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MONITOR


lun 6 febbraio 2017

SPAGNA, PODEMOS A CONGRESSO

Il partito spagnolo si prepara all'assemblea nazionale che s tiene a Vistalegre dal 10 al 12 febbraio. È un banco di prova per Podemos, dilaniato dalle lotte intestine tra correnti. Un'occasione per superare “fracaso” e “desgarramiento”. Il movimento, capace di uscire dal congresso più forte e più che mai unito nelle differenze, potrebbe rappresentare un ideale ponte di collegamento per quelle forze che chiedono un’Europa laica e aperta al mondo, libera dai vincoli del fiscal compact, del debito, dell’austerity.

Dal fracaso della scorsa estate al desgarramiento di oggi. Dal fallimento delle elezioni politiche dello scorso 26 giugno, in cui si presenta con ambizioni maggioritarie e si ritrova a sorpresa terzo partito con il famoso milione di voti in meno rispetto alle precedenti legislative, al dilaniamento del prossimo congresso, dove le due mozioni antitetiche e contrapposte rischiano di spaccare il movimento una volta e per sempre.
Questa rappresentazione mediatica dell’attuale congiuntura, in cui si starebbe dibattendo Podemos, non è altro che la più funzionale alla crisi dell’establishment europeo, e internazionale, che da anni cerca una legittimazione agitando lo spauracchio dei populismi reazionari e nazionalisti, e negando alla radice la possibilità dell’emergere di un nuovo spazio alla sua sinistra.
Lo spiegano bene il filosofo Pierre Dardot e il sociologo Christian Laval quando affermano che questi populismi («una risposta neoliberale alla crisi del capitalismo») non sono altro che «espressione di una politica che appare anti-sistema ma che rafforza il sistema». Ciò non significa che l’affermarsi dell’estrema destra non sia un pericolo reale.
Oltre a Donald Trump e Vladimir Putin, solo quest’anno in tre tornate elettorali fondamentali per la tenuta dell’Unione europea c’è il rischio di vedere Geert Wilders in Olanda e Marine Le Pen in Francia andare ad aggiungersi alla lista dei governi nazionalisti e xenofobi di Prawo i Sprawiedliwość in Polonia e Fidesz in Ungheria. Per non parlare delle elezioni di settembre in Germania in cui è certa la crescista dei neonazisti di Alternative für Deutschland.

Il congresso come banco di prova

Il problema è proprio che questo rigurgito di estrema destra è dovuto alle miopi politiche dell’establishment che ha legittimato questi movimenti pur di autolegittimare se stesso, desertificando ogni alternativa a sinistra, e cancellando ogni nuovo spazio per la costruzione di una politica altra rispetto ai dettami del mercantilismo e dell’ordoliberismo tedeschi.
Per questo, il congresso di Podemos che si tiene a Vistalegre dal 10 al 12 febbraio, diventa un fondamentale banco di prova per costruire un’alternativa di giustizia economica e sociale alle politiche di austerità e del debito.
È vero, Podemos arriva al congresso dilaniato (desgarrado) nelle sue due mozioni principali: Podemos para todas del leader Pablo Iglesias e Recuperar la ilusión del numero due Íñigo Errejón. A cui si aggiunge la proposta di minoranza Podemos en movimiento del gruppo Anticapitalistas.
È vero, nei documenti congressuali si legge una frattura che appare insanabile tra l’ala moderata errejonistas, orientata a insistere su un movimento pluralista che sappia declinare la sua vocazione maggioritaria attraverso un’egemonia diffusa, né di destra né di sinistra, e l’ala movimentista pablistas che rivendica l’alleanza partigiana con Izquierda Unida e l’esperienza delle municipalità ribelli spagnole caratterizzate a sinistra.
Eppure, al di là dei dissidi personali che entrambi i leader negano con forza ma che sono profondi, la ragione del confronto poggia su un inevitabile dato di fatto di pura scienza politica: come ha spiegato Juan Carlos Monedero, l’ideologo del movimento che da prima delle elezioni della scorsa estate si è autoimposto l’esilio, è semplicemente finita la prima fase di Podemos come movimento in costruzione ed è cominciata la seconda fase di Podemos come movimento (o partito) dato, con tutte le logiche conseguenze delle diverse linee politiche e degli inevitabili scontri congressuali.

