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MONITOR


sab 18 marzo 2017

IL PROBLEMA DELLA “DIGA OLANDESE” A DESTRA

I populisti di Wilders hanno vinto pur non andando alla guida del governo. Non rappresentano il Paese pubblicamente, ma hanno impresso un cambio di paradigma nella politica olandese. Il discorso della destra “moderata” e liberale di Rutte, che ha vinto perdendo otto seggi in cinque anni, è sempre più compatibile con certi aspetti del populismo del PVV, specialmente quando si tratta di alzare le bandiere e dare voce alle istanze sovraniste anti-immigrazione. L’argine alla destra xenofoba, la diga anti-populisti, un voto contro l’estremismo: nell’Olanda di oggi è rappresentato da Rutte, almeno nel discorso mediatico, mentre la sinistra fatica a ricompattarsi e rimane polverizzata dai risultati elettorali.

L’argine alla destra xenofoba, la diga anti-populisti, un voto contro l’estremismo: la narrazione mediatica dei risultati elettorali in Olanda ha seguito questo schema. È stato il racconto di un crescendo di speranze e scenari positivi contro la percepita minaccia populista e antieuropeista.
L’argine alla destra xenofoba, la diga anti-populisti, un voto contro l’estremismo: un freno della destra neoliberista e “moderata” all’estrema destra, mentre la sinistra storica scompare e i laburisti perdono 29 seggi su 38 rispetto alle elezioni del 2012.

Il paradosso di un premier che ha vinto perdendo

È successo che il Partito Liberale Democratico del premier uscente Mark Rutte abbia ottenuto 33 seggi, confermandosi il primo partito (qui tutti i risultati).
Ha vinto, ma ha anche perso: ha ottenuto 8 seggi in meno rispetto al voto precedente. Un quarto della sua rappresentanza è stata praticamente spazzata via.
Sappiamo anche che non c’è stato nessun effetto Brexit e neanche la fatidica deriva xenofoba e populista paventata da tanti. Il passaggio è apparso meno brusco, ma non meno pericoloso. Geert Wilders, il patriota anti-immigrazione e paladino della lotta contro l’Islam del Partito per la Libertà, ha ottenuto 20 seggi, 5 in più rispetto a cinque anni fa.

Perché il populismo ha comunque vinto

I giornali hanno riempito le prime pagine con le immagini di Rutte sorridente e vittorioso. È arrivato primo, certo. Otto seggi in meno in cinque anni, però, dicono anche che c’è poco da esultare. Il populismo di destra ha comunque vinto. È entrato nel tessuto sociale, si è insinuato nel dibattito politico. Il confine tra la destra estrema e quella moderata si è fatto sempre più sfocato, specialmente durante l’ultima campagna elettorale. Nazionalismo, retorica aggressiva sull’immigrazione e sovranismo hanno trovato spazio, e non solo nei discorsi di Wilders.
Eppure, la narrazione politica e mediatica ha preferito usare un altro frame: Rutte e l’argine alla destra xenofoba, la diga anti-populisti, un voto contro l’estremismo. «I risultati delle elezioni in Olanda saranno un’ispirazione per molti», ha scritto il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker in una lettera a Rutte subito dopo i risultati elettorali. Ha parlato di una «chiara vittoria», «di un voto per l’Europa e contro gli estremisti».
Wilders, raccontato come il nuovo Trump d’Olanda in grado di replicare lo tsunami Brexit, ha sdoganato gli slogan anti-immigrazione, ha trascinato l’antieuropeismo nelle piazze e per le strade, ha reso politicamente accettabile una retorica votata alla difesa dei confini e alla protezione dell’identità della patria.

