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mar 2 agosto 2016

IL RICATTO DI ANKARA. ACCORDO MIGRANTI RIMANDATO A SETTEMBRE

Il problema, oggi come allora, è sempre lo stesso. Si litiga sui muri di terra e i muri di mare

«Se non si arriva alla liberalizzazione dei visti dovremo rifiutare l’accordo sui rifugiati». Con queste parole alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, il ministro degli Esteri turco Mavlut Cavusoglu ha lanciato il suo ultimatum all’Europa. Ankara vuole una data precisa, «un termine fisso», a partire dal quale i cittadini turchi non avranno più bisogno di presentare un visto all’ingresso per entrare in Europa. «Può essere inizio o metà ottobre», ha aggiunto Cavusoglu. Poi ha precisato: «Nessuna minaccia». Peccato che in Germania, dove gli immigrati turchi sono circa tre milioni, l’abbiano presa esattamente così: un avvertimento, un’intimidazione. Per bocca del vicecancelliere, Sigmar Gabriel, Berlino ha replicato all’ultimatum di Ankara: «In nessun caso la Germania o l’Europa devono farsi ricattare», perché la liberalizzazione dei visti «dipende esclusivamente dalla Turchia». A questo si è aggiunto il divieto della Corte costituzionale tedesca di trasmettere il discorso in diretta video del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, durante una manifestazione di sostenitori a Colonia. Per tutta risposta Ankara ha convocato il responsabile d’affari dell’ambasciata tedesca. «Nulla di eccezionale», hanno minimizzato da Berlino. E ora che succede? Il prossimo appuntamento per discutere lo stato dell’accordo tra Turchia ed Europa è fissato per settembre.
La storia, sulla carta, inizia il 18 marzo scorso. La Turchia e l’Unione Europea firmano un accordo sui rifugiati. Ankara fa da “diga” , da argine ai flussi di migranti, per il benessere dell’Europa. La Germania spinge perché si chiuda in fretta il patto, una soluzione rapida e quasi indolore alla crisi migranti del 2015. Il problema, oggi come allora, è sempre lo stesso. Si litiga sui muri di terra e i muri di mare, c’è chi alza la posta della partita. Si monitora l’accesso, si blinda l’Europa.
Ipocrisia sottile, tempistica tardiva: dopo che per anni e anni i migranti sono stati usati per trascinare al ribasso il mercato del lavoro – somministrazione feroce, fredda, cinica, di un antidoto da opporre agli effetti della globalizzazione nel tentativo disperato di rimanere competitivi. Per questo le leggi sull’immigrazione sono state leggi sul lavoro. Sfacciata ipocrisia, dopo che per anni e anni i migranti sono stati trattati come armi nelle campagne elettorali: si scrive sicurezza, si legge guerra alle donne e agli uomini in transito. Quasi ogni partito sventola la bandiera securitaria, quando le consultazioni sono imminenti, e l’equazione migranti-terrorismo è la formula magica del consenso. Continua a leggere Muri di terra e muri di mare, la partita dei migranti. Il Tredicesimo piano

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