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MONITOR


lun 27 giugno 2016

PERCHÉ QUESTO DEV’ESSER CHIARO: L’EVASIONE FISCALE È ROBA DA RICCHI

Servono gli scandali – quello più recente è stato quello svelato dai Panama Papers – per ricordarci che in giro per il mondo, nella pancia dei cosiddetti paradisi fiscali, prosperano migliaia di miliardi di proprietà di chissà chi.

Servono gli scandali – quello più recente è stato quello svelato dai Panama Papers – per ricordarci che in giro per il mondo, nella pancia dei cosiddetti paradisi fiscali, prosperano migliaia di miliardi di proprietà di chissà chi. Questo tesoro, proprio come accadeva per quelli leggendari dei pirati, possiamo solo immaginarcelo, provando faticosamente a stimarne tipologia e consistenza, visto che neanche oggi – pur con i mezzi e le tecnologie di cui disponiamo – siamo in grado di censirlo con precisione e neanche di far pagare i giusto dazio a questi bucanieri in grisaglie.
Potremmo consolarci pensando che le istituzioni internazionali, si pensi al progetto BEPS portato avanti da Ocse, già da tempo sono impegnate in progetti che si propongono di ricondurre alla giusta tassazione queste risorse. Ma l’impresa, oltre che complessa, sembra di difficile riuscita. I capitali, come le ombre, svaniscono non appena qualcuno provi a puntare su di loro la luce. Tanto più in un mondo dove la tecnologia è capace di generare migrazioni istantanee di risorse che facilmente si mimetizzano nella foschia di infiniti cloud.
Vale la pena però, a scopo puramente informativo, riportare un’analisi recente che la Banca d’Italia ha svolto nella sua ultima relazione annuale proprio sulle attività all’estero non dichiarate e l’evasione fiscale internazionale. Se non altro perché molti dei nostri concittadini partecipano allegramente a questa pratica anti sociale, e sono gli stessi che lamentano le vessazioni del fisco sapendo di avere le risorse per potergli sfuggire. Perché questo dev’esser chiaro: l’evasione fiscale è roba da ricchi. I poveri cristi che combattono per l’integrità della loro misera pagnotta al più riescono a sbocconcellare qualche briciola salvandola dalle fauci insaziabili della tassazione.
Come premesse all’analisi, Bankitalia ricorda che “in mancanza di evidenze dirette, indicazioni sull’entità della ricchezza detenuta all’estero dai residenti e non dichiarata possono essere derivate dalle statistiche sull’estero”. I dati, seppure aggregati e per lo più frutto di interpolazioni “mostrano la rilevanza dei trasferimenti e della detenzione di capitali non dichiarati all’estero, in particolare nei paradisi fiscali”.
A tale conclusione si arriva notando l’elevata incidenza dei centri offshore negli investimenti diretti esteri e dello scambio internazionale di servizi. Al tempo stesso le statistiche bancarie diffusa dalla BIS di Basilea sui depositi bancari cross border della clientela non bancaria “riportano ingenti consistenze di capitali intestati a soggetti residenti in paesi offshore oppure detenuti in tali centri”. E poi un altro indizio: “Le statistiche relative alla detenzione di titoli di portafoglio da parte di non residenti mostrano una sistematica preponderanza delle passività sulle attività, mentre i due aggregati dovrebbero teoricamente bilanciarsi”. Quindi è come se ci fossero debiti a cui non corrispondono crediti. Dal che è lecito dedurre che questi crediti siano nascosti.
Bankitalia ha presentato una tavola che mette insieme tutte queste discrepanze, ricavate intrecciando diversi database (FMI, BIS) dalla quale si evince che “a livello globale la sottodichiarazione delle attività di portafoglio raggiungerebbe un importo di quasi 5.000 miliardi di dollari alla fine del 2013, circa il 7 per cento del PIL mondiale; sarebbe relativa soprattutto a quote di fondi comuni investiti in centri finanziari (in particolare il Lussemburgo) e paesi offshore (soprattutto le Isole Cayman)”.
A questa somma va aggiunta inoltre la stima dei depositi bancari esteri non dichiarati e così facendo si arriva a uno stock che varia fra i 6,1 e i 7,2 trilioni di dollari. Di questa montagna di denaro ignoriamo sostanzialmente la titolarità.
