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MONITOR


lun 15 febbraio 2016

BRASILE: LUCI E OMBRE

Secondo l'economista «La crisi è soprattutto politica. Da un punto di vista economico la situazione è difficile, ma molto lontana da quella disegnata dagli analisti delle agenzie di rating internazionali»

RIO DE JANEIRO, 15 FEBBRAIO 2016 – Gli uffici dell’Ipea, il noto istituto di ricerca economica del Brasile, si trovano in un luminoso palazzo postmoderno a due passi dal consolato generale d’Italia a Rio de Janeiro. Ė qui che Salvador Teixeira Werneck Vianna, l’economista brasiliano specializzato in materia fiscale e monetaria, accoglie “I Diavoli” per rilasciare un’intervista sulla complessa situazione economica e politica del Brasile, il paese osannato fino a poco tempo fa dai principali leader del pianeta, ma oggi alla berlina a causa degli intricati scandali e una crisi economica che intimorisce il mondo.
«La crisi è soprattutto politica. Decisamente politica. Sí, certo, sotto un punto di vista economico viviamo una situazione ben difficile, ma molto lontana da quella disegnata dagli analisti delle agenzie di rating internazionali», risponde senza esitare Werneck Vianna, il quale rammenta anche l’immensa riserva monetaria in dollari accumulata negli anni del boom economico brasiliano, la quale consentirebbe all’equipe della presidente Dilma Rousseff di onorare il pagamento del debito interno, anche nel caso in cui il paese rimanesse inerte per un anno intero. Ma inerte, il Brasile, non lo é certamente, anche perché gli effetti della mega svalutazione del real cominciano a farsi sentire sulle esportazioni, anche se a livelli non paragonabili a quelli avuti durante la crescita del grande divoratore di commodity brasiliane – la Cina – il quale trainava senza sosta l’economia mondiale. «Si é pensato persino di vendere parte di queste riserve in dollari che nel frattempo si sono valorizzate e potrebbero dare impulso all’economia, ma fortunatamente la proposta non é andata avanti», rivela Vianna. Il Brasile – secondo l’esperto economista – ha avuto il cambio artificialmente iper valutato per dieci anni consecutivi. «La valutazione del dollaro rispetto al real – ritiene il ricercatore dell’Ipea – ha oggi raggiunto un rate pressoché reale a quello di mercato». Nonostante gli errori commessi dal governo Rousseff  in passato (sopratutto quello di mantenere grandi esenzioni fiscali che gratificarono il mercato immobiliare e automobilistico fino al 2014), la Banca Centrale brasiliana, in materia di cambio, secondo l’economista, ha agito bene e in maniera tempestiva. L’ha fatto senza spendere un soldo, poiché ha lasciato decidere al mercato sulla valutazione del real; non ha minimamente difeso la propria moneta dagli attacchi degli speculatori finanziari, come George Soros, i quali hanno sempre tifato contro l’economie dei paesi per fare soldi a gogó.
«Il governo non spreca dollari per difendere il real da nessun attacco speculativo, anche questo é un fatto notevole», rivela Vianna. Il cambio é un tassello importante nell’equilibrio economico della nazione, giacché la valuta americana rappresenta lo strumento principale del cosiddetto “Plano real”, con il quale i governi brasiliani controllano da anni l’inflazione e la crescita del paese. Il prezzo da pagare é alto, dato che la Selic – il tasso di riferimento con cui la Banca Centrale brasiliana regola il credito nel paese – é destinato a rimanere alto per sedurre i creditori, i quali guadagnano facilmente e in maniera doppia, sia sull’apprezzamento del cambio, sia sugli interessi maturati con i capitali investiti. «Il Brasile é tra i paesi del gruppo Brics che offre maggiori facilitazioni d’investimento finanziario», rivela l’economista. Oggi ci vogliono circa  quattro reais per acquistare un dollaro. Una valutazione certamente proibitiva per i brasiliani che erano abituati a fare shopping a Miami, ma l’apprezzamento del biglietto verde ha dato un sospiro di sollievo ai magnati delle commodity, i quali sono ancora tra gli interlocutori principali per fare quadrare i conti del bilancio dello stato brasiliano. Ma gli esportatori devono lottare una guerra monetaria estenuante, dove la svalutazione monetaria é usata non solo dai Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) – ovvero il gruppo degli emergenti – ma anche da altre nazioni come l’Indonesia, la Malesia, l’Angola, la Nigeria, il Mozambico e tutti quei paesi che fino a poco tempo fa vivevano sbalorditive spinte speculative, ma oggi cercano di vendere disperatamente le proprie commodity a un mondo dove crescita e consumi stentano a ripartire con decisione. La crisi brasiliana era nell’aria sin dal 2014.  Non é un caso che gli speculatori abbiano realizzato i propri guadagni prima, per poi fuggire dal paese che si accingeva a giocare l’atteso Mundial de futebol, ma soprattutto la partita dell’elezione presidenziale. «Sapevamo che la stretta fiscale sarebbe giunta inesorabilmente dopo le presidenziali», rammenta Vianna, «ma oggi quest’impasse politica non giova a nessuno. Bisogna mettere la Rousseff in condizione di governare». Werneck si riferisce all’eterna minaccia d’impeachment che minaccia la presidente e il suo partito, il Partido dos Trabalhadores (Pt); ma anche Lula, il quale é continuamente sotto la mira dell’opposizione che vuole la sua testa e quella della Rousseff.  