Un populismo di sinistra postmoderno

L’intuizione arriva all’alba degli anni Dieci, nelle aule della Universidad Complutense de Madrid, dove un gruppo di professori e ricercatori comincia a lavorare sulla possibilità di esportare il neobolivarismo latinoamericano nel cuore dell’Europa, riscoprendo Antonio Gramsci attraverso la lettura rivisitata che ne fanno Ernesto Laclau e Chantal Mouffe: ovvero, un populismo di sinistra postmoderno che soffre però di schizofrenia lacaniana, a partire dalla celebre questione del “significante vuoto” che, in politica, rischia di non riempirsi mai come fa giustamente notare Fredric Jameson.
Capace di sfruttare abilmente gli strumenti della contemporaneità come rete e televisione, Podemos nasce nel 2014 e subito conquista un incredibile 8% alle elezioni europee grazie alla spinta propulsiva del movimento degli Indignados che aveva invaso Puerta del Sol. È l’inizio della crescita esponenziale di un movimento che, fin da subito, è attraversato da formidabili contraddizioni. E forse la ragione di questa profonda antinomia è proprio l’aver letto Gramsci attraverso le lenti di Laclau.

L’evoluzione

La geometrica potenza di Podemos matura e prospera su tutto il territorio spagnolo. Nel 2015 con alleanze variabili con Izquerida Unida, verdi e parte del partito comunista spagnolo conquista il governo delle due principali città spagnole: a Madrid elegge sindaco la giudice emerita della Corte suprema Manuela Carmena e a Barcellona l’attivista per il diritto all’abitare Ada Colau.
Con simili piattaforme Podemos si prende anche Badalona, Cadice, La Coruña, Pamplona, Santiago de Compostela e Saragozza. A dicembre, alle elezioni legislative è il terzo partito del paese con il 20%. La vocazione maggioritaria populista si fa necessità maggioritaria di partito, e dato che le elezioni non hanno portato un governo al Paese e ne sono indette altre per l’estate successiva, Podemos si trova a dovere fare i conti con se stesso: come e con chi andare al governo?

Un partito, due fronti

Le due anime del partito si manifestano come inconciliabili, è il frutto avvelenato della scissione lacaniana originaria alla base del pensiero politico di Podemos.
Pablo Iglesias, forte anche della sua amicizia personale con il leader di Izquierda Unida Alberto Carlos Garzón, vuole spostare l’asse del movimento a sinistra, intercettare lo scontento popolare attraverso un’immersione nelle lotte, arriva quasi a rivendicare parole come conflitto di classe, il tabù supremo, quanto di più proibito nell’universo comunicativo di Podemos.
Dall’altra parte Íñigo Errejón rifiuta la radicalizzazione e il conflitto in nome della crescita attraverso parole d’ordine come diffusione popolare e relazioni virtuose, punta a rassicurare piuttosto che a protestare, e pur essendo il primo a rivendicare l’unicità di Podemos e la sua allergia a qualsiasi alleanza politica, in qualche modo traspare una maggiore apertura al Psoe, o perlomeno alla sua base. Ma passa la linea pablista, e a giugno 2016 Podemos si presenta insieme a Izquierda Unida. È il fallimento (fracaso).
Podemos ottiene gli stessi 71 seggi del dicembre 2016 ma quasi un milione di voti in meno rispetto alla somma dei due partiti. Non solo non c’è il sorpasso sui socialisti, ma al governo restano i popolari di Mariano Rajoy. Defilatosi l’ideologo Monedero, le due anime del partito in lotta decidono di anticipare a oggi il congresso inizialmente previsto nell’autunno del 2017. A dicembre l’amorosa corrispondenza epistolare (resa pubblica) tra i due leader, Iglesias ed Errejón, non è altro che il preludio alla guerra. La sfida nelle mozioni precongressuali è durissima.
Con nemmeno il 2,5% di differenza passa la mozione Podemos para todas di Iglesias (41,5%) – il sistema DesBorda teorizzato da Pablo Echenique: i documenti sulla strategia si voteranno insieme al gruppo di persone che aspirano ad entrare, o a rimanere, nella direzione del partito – rispetto a Recuperar la ilusión di Errejón (39,1%) – sistema proporzionale e prima il voto sulla strategia politica e sul modello organizzativo e solo dopo quello per scegliere il gruppo dirigente che deve portarlo a termine. È il dilaniamento (desgarramiento).

