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MONITOR


lun 25 giugno 2018

PECORE, RETAKE E VOLONTARIATO

Le pecore non costano granché e non si lamentano. Testa bassa e brucare. Del resto, lavorano per nutrirsi. Se il lavoro corre verso la meccanizzazione, la scelta contro tendenziale soddisfa rinnovata sensibilità ecologista e crescente ostilità per la municipalizzata della nettezza urbana. Retake Roma si presenta come un movimento (Onlus) di cittadini, no profit e apartitico, impegnato nella lotta contro il degrado, nella valorizzazione dei beni pubblici e nella diffusione del senso civico sul territorio. Una collaborazione raccontata nel segno della generosità e della cura per la propria terra. Ma un’attività straordinaria e gratuita per rimediare alle carenze dell’attività ordinaria e retribuita è, piuttosto, il segnale di una situazione che non funziona.

Greggi di pecore mangiano l’erba e ripuliscono Roma. Un simbolo di docilità affronta la ferocia della capitale. La campagna si riprende gli spazi da dove l’espansione della metropoli l’ha cacciata. La natura risolve i guai combinati dagli uomini.
Solo pochi giorni fa, quando è uscita fuori, sembrava una provocazione. Una boutade per scuotere una situazione che l’opinione pubblica considera al collasso.
Nonostante le ironie che si tira dietro, però, la proposta è seria. E si concretizzerà. Perché il Campidoglio ha siglato un’intesa con Coldiretti per “la cura delle aree verdi”, una ventina, tutte in periferia.
“Non porteremo le pecore al centro di Roma ma restituiremo loro le aree che erano state sottratte: la campagna romana” ha detto il sindaco Raggi.
Ci sono alcuni precedenti internazionali. Dal 2013 a Parigi si fa uso di ovini “per funzioni di giardinaggio”. E proprio in queste settimane, a Berlino sono state inserite quaranta pecore in un parco pubblico. In Italia c’è stato poco di paragonabile. Nel 2007 a Torino partì una sperimentazione che poi negli anni ha avuto un qualche seguito. A Ferrara, da un paio d’anni, un gregge pascola nel sottomura cittadino.
Nel 2011 un accordo con la stessa Coldiretti portò 1.200 pecore a sfalciare il prato di uno stabilimento Whirlpool nel varesotto: come osservava un articolo della «Stampa», il lavoro veniva svolto “in cambio di una buona razione di erba primaverile.”
Le pecore non costano granché e non si lamentano. Testa bassa e brucare. Del resto, lavorano per nutrirsi. Se il lavoro corre verso la meccanizzazione, la scelta controtendenziale soddisfa rinnovata sensibilità ecologista e crescente ostilità per la municipalizzata della nettezza urbana
AMA S.p.A. (Azienda Municipalizzata Ambiente) ha quasi ottomila dipendenti e il capitale sociale interamente detenuto dal Comune di Roma.
AMA S.p.A. costa parecchio ai cittadini: Roma ha la tassa sui rifiuti più alta d’Italia, dopo Napoli.
AMA S.p.A. ha molti, evidenti problemi. Primo fra tutti, il nodo di trattamento e smaltimento: se manca una discarica dopo la chiusura di Malagrotta, e se bisogna appoggiarsi a impianti esterni, allora l’azienda deve delegare una serie di funzioni e così perdere ricavi (su questo e non solo, c’è l’ottimo approfondimento di Sarah Gainsforth per «Dinamo Press»). A monte, comunque, ci sono anni di mancati investimenti e tagli continui.
AMA S.p.A. è anche un’azienda screditata dagli scandali, dopo le assunzioni clientelari sotto l’amministrazione Alemanno che hanno portato alla condanna (appena confermata) dell’ex Ad Panzironi.
Le difficoltà dell’azienda si traducono in risorse insufficienti per i suoi dipendenti. E nella percezione che vuole la città messa sotto scacco dai rifiuti che produce.
Molto simile la situazione del Servizio Giardini del Comune di Roma, dove nel 1980 lavoravano oltre 1.800 persone e ora non si arriva a 600. Di nuovo: la percezione è quella di una città-giungla, sopraffatta da un verde incontrastato.
Nel febbraio 2016 viene firmato l’accordo tra AMA e Retake Roma. Si formalizza una collaborazione all’insegna del decoro urbano: interventi straordinari, mirati, per unire le forze contro il degrado, la sporcizia, il degrado. Nello specifico: sfalcio delle erbacce, rimozione degli adesivi, bonifica dei muri dalle scritte spray.
