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ven 13 ottobre 2017

IL PERIMETRO INCERTO DELLA GENTRIFICATION A BELGRADO

C'è un quartiere che ha tutte le caratteristiche dell'area dove la gentrification è già passata, il displacement è già avvenuto. La street art ha ingentilito i muri, i locali hanno attirato giovani benestanti. La cosiddetta “classe creativa” ha già conquistato un'area che un tempo non le apparteneva e anzi disdegnava. Ma c'è dell'altro in arrivo. I gentrifiers rischiano di essere cacciati a propria volta.

Una trentina di uomini. Sono coperti dai passamontagna e armati di mazze da baseball. In piena notte danno l’assalto ai vecchi palazzi che si affacciano sul fiume Sava. Colpiscono, distruggono. Un’azione violenta, curata nei dettagli. È il 25 aprile 2016.

Alcune settimane dopo, il primo ministro serbo Aleksandar Vučić ammette che dietro la devastazione ci sono funzionari del Comune. “Sono certo che le loro intenzioni fossero innocenti” – dice in una conferenza stampa – “E sono certo che desiderassero creare qui qualcosa di più bello”.
I palazzi del Mala (dal turco mahala, che indica il quartiere residenziale ottomano) si alzano sulla riva destra del fiume. Per questo il nome del quartiere è Savamala. Il suo perimetro è incerto anche per chi ci vive: quando un’indagine del 2013 ha chiesto agli abitanti di individuare i confini, il disaccordo è stato totale, manca un compromesso percettivo.
Di certo ci sono alcuni punti di riferimento. L’antico ponte Brankov Most. Il vecchio magazzino, dal 2009 sede di uno spazio per artisti che organizza anche serate gastronomiche. La Mikser House, “piattaforma per lo sviluppo creativo della città e del Paese”, che qualche mese fa ha avviato un fundraising per aprire una Mikser House anche a Sarajevo. C’è poi l’ottocentesca “Casa spagnola” che nel tempo è stata dogana, deposito, museo della navigazione, e oggi ospita l’Urban Incubator, centro polifunzionale orientato a progetti culturali, col sostegno dell’amministrazione cittadina e di varie istituzioni europee.

Il corso principale del quartiere, la Karađorđeva, è una strada dove si susseguono raffinati edifici primo Novecento e locali per la ristorazione e l’intrattenimento. Gavrilo Princip qui abitò e lavorò come operaio acciottolatore, prima di dare il via alla Grande Guerra. Proprio a lui è intitolato un altro importante asse del quartiere.
Savamala ha tutte le caratteristiche dell’area dove la gentrification è già passata, il displacement è già avvenuto. La street art ha ingentilito i muri, i locali hanno attirato giovani benestanti. La cosiddetta “classe creativa” ha già conquistato un’area che un tempo non le apparteneva e anzi disdegnava.
Ma c’è dell’altro in arrivo. I gentrifiers rischiano di essere cacciati a propria volta.

La torre di Kula Belgrade spiccherà come la punta di un iceberg. Sarà la prima porzione visibile della trasformazione brutale di Savamala. Un grattacielo in vetro di 168 metri, pensato per essere il nuovo “faro della comunità”. La sua costruzione è iniziata nella primavera 2016.

Un nuovo accesso al fiume, un intrecciarsi di parchi e promenades, un teatro dell’Opera. Centri commerciali, uffici, hotel di lusso, appartamenti di lusso ma anche per famiglie e professionisti. Questo offrirà il Belgrade Waterfront, gigantesco progetto da 3 miliardi di Euro (lievitati già a 5 miliardi nel frattempo). A guidare l’operazione è la società emiratina Green Hills, con il sostegno del governo della Serbia.
Un piano presentato per la prima volta durante le elezioni municipali del 2012. L’amministrazione di Belgrado insiste sull’opportunità da non lasciarsi sfuggire, il rilancio economico di una città uscita annichilita dalla guerra. Un piano agevolato dall’approvazione in Parlamento della Lex Specialis, nell’aprile 2015, che agevola espropri e permessi di costruzione specificatamente per questo progetto. È previsto che i lavori dureranno trent’anni. Una speculazione nell’area di Savamala fa gola da tempo. Almeno da quando, subito dopo la Seconda guerra mondiale, il quartiere ha acquisito un’assoluta centralità nelle dinamiche urbane di Belgrado.
L’ostacolo principale allo stravolgimento è sempre stata la stazione ferroviaria. Un ingombro, come i vecchi palazzi in corrispondenza del Belgrade Waterfront. E infatti, fin dal piano del 1972, la si voleva spostare altrove. D’altronde il rigore nella pianificazione e la rilassatezza nell’attuazione, polemizzava nel 2015 «Eurozine», sono la regola dell’urbanistica a Belgrado. A meno che…

A meno che non intervenga un capitale tale da accelerare i tempi e appianare qualsiasi difficoltà.

Nel gennaio 2016, alla presenza del primo ministro Vučić, è stata aperta una nuova stazione ferroviaria. L’aiuto decisivo, 25,8 milionidi Euro, è arrivato dal Kuwait Fund. E anche se la sua attività non è ancora a pieno regime, la sola esistenza di un’alternativa ha permesso di ragionare su una Savamala senza più stazione. Senza più ostacoli.

I fischietti e le bandiere con l’anatra sono comparsi nel 2016 davanti al Municipio cittadino. In realtà il livello decisionale è ben più alto, l’abbiamo visto: coinvolge il governo serbo e i petroldollari di investitori internazionali.

I manifestanti hanno preso il nome di Ne Davimo Beograd (un gioco di parole intraducibile, il cui senso principale è: “Non affoghiamo Belgrado”). Per definire i loro assembramenti hanno usato l’inglese, Duck Protest. E con un certo compiacimento: perché in serbo-croato duck significa “truffa”.

La Belgrado dei migranti

C’è una storia che si intreccia a questa, facendo stridere ancora di più le contraddizioni sociali. È la storia dei migranti che lasciano i propri Paesi (soprattutto Afghanistan, Pakistan, Iran e Bangladesh) per intraprendere la rotta balcanica. Durante il viaggio sostano anche a Belgrado.

Quando la rotta viene chiusa, a marzo 2016, i migranti restano di fatto bloccati. Vivono in baracche e si riscaldano bruciando traversine ferroviarie. Perché le baracche sono a ridosso della storica stazione di Savamala.

Sgombero, demolizione. A maggio, i migranti vengono cacciati dalla zona e trasferiti in centri d’accoglienza dove le condizioni sono pessime. Un altro passo verso la riqualificazione, un altro ostacolo ingombrante rimosso.

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