La spaccatura di Podemos e il destino dell’Europa

Appare evidente che la rottura con cui ci si avvicina a Vistalegre non è per nulla tecnica o procedurale, ma profondamente politica. Il risultato, come si evince dai voti delle mozioni precongressuali, è in bilico. A Iglesias per vincere potrebbe non bastare nemmeno l’appoggio della mozione Podemos en movimiento (10,5%) del gruppo Anticapitalistas di Miguel Urbán, già si parla apertamente di un golpe organizzato da Errejón attraverso la chat di Telegram per prendersi il partito durante le giornate cruciali del congresso di Madrid. Ma in bilico oggi è il destino dell’Unione Europea, e il congresso di Podemos è uno snodo fondamentale.
Se come spiegato da Dardot e Laval il populismo reazionario e xenofobo è alimentato dall’establishment in quanto falso avversario, iscritto nella cornice dello stadio avanzato dell’accumulazione, in previsione delle fondamentali tornate elettorali che aspettano la vecchia Europa è chiaro l’emergere di pulsioni sovraniste, antieuropeiste, a tratti altrettante reazionarie, anche a sinistra.
Un Podemos capace di uscire dal congresso più forte e più che mai unito nelle differenze, potrebbe rappresentare un ideale ponte di collegamento per quelle forze che chiedono un’Europa laica e aperta al mondo, libera dai vincoli del fiscal compact, del debito, dell’austerity e delle politiche ordoliberali.
Un’Europa attenta all’ambiente e ai beni comuni, capace di offrire un reddito garantito nell’epoca del tardo-capitalismo automatizzato e ferocemente estrattivo. Un’Europa che guardi alle esperienze del neomunicipalismo, da Berlino a Madrid e Barcellona, e all’emergere di nuove forze progressiste come quelle rappresentate dall’outsider Benoît Hamon in Francia, da Razem in Polonia o dal movimento DiEM25 dell’ex-ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis.

Un linguaggio universale oltre fracaso e desgarramiento

Uno degli spunti più interessanti del film Arrival (2016) diretto da Denis Villeneuve è il tema del linguaggio. Portando alle estreme conseguenze l’ipotesi di Sapir-Whorf per cui l’intero ambito cognitivo dell’umano è condizionato dal linguaggio, fino a che le parole diventano esse stesse costruzione del pensiero, nel film si teorizza la possibilità di un linguaggio universale (importato dagli alieni) che aiuti l’umanità a formare un’immagine del mondo condivisa. Il linguaggio alieno che dovrebbe unire l’umanità è espresso graficamente attraverso una serie di cerchi, somiglianti in tutto e per tutto al simbolo di Podemos.
Cerchi che da significanti espressivi si fanno anche significato, nella creazione – attraverso la lingua – di un tempo diverso, sincronico, alternativo al tempo storico della produzione e del consumo. Davanti all’avanzata dei populismi reazionari, si apre quindi la possibilità che dal congresso di Vistalegre esca un Podemosrafforzato, capace di superare fracaso e desgarramiento, parlando quel linguaggio universale fatto di cerchi che possa costruire un pensiero comune, un’immagine condivisa del mondo tra le forze della sinistra europea, e un tempo altro, sottratto alla logica del debito.
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  • A che punto è la Spagna?
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