La presidente e il Pt sono oggi ostaggio degli stessi partiti alleati, i quali, in cambio dell’appoggio dato per arginare lo tsunami degli scandali, esigono privilegi e incarichi con cui dominano l’arena della politica brasiliana che diverrà ancora più sanguinosa a ottobre, quando si terranno le amministrative, prova generale delle presidenziali nel 2018.  «Oggi non sono gli speculatori, ma é il mercato a decidere i prezzi», afferma Vianna. I brasiliani si sono risvegliati da una vera e propria orgia di consumi durata più di 10 anni, grazie al finanziamento pubblico elargito dal motore dell’economia statale Verdegiallo, il  Bndes, la banca di sviluppo che ha favorito in maniera spropositata l’industria immobiliare, automobilistica e l’agro business. La banca pubblica che ha finanziato le grandi privatizzazioni delle imprese pubbliche dello Stato, durante il mandato presidenziale di Fernando Henrique Cardoso, e poi il boom economico del presidente Lula, non ha oggi chiuso i battenti, ma non é più il motore del “gigante” ormai addormentato.
Non lo fanno neanche le banche private, nonostante continuino a battere record d’incassi grazie all’applicazione di tassi d’interesse stratosferici sugli scoperti bancari dei propri clienti, i quali sudano freddo per fare quadrare i conti a fine mese. Le banche private non imprestavano denaro all’economia produttiva nemmeno quando la Selic era al 7,5 per cento nel primo mandato presidenziale della Rousseff, figuriamoci ora che il tasso d’interesse degli istituti di credito applicato sullo scoperto delle carte di credito raggiunge il 431 per cento l’anno.  Senza la “mesata” del Bndes che ha prestato denaro all’economia reale a tassi d’interesse nettamente inferiori a quelli applicati dalle banche private; e dopo la poderosa stretta fiscale,  Rousseff e la sua equipe economica si vedono obbligati a cercare fondi per fare ripartire la crescita, dopo due anni di recessione. Tra le misure in cantiere vi è la reintroduzione della Cpmf, l’odiato contributo sulla movimentazione e trasferimento di valori, di crediti e di diritti di natura finanziaria. Il contributo incide su ogni movimentazione finanziaria, soprattutto quella dei conti correnti, con aliquota dello 0,38 per cento. In questo modo l’Esecutivo guidato tenta di recuperare 31 miliardi di real. «E’stato Lula ad abolirla, ma la Cpmf  ha permesso in passato di finanziare Borsa Famiglia e altri programmi sociali. Oggi la sua introduzione potrebbe dare un aiuto alla previdenza sociale e alla decadente salute pubblica, soprattutto con l’aggravarsi delle epidemie di dengue e zika, ma gli industriali non la vogliono, giacché spenderebbero enormi capitali nelle transazioni bancarie con i fornitori», spiega Vianna. I grandi speculatori nazionali, ma anche internazionali, si sono approfittati della sbronza di denaro pubblico che ha aiutato non solo i paesi ricchi a risollevarsi dalla grande crisi americana del 2008, ma ha permesso anche il finanziamento dei programmi sociali, l’aumento del salario minimo, la formalizzazione del mercato, l’educazione tra le classi sociali meno abbienti e permesso a milioni di brasiliani di uscire dalla miseria. «Sono conquiste ormai consolidate nel paese. Nonostante la disoccupazione, abbiamo ancora intatto un mercato di 200 milioni di consumatori. Bar e ristoranti sono ancora pieni di gente che consuma. Nonostante la crisi, non abbiamo avuto minimamente una corsa agli sportelli bancari e i supermercati non sono certo privi di derrate alimentari», afferma Vianna, il quale suggerisce a piccoli e grandi investitori di approfittare del cambio favorevole per investire in Brasile. «Il momento é propizio – prosegue –  Chi lo ha capito, già investe, anzi specula». La regola é sempre stata la stessa, si compra al ribasso per poi rivendere con i prezzi alle stelle. Una regola ignorata però da milioni di brasiliani, i quali si sono indebitati per acquistare case – decine di case – durante il boom del mercato immobiliare. Senza liquidi per mantenerle, e un’offerta di affitti da fare paura, gli indebitati proprietari, molte volte disoccupati, sono costretti a vendere gli immobili a prezzi stracciati. Il crollo del settore immobiliare però non c’é stato, anche se i costi delle case si sono abbassati notevolmente in tutto il Brasile, incluso a Rio de Janeiro, dove esiste il metro quadro più caro del paese.
La mancanza di liquidità, ma anche la paura d’investire, tiene molta gente alla larga dal mercato brasiliano. Gli investitori attendono soprattutto la dissoluzione del caos politico a Brasilia. Vianna ritiene che bisognerà attendere la fine delle Olimpiadi per vedere un po’ di luce nella politica brasiliana. Secondo l’economista, le chance di un impeachment sono ancora presenti, ma hanno oggi meno forza politica, poiché l’attenzione dell’opposizione, ma anche del friendly fire dei partiti alleati al governo, é rivolta  ad abbattere il mito di Lula, il presidente più amato della storia elettorale brasiliana, il quale potrebbe candidarsi alle presidenziali del 2018 per salvare il Pt, ormai in caduta libera nei sondaggi.

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