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MONITOR


sab 26 marzo 2016

RIPRENDERSI CUBA CON LA COMPLICITÀ DEL DIAVOLO

Cuba tornerà a parlare con gli USA quando a Washington ci sarà un presidente afroamericano, a Roma un Papa latino-americano (e gli Stones suoneranno a L’Avana) - Fidel Castro, 1958

26 MARZO 2016 – Insomma gli Stones a Cuba fanno più rumore di Obama – negli stessi giorni nella stessa isola, quasi felice. Il che è ovvio visto il palco gigantesco e il wattaggio ai limiti dell’impossibile dell’amplificazione. Ma non voglio fare della retorica. Trump colpisce facile dicendo le stesse cose, e prendendo atto di un fatto semplice e ormai chiaro a tutti: il rock ha molto più successo della politica. Ma al di là delle banalità da testata rosé, il rock non cambia più il mondo, la politica sì. A dimostrazione che il successo nel secondo millennio non ha più bisogno di sfarzo. Il rock sempre di più.
Certo Obama quasi in contemporanea a Jagger & Richards fa un certo effetto e non è un effetto casuale. L’occidente va a riprendersi una Cuba stremata e sollevata dal fatto che l’occidente intenda riprendersela (la fame è fame, e il lunghissimo embargo ne ha sparsa a piene mani) e se la riprende mostrando la sua faccia migliore. Mancava solo il Papa latino-americano, ma in qualche maniera era lì, non sappiamo se esattamente a benedire l’evento. Il volto buono dell’occidente, però, stavolta aveva un che di perverso. Di diabolico. «Simpathy for the Devil» e la folla balla: a voler essere maliziosi si potrebbe dire che l’occidente ha mandato a Cuba la sua immagine più essenziale, quel mix di libertà, allegria e ferocia che è la sua base naturale. Insomma i Rolling non sono Jovanotti, sono il gruppo più off tra tutti quelli in, sono il lato sporco della rivoluzione degli anni ’60, che lo puoi mettere in lavatrice un milione di volte, ma sempre un po’ ombrato uscirà fuori. Strani gli Stones a Cuba. Cuba che ha fatto della battaglia contro le droghe uno dei suoi capisaldi e anche uno dei suoi drammi, tanto da provocare una ferita, si dice profonda, nel cuore di Fidel: la fucilazione del Generale Arnaldo Ochoa, storico amico e compagno del leader maximo, fucilato perché accusato di contrabbandare cocaina (ma forse non fu quella la ragione, rimane il capo d’accusa e la pena comminata).
Strani gli Stones a Cuba, ma nemmeno troppo, in questo andare a riprendersi cose che erano già state loro da parte dei gringos. Strani ma ben ambientati: nulla di più facile da immaginare che Jagger e Richards, camicie a fiori e pantaloni bianchi, sulla spiaggia di Guanabo, un Martini molto secco sul tavolino (elegante) e un Partagas D N°4, accuratamente mordicchiato, in bocca. Facile vederli su una vecchia ma conservatissima Buick rosso tramonto sul Malécon. Le due visite parallele non sono ovviamente una coincidenza. Gli americani quando si muovono sul serio si muovono col meglio delle truppe. E qui qualcuno potrà opinare: «ma gli Stones sono britannici!» e dovrei rispondere con un discorso lungo e forse noioso sul (ormai da tempo) ritrovato rapporto tra Gran Bretagna e Usa, sulla santa alleanza che ha riunito gli anglosassoni divisi da una rivoluzione e da molte barzellette, sull’influenza capitale che la Gran Bretagna ha riconquistato sugli Stati Uniti, assai più che il contrario. Ma dirò soltanto una boutade che poi corrisponde alla verità: gli Stones britannici non lo sono più da tanti anni. Nello spirito della reunion, loro hanno preso possesso degli Stati Uniti, e non soltanto pagando salatamente immobili da favola a New York.
E poi, in fondo, Fidel e Jagger & Co. sono se non quasi coetanei, ravvicinati nel grande bianco dell’anzianità. Con Raul la differenza d’età è ancora minore. Autori di una rivoluzione politica nei tardi anni ’50, i due fratelli cubani; co-autori di una non meno esplosiva rivoluzione culturale i quattro+uno britannici nei tardi anni ’60. E non voglio fare battutine sui concerti da qualcuno definiti “geriatrici”. I musicisti, quelli classici come quelli rock, non vanno in pensione: i primi non ci sono mai andati, i secondi hanno cominciato da tempo a non andarci più, anche perché i sostituti non si sono rivelati all’altezza o sono morti, più o meno misteriosamente, lungo il cammino. Certo le movenze sono più rallentate, il periplo del sempre più enorme palcoscenico è diventato più faticoso per l’ultra-settantenne Jagger (Richards giovane non è mai sembrato e sul palco sta benissimo, com’è sempre stato), Wyman è fermo sin dagli esordi, si nota un po’ di fatica in Charlie Watts, ma d’altra parte il suo compitino non è mai stato troppo difficile e lo ha sempre svolto con grande perizia. Insomma Cuba è sempre più libre, sebbene il rum scarseggi nella Coca Cola.

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