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MONITOR


gio 21 luglio 2016

MIGRANTI E UE. FINCHÉ C’È “DIGA”, C’È ERDOGAN

Parola dopo parola, sembra sgretolarsi l’immagine di Ankara come argine dei flussi migratori e al tempo stesso protezione del benessere europeo. Ma nel breve periodo non dovrebbe cambiare niente

«L’alleanza con la Repubblica di Turchia, cruciale tassello di stabilizzazione nel quadrante orientale del Mediterraneo, ha lasciato mano libera ad Ankara nella gestione dei flussi di migranti. Così la nuova porta per l’Europa si è spalancata a Sudest, creando una pressione in costante aumento sulla frontiera greca e sui Balcani. Il risultato è coinciso con l’isolamento del governo di Atene, col blocco delle frontiere dalla Macedonia all’Austria e con la messa in discussione di Schengen»Da La morte clinica dell’Europa. – Il Tredicesimo Piano
21 luglio 2016 – Fino a venerdì pomeriggio la Turchia era un paese capace e stabile, seppure problematico, che serviva come cuscinetto tra l’Europa e il Medioriente che implode. Era un partner per gli Stati Uniti. Soffriva gli attacchi terroristici come i Paesi europei e condivideva un mondo fatto di solidarietà e di post su Facebook, che proiettavano le bandiere turche sui monumenti nazionali. Tutto questo è cambiato con il colpo di Stato. L’azione militare ha riportato la Turchia dritta dall’Europa al Medioriente», così Jenny White, docente all’Università di Stoccolma ha raccontato del golpe fallito, praticamente una cesura storica.
Parola dopo parola, sembra sgretolarsi l’immagine di Ankara come argine dei flussi migratori e al tempo stesso protezione del benessere europeo. Davanti alle provocazioni del presidente Recep Tayyip Erdogan, che si comporta da sultano impetuoso promettendo il ritorno della pena di morte, pare che si polverizzi la sicurezza dell’Europa unita. Porta la data di marzo 2016, infatti, l’accordo siglato da Bruxelles e Ankara affinché i migranti «illegali» arrivati in Grecia siano rispediti dritti in Turchia.
Eppure, ciò che le cronache di questi giorni lasciano presagire come scenari del prossimo futuro, non è detto che si traducano in fatti. Ankara è ben consapevole di tutelare la sicurezza dell’Europa,finora incapace di gestire la questione migranti, logisticamente e politicamente. L’Ue sa che senza la Turchia potrebbe ritrovarsi da sola, investita da una nuova crisi migratoria. Qui si nasconde la vera posta della partita. Ergo, nel breve periodo non cambierà nulla. Forse, il problema salterà fuori sul lungo termine, come ammette Ian Lesser, analista del German Fund di Bruxelles.
«Per 53 anni abbiamo bussato alle porte dell’Unione europea e ci hanno lasciato fuori, mentre altri entravano. Se il popolo decide per la pena di morte, e il Parlamento la vota, io la approverò» – Recep Tayyip Erdogan
Mantenere lo status quo, continuare a sostenere l’alleato. Sembra questo il ritornello delle dichiarazioni ufficiali, che rimbalzano dai giornali al web all’indomani del tentato colpo di stato, nel disperato tentativo di attutire l’impatto delle sparate di Erdogan, tronfio di non aver perso il potere. «Speriamo e vogliamo ancora che questo accordo sia applicato correttamente, come è successo finora», ha fatto sapere la Commissione europea, per bocca del suo portavoce Margaritis Schinas. L’Ue rispetterà gli impegni presi con la Turchia: «Il successo nell’implementazione dell’accordo dipende dalla determinazione politica di tutte le parti coinvolte. Entrambe le parti devono mantenere gli impegni», ha spiegato Schinas.
A volere l’accordo è stata la Germania, da sempre traino ed egemone di molte scelte comunitarie. La cancelliera Angela Merkel ha visto Erdogan come una soluzione rapida e indolore alla crisi dei migranti di fine 2015. Ma il presidente turco, si chiede la Deutsche Welle, ha davvero tutto questo potere di controllo rispetto al flusso di rifugiati? Mentre la politica prende tempo, il rischio è che l’Ue perda credibilità trascinata dal clamore legato alla deriva autoritaria del compagno d’affari. Nonostante i richiami sui diritti umani e la minaccia di fare saltare ogni negoziato con Bruxelles per l’ingresso in Europa, qualora la Turchia ripristinasse la pena di morte (abolita nel 2004), Berlino sembra inamovibile. Per la Germania il colpo di stato fallito in Turchia non ha – al momento – nessun effetto sull’accordo tra Ankara e la Ue in materia di immigrazione. Le questioni vanno viste singolarmente: «Riteniamo che le due cose siano distinte, e come la Ue manterrà tutti i suoi impegni ci aspettiamo che la Turchia faccia altrettanto», ha detto Steffen Seibert, portavoce di Merkel. Il margine di negoziato da parte tedesca, per adesso, resta sull’esenzione dei visti per i turchi: avverrà «solo quando tutte le condizioni richieste verranno esaudite».
Ciò che la questione rifugiati ci ha insegnato è che i muri in terra, così come i muri in mare non sono una soluzione. Dalle colonne del quotidiano turco Hurriyet si legge che la crisi rifugiati ha dimostrato che «l’Europa non può restare immune dall’implosione del Medioriente. Il dialogo e la cooperazione tra Turchia ed Europa ha dato prova del contributo cruciale di Ankara per la sicurezza e il welfare Ue. E i guadagni sono stati reciproci». L’ormai ben noto accordo di marzo (fatto sulla «pelle dei migranti», secondo alcuni), stabilisce che, in cambio dell’ambulanza turca al confine, l’Unione si prenda carico dei rifugiati siriani già in Turchia. In effetti, dopo quel patto, i flussi lungo la rotta balcanica sono diminuiti. Merito del lavoro in tandem Bruxelles-Ankara e del bastone di Erdogan? Secondo Cengiz Aktar, professore di Scienze politiche all’Istanbul Policy Center, in realtà i numeri sarebbero diminuiti per via della chiusura del confine Siria-Turchia e non tanto per l’intesa con l’Ue.
