui mantra è proteggersi nel breve termine senza più guardare l’orizzonte.

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