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MONITOR


mar 24 ottobre 2017

MAKE JAPAN GREAT AGAIN: TUTTE LE SFIDE DI ABE

Mentre Tokyo continuerà con la propria politica monetaria “sperimentale” fatta di stimoli provenienti dalla Banca Centrale e deprezzamento dello yen, il premier Shinzo Abe ha intenzione di mettere le mani alla Costituzione pacifista e corteggiare gli Usa di Trump per far fronte alla minaccia nordcoreana.

Senza sorprese, domenica 22 ottobre l’azzardo elettorale voluto dal premier giapponese Shinzo Abe ha dato i risultati sperati. Aggiudicandosi, in coalizione col partito Komeito, 313 seggi su 465 alla Camera bassa del Parlamento (la Dieta), il Partito Liberaldemocratico (LDP) guidato da Abe ha ottenuto un nuovo “plebiscito popolare” funzionale agli ambiziosi progetti di un leader intenzionato a lasciare un segno profondo e riconoscibile nella storia del Paese. O almeno questa è la lettura offerta dal partito di governo, glissando su numeri non altrettanto entusiastici: l’affluenza alle urne, secondo le stime, si è attestata intorno al 53 per cento, secondo dato peggiore dal dopoguerra. Ma grazie al sistema maggioritario giapponese, per l’LDP si parla di “vittoria a valanga” sulle macerie di un’opposizione in profonda crisi.
Alla vigilia delle elezioni, in un commento pubblicato sul New York Times, il professor Koichi Nakano della Sophia University di Tokyo anticipava il rischio di una “morte del liberalismo in Giappone” in gran parte dovuta alla débâcle prolungata del Partito democratico giapponese (DPJ).

I risultati

Il Paese uscito dalle urne si è drasticamente spostato a destra, nonostante la performance al di sotto delle aspettative del Partito della Speranza (Kibo no To) di Yuriko Noike.

La nuova formazione politica della governatrice di Tokyo si pensava potesse dare battaglia, da destra, all’LDP, facendo leva sulla popolarità di Noike; invece, il Kibo no To si è aggiudicato solo 49 seggi (su 235 candidature), finendo come terzo partito nazionale dietro al Partito democratico costituzionale giapponese (CDPJ) di Yukio Edano, che con 55 seggi rappresenta l’ultimo baluardo dell’opposizione parlamentare.

Il futuro di Abenomics

La politica economica di Abe – Abenomics – nonostante i dubbi sulla propria efficacia proseguirà senza alcuna modifica. Come spiega Bloomberg, pur in controtendenza rispetto al resto delle economie sviluppate, Tokyo continuerà nella propria politica monetaria “sperimentale” fatta di stimoli provenienti dalla Banca Centrale e deprezzamento dello yen, sempre in attesa di quelle riforme strutturali che, secondo i sostenitori di Abenomics, spingeranno definitivamente il Giappone fuori dalle sabbie mobili.

“Make Japan Great Again” e la riforma costituzionale

Più che sull’economia, la battaglia nel Giappone di domani si giocherà intorno un tema davvero polarizzante: la riforma della Costituzione pacifista.

Mettere le mani sulla carta costituzionale siglata dall’impero sconfitto nella Seconda Guerra Mondiale è l’obiettivo principale dell’azione politica di Shinzo Abe, deciso a liberare il Paese da quell’articolo 9 che impone la rinuncia della guerra come mezzo per dirimere dispute internazionali: motivo di vanto per alcuni, umiliazione cocente per altri.
Abe, promotore di una visione à la “Make Japan Great Again”, figura tra i secondi, e dopo aver efficacemente cambiato l’interpretazione della Carta per permettere alle “forze di autodifesa giapponesi” di intervenire in conflitti al fianco dei propri alleati (leggi: gli Stati Uniti), intende ora legittimare completamente le aspirazioni muscolari di Tokyo, spingendo per una modifica della Costituzione con l’appoggio, tra gli altri, della stessa governatrice Noike.
Una volta passata in Parlamento, occorrerà un referendum popolare per ratificare le modifiche di Abe ed è lì che si giocherà la partita politica dell’imminente futuro. Il premier ne ha già parlato in conferenza stampa, affiancando alla minaccia nucleare della Corea del Nord la necessità di “far sentire il popolo giapponese più sicuro e difendere la nazione”.

Il piano per la Corea del Nord e i rapporti con Trump

La nascita di un vero e proprio esercito giapponese in un futuro prossimo è un’ipotesi destinata a sconquassare gli equilibri geopolitici dell’area, con la Corea del Nord già sul piede di guerra e la Cina di Xi Jinping già in modalità “moniti”. Il portavoce degli esteri cinese Geng Shuang, commentando l’esito elettorale giapponese, si è detto “fiducioso che il Giappone intraprenda azioni sostanziali che promuovano lo stabile miglioramento delle relazioni bilaterali”. Diametralmente opposta la reazione di Donald Trump, che si è affrettato a congratularsi con Abe per la rielezione e che all’inizio di novembre si recherà in Giappone per un vertice molto atteso. Si parlerà di Corea del Nord e di sicurezza nazionale, ma ci sarà anche tempo per una partita a golf tra Abe, Trump e il campione giapponese Hideki Matsuyama, numero 3 al mondo.

È opinione diffusa che oggi Abe rappresenti la persona più vicina al concetto di “alleato” che la controversa politica estera dell’amministrazione Trump possa vantare in Asia Orientale. Un tandem che, secondo Newsweek, risponde a una precisa sovrapposizione di interessi: Trump ha bisogno di un alleato forte nell’area per contrastare l’egemonia cinese e concretizzare maggiormente la minaccia di una “soluzione militare” al problema Pyongyang; Abe, ugualmente, necessita di legittimazione internazionale per portare a compimento la riforma costituzionale e di un alleato muscoloso che sia pronto a spalleggiare le prese di posizione di Tokyo sia in termini di sovranità nazionale – come fatto da Trump sulle isole Senkaku durante la visita di Abe a Mar-a-Lago lo scorso febbraio – sia di difesa dei propri confini dalla minaccia nordcoreana.
“Dalla elezione di Trump, Abe ha corteggiato il presidente degli Stati Uniti, a differenza dei leader europei che hanno messo a segno punti politici prendendo le distanze dall’amministrazione statunitense”, scrive John Pomfret sul Washington Post, delineando la strategia con cui il premier giapponese, intuendone l’opportunità politica, è riuscito a ritagliarsi una posizione da “leader maturo” a livello internazionale, facendo del “suo” Giappone un alleato per Washington indispensabile.
Se l’LDP lo confermerà alla guida del partito l’anno prossimo, Abe potrebbe occupare la carica di premier fino al 2021. Considerando un periodo ininterrotto alla guida del paese dal dicembre del 2012, la sua premiership sarebbe la più longeva della storia del Giappone.

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