A golpe archiviato e a fase di instabilità politica avviata, l’interesse politico dovrebbe resistere. Lo conferma anche Marc Pierini, analista per il think tank Carnegie Europe: «Ciò che è più probabile è che l’Ue e la Turchia, che hanno entrambe grande preoccupazione rispetto alla liberalizzazione dei visti, continueranno a rispettare i punti fondamentali dell’accordo. Questo risulta particolarmente vero in relazione ai 2 miliardi di euro, dei 3 miliardi promessi» dall’Europa alla Turchia e che «saranno assegnati entro la fine del mese di settembre».
Fino ad allora, e per altri sei mesi, poco dovrebbe cambiare. Si resta, comunque, sul piano della probabilità. Da più parti, infatti, arrivano pressioni affinché Bruxelles smetta di fare affari con Erdogan. La presidente della Camera, Laura Boldrini, si scaglia contro l’«inaccettabile giro di vite antidemocratico», chiede lo stop dell’accordo con la Turchia perché «non più sicura» per i migranti e propone la «gestione diretta Ue della questione rifugiati». Secondo Boldrini «la comunità internazionale ha fatto bene a condannare il tentativo di golpe, perché dai colpi di Stato non può nascere nulla di democratico». Infatti, «giudici sospesi e migliaia di persone arrestate arbitrariamente», non sarebbero «un modo di fare giustizia ma è repressione». Tutto ciò è da considerarsi «intollerabile per un Paese che dice di voler entrare nell’Unione europea». Dunque è «difficile considerare la Turchia un paese sicuro» per i richiedenti asilo «perché quanto sta accadendo dimostra che non ci sono i presupposti dello stato di diritto». Dunque, l’Europa deve avere «la gestione diretta dei rifugiati». Il rischio è sempre lo stesso: l’Ue potrebbe perdere «la propria autorevolezza e la propria reputazione».
Christopher Hein, portavoce del Consiglio Italiano rifugiati (Cir), spiega ancora qui: «L’accordo tra Ue e Turchia non è un vero e proprio trattato internazionale, non ne ha la natura giuridica. È un’intesa politica che si può sciogliere senza formalità, e che a nostro avviso va sciolta, perché si basa sulla considerazione che la Turchia sia un paese terzo sicuro». E ancora: «Sull’altro fronte, quello dell’accordo, va detto che finora il numero delle persone effettivamente respinte è molto residuale: circa 380 da aprile. L’unico reale effetto è stato quello deterrente: e cioè scongiurare la partenza dei rifugiati dalla Turchia. Nei fatti ha funzionato: il numero degli arrivi sulle coste greche è drammaticamente diminuito».
Come superare allora l’impasse? Il finanziere George Soros ne fa una questione economica. Tradotto: servirebbe un piano da 30 miliardi. «L’Ue necessiterà di un minimo di 30 miliardi di euro per poter attuare un esauriente piano di asilo. Tali risorse finanziarie sono necessarie sia all’interno dell’Unione (…) che al di fuori dei propri», ha scritto. A detta di Soros la risposta alla crisi migranti e l’accordo con la Turchia «non è europea in senso lato», «è seriamente sottofinanziata» e «ha trasformato de facto la Grecia in un centro assistenziale con strutture inadeguate. E, per finire, non è volontaria. Cerca infatti di imporre delle quote a cui molti Stati membri si oppongono con forza, ed ai rifugiati di insediarsi in Paesi nei quali non sono i benvenuti o dove non vogliono andare». Ben prima che il colpo di Stato precipitasse nella vita dei turchi in primis e nelle agende politiche e mediatiche mondiali, insomma, gli accordi con la Turchia avevano già parecchi difetti.
Bonificare il pantano, ora che Erdogan è più sicuro di prima e si sente forte a sfidare l’Europa (i toni sono questi: «Per 53 anni abbiamo bussato alle porte dell’Unione europea e ci hanno lasciato fuori, mentre altri entravano. Se il popolo decide per la pena di morte, e il Parlamento la vota, io la approverò») non sembra proprio lo scenario più plausibile. E quella che le segreterie politiche liquidano sotto l’etichetta “crisi migranti”, fatta di donne e uomini in carne e ossa, è solo sopita.
«L’apertura al mare che trasforma l’Europa da semplice appendice dell’Asia in un continente vero e proprio. È dal mare che arrivano le sfide, è il mare che mette alla prova le fondamenta europee. La forza simbolica dei migranti risiede in questo: nel misurare la mescolanza di culture che è all’origine dell’Europa.“Non si impara dai greci” raccomandava Nietzsche. “La loro natura è troppo estranea, e anchetroppo fluida”. E allora non si impara da una cultura ibrida? E invece è l’Europa stessa a reggersi sulle contaminazioni, e nel rapporto con i migranti si raccolgono oltre duemila anni di Storia, in equilibrio tra universalismo e pulsioni sovraniste. La sintesi tra difesa dei confini e spinte espansive»Da Muri di terra e muri di mare, la partita dei migranti – Il Tredicesimo Piano

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