«Si arriva a uno stock che varia fra i 6,1 e i 7,2 trilioni di dollari. Di questa montagna di denaro ignoriamo sostanzialmente la titolarità»
Se questo è il tesoro, si può anche provare a ipotizzare quale sia il flusso di evasione sui redditi da capitale e sulle imposte personali che lo stock genera ogni anno. Bankitalia stima fra i 16 e i 33 miliardi di euro l’evasione annua sui redditi da capitale, mentre “per quanto riguarda le imposte personali sul reddito – ipotizzando che l’intero ammontare dello stock di attività non dichiarate di fine 2013 sia il frutto di redditi precedentemente sfuggiti all’imposizione a livello nazionale – l’evasione globale potrebbe invece essere compresa fra i 1.500 e i 2.100 miliardi di euro” che “definisce il livello della potenziale perdita fiscale, accumulatasi nel tempo, legata ai capitali non dichiarati detenuti all’estero”.
«l’evasione globale potrebbe invece essere compresa fra i 1.500 e i 2.100 miliardi di euro” che “definisce il livello della potenziale perdita fiscale, accumulatasi nel tempo, legata ai capitali non dichiarati detenuti all’estero”»
Un’altra tabella, che fornisce una suddivisione geografica dell’evasione, ci fornisce un supplemento di approfondimento. In particolare, pur nella complessità di isolare geograficamente i protagonisti dell’evasione, ci dice quanto il nostro paese contribuisca a tale pratica. “Si valuta – sottolinea – che la quota dell’Italia (delle attività non dichiarate, ndr) possa essere compresa tra i 150 e i 200 miliardi di euro a fine 2013, con un’evasione fiscale di quasi un miliardo l’anno per i redditi da capitale e di circa 70 per l’imposta personale sul reddito”.
Se quindi questi redditi fossero stati dichiarati, anziché avere un deficit sul PIL pari al 2,6% avremmo all’incirca un surplus sul PIL equivalente con grande beneficio per la nostra finanza pubblica e quindi per ognuno di noi, che magari potremmo pagare meno tasse. E questo basta a capire perché l’evasione sia un fenomeno anti sociale.
Rimane la domanda su quanto siano attendibili queste stime. Bankitalia ricorda che con la procedura di collaborazione volontaria istituita con la legge 186 del 2014 sono emerse attività non dichiarate per quasi 62 miliardi che hanno prodotto un maggior gettito per quattro miliardi. “Poiché si valuta che poco più di 51 miliardi riguarderebbero titoli di portafoglio e depositi bancari, tali attività ammonterebbero a circa il 30 per cento della stima media degli stock sfuggiti alla rilevazione”. Insomma: le stime hanno una parvenza di verosimiglianza. E anche questo è utile promemoria.
Infine, una notazione tecnica che sembra un cavillo ma è sostanziale. Bankitalia ci ricorda che il dato relativo alla posizione patrimoniale sull’estero dell’Italia non riporta usualmente stime sulle attività detenute sull’estero dai residenti e non segnalate. Tale statistica viene aggiornata solo quando, come nel caso della voluntary disclosure, queste attività vengono regolarizzate. Per la cronaca, le recenti revisioni, conseguenti alla collaborazione volontaria, hanno condotto a un miglioramento della posizione netta dell’Italia sull’estero pari a tre punti di PIL. Quindi non solo l’evasione fa male a nostro bilancio pubblico, ma danneggia anche la nostra posizione estera, che è un importante punto di riferimento per molti analisti e investitori esteri. E anche questo è bene ricordarselo.
«Accordi troppo vantaggiosi, Paesi che abusano del tax ruling, di compiacenza sull’evasione fiscale. Un sistema che trasferisce in Stati compiacenti la contabilità di profitti realizzati in giro per il mondo. Enormi flussi finanziari nascosti al fisco, miliardi di euro risparmiati in tasse. Fra i trecento colossi ci sono nomi che fanno paura. E ci sono anche trentuno società italiane, incluse grandi banche e aziende di Stato. Tutto è cominciato da un’indagine giornalistica internazionale» – tratto da «La dolce vita della multinazionali» – Il Tredicesimo Piano, iDiavoli
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