L’accordo prevede che AMA fornisca le attrezzature ai cittadini e passi poi a ritirare i rifiuti raccolti. Il lavoro effettivo di pulizia viene svolto dai volontari, che scelgono piazze, strade e parchi dove intervenire.
Attività straordinaria e gratuita per rimediare alle carenze dell’attività ordinaria e retribuita. Un manipolo di cittadini volenterosi a supporto di professionisti. Una collaborazione raccontata nel segno della generosità e della cura per il proprio territorio. Ma forse, piuttosto, il segnale di una situazione che non funziona.
Retake Roma si presenta come “movimento (Onlus) di cittadini, no-profit e apartitico, impegnato nella lotta contro il degrado, nella valorizzazione dei beni pubblici e nella diffusione del senso civico sul territorio”. Abbiamo già familiarizzato con la prossimità tra elementi del genere (su tutti, la reiterazione del modello che oppone “decoro” e “degrado”) e tensione verso pratiche di gentrification che allontanano la marginalità. Aggiungiamo che l’organizzazione ha avuto negli anni partner importanti come Federalberghi, Wind, Clear Channel (grossa concessionaria di spazi pubblicitari), AS Roma e soprattutto LUISS Guido Carli.
In un altro passaggio dell’autopresentazione, si legge: “Il Retaker è qualunque cittadino che ambisca a vivere in una città in cui regni legalità, il rispetto delle regole, il senso di comunità e attivamente si dedichi e favorisca il recupero degli spazi e dei beni pubblici.”
Law & Order, d’accordo, ma anche il “senso di comunità” (quello che la gentrification dissolve). E il “recupero” di spazi e beni pubblici, che ha un suono ambiguo se non minaccioso, ma anche coerente con il nome: Re-Take.
Retake oggi conta attività in 35 città italiane e oltre ottanta gruppi di quartiere solo a Roma. All’inizio di maggio 2018, i retakers di tutta Italia si sono incontrati per una prima convention nazionale. Per l’occasione la fondatrice, Rebecca Spitzmiller, statunitense, docente universitaria di Diritto, ha ripercorso la strada fatta fin qui e ricordato la spinta iniziale: “Voler vivere in un luogo più dignitoso, più rispettato, più sicuro.”
Nel maggio 2017 il volontariato per pulire la città coinvolge direttamente la politica: il Pd romano invita a indossare le magliette gialle e partecipare alle grandi pulizie che ha organizzato in cinquanta punti della città. Vengono coinvolti esponenti di spicco del partito a livello nazionale.
Si parla di “riscossa civica”, si evoca un “esercito di volontari”. Ed è palese l’influenza del modello Retake, con le sue “sentinelle del decoro”, il suo civismo e le sue modalità d’azione.
Come le magliette gialle sono le uniformi di qualsiasi romano voglia unirsi all’iniziativa del Pd (“C’è una maglietta gialla anche per te”), così le pettorine di Retake sono una divisa che nel nome del decoro urbano include improvvisamente gli esclusi.
“Quando indossi una pettorina, sei un retaker come tutti” spiega il sito della Onlus, per raccontare che nel 2017 sei ragazzi rom sono stati coinvolti in iniziative di pulizia, nel quadro di una formazione lavoro.
Nel dicembre scorso, il Comune ha firmato un accordo con la Croce Rossa per coinvolgere nella manutenzione dei parchi pubblici i migranti richiedenti asilo dei centri d’accoglienza. Su base volontaria, naturalmente.
Da mesi ci sono poi i migranti che spazzano i marciapiedi della città, in uno spazio perimetrato da ciotole per le monete. Non godono di un nome nobile come “volontari”: perché in cambio ricevono un’elemosina (potenziale), ma soprattutto perché le loro condizioni riguardano un bisogno prima che una volontà.
È un’attività che non ha alcun sigillo istituzionale, né trova posto in una struttura solida come Retake, ma la direzione è la stessa. Con toni più cupi: perché prestando un servizio utile, si dimostra di essere pronti a integrarsi nella società. Lavoro, dunque guadagno dignità ai vostri occhi.
Forse il degrado è dove non si vede: le buche, le erbacce e l’immondizia, in realtà, sono il taglio ai servizi di manutenzione, i pasticci che impediscono di accedere a fondi europei, la sostituzione di professionisti con volontari.
E forse “decoro” è una parola d’ordine per fare la guerra, tanto alle condizioni di lavoro dignitose quanto alla marginalità urbana.

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