La “presentabilità” di Rutte che sdogana la retorica anti-immigrati

Da quello stesso immaginario, seppur mantenendo una “presentabilità” istituzionale diversa, anche Rutte e la cosiddetta destra moderata hanno abbondantemente attinto (tranne riguardo all’antieuropeismo). Appaiono, però, allo stesso tempo come una salvezza rispetto alla minaccia delle destre estreme. E il refrain è sempre lo stesso: l’argine alla destra xenofoba, la diga anti-populisti, un voto contro l’estremismo.
A fine gennaio, per esempio, il premier ha pubblicato online una lettera aperta agli olandesi, apparsa anche su diversi quotidiani nazionali.  Lanciava un allarme: «Qualcosa non va nel nostro Paese», scriveva che «la maggioranza silenziosa [degli olandesi,ndr]» non tollererà più gli immigrati che arrivano nei Paesi Bassi e «abusano della nostra libertà». Senza esplicitamente fare riferimento all’Islam, parlava di diritti negati alle donne e comportamenti «anti-sociali». Infine, avvertiva gli immigrati: «Comportatevi in modo normale, oppure andate via».
È, invece, di pochi giorni fa la prima pagina di uno dei maggiori quotidiani olandesi, De Telegraaf, che apre con un titolo-slogan: «Qui comandiamo noi».
Il riferimento è a quell’accostamento tanto sottile quanto pericoloso che cementa sicurezza e immigrazione, nell’Olanda di oggi, la stessa che è stata tra i Paesi fondatori dell’Unione europea dell’accoglienza e della coesione.

La crisi con la Turchia

I tempi sono cambiati. Oggi l’Aja si arrocca nel suo “bastione della libertà” e la tensione con la Turchia sale. A pochi giorni dal voto i Paesi Bassi hanno negato al ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, un comizio pro-Erdogan a Rotterdam, in vista del referendum costituzionale di Ankara, previsto per il 16 aprile prossimo, per passare al sistema presidenziale. La giustificazione ufficiale è stata: «Motivi di sicurezza».
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha reagito al divieto etichettando gli olandesi come «residui del nazismo», lo stesso epiteto riservato in precedenza ai tedeschi. Wilders ha rilanciato, in piena campagna elettorale, chiedendo un veto d’ingresso contro tutto il governo turco.
Nazionalismo e istanze anti-turche si sono mescolate, invece, nell’astuta e (apparentemente) meno aggressiva risposta del premier Rutte: «Dobbiamo prendere una posizione, tracciare una linea rossa e dire che tutto questo è inaccettabile […] il presidente della Turchia sta parlando in modo sempre più isterico dell’Olanda».

L’argine da destra alla destra e la sconfitta della sinistra

I populisti di Wilders hanno vinto pur non andando alla guida del governo. Non rappresentano il Paese pubblicamente, ma hanno impresso un cambio di paradigma nella politica olandese. Il discorso della destra “moderata” e liberale di Rutte è sempre più compatibile con certi aspetti del populismo del PVV, specialmente quando si tratta di alzare le bandiere e dare voce alle istanze sovraniste anti-immigrazione.
L’argine alla destra xenofoba, la diga anti-populisti, un voto contro l’estremismo: nell’Olanda di oggi è rappresentato da Rutte, almeno nel discorso mediatico, mentre la sinistra fatica a ricompattarsi e rimane polverizzata dai risultati elettorali.

Labour grande estinto

Mentre crescono i Cristiano Democratici (19 seggi, 6 in più) e i Dem 66, i liberali progressisti nati come alternativa ai liberisti conservatori di centro-destra, guidati da Alexander Pechtold (19 seggi, 7 in più), il partito laburista è il grande estinto di questa tornata elettorale: si è aggiudicato 9 seggi, perdendone 29 in cinque anni. È rimasto affossato dalle sue stesse politiche ibride e orientate al centro, che hanno strizzato l’occhio all’austerity, e dall’esperienza di governo in minoranza.
La sinistra olandese si è resa irriconoscibile agli occhi dei suoi stessi elettori, ha perso identità politica, ha appoggiato decisioni impopolari lasciando le grandi questioni sociali alle speculazioni della destra populista.
Il grande exploit dei Verdi, guidati da Jesse Klaver (14 seggi nel 2017 contro i 4 del 2012), dimostra che, però, c’è ancora uno spazio a sinistra da potere riempire e riconquistare.

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