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ven 6 ottobre 2017

L.A. IN LOTTA CONTRO LA GENTRIFICATION – PT. 2. LA BATTAGLIA (PERSA) DI CHÁVEZ RAVINE

Oggi i Dodgers di Los Angeles giocano le partite casalinghe in uno stadio da 56mila posti, il terreno è quello di Chávez Ravine. Quello dove si ammucchiavano le case poverissime dei tre quartieri Latinos, che sarebbero stati "sradicati". La franchigia dei Dodgers era riuscita ad acquistarlo dalla città di Los Angeles nel 1958. Poi, ci fu lo sgombero degli ultimi residenti che avrebbe concluso un lunghissimo conflitto, la cosiddetta “Battaglia di Chávez Ravine”.

Julian Chávez era un proprietario terriero della Los Angeles ottocentesca. A lui venne intitolata una zona, qualche chilometro a nord di Downtown, con cui in realtà non aveva mai avuto a che fare. Il contesto era una Ravine, cioè un paesaggio carsico, un’erosione più profonda di una “gola” e meno di una “valle”.

Nell’Ottocento da queste parti esistevano diverse Pest Houses: lazzaretti, ricoveri dove mettere in quarantena le persone, di solito messicani e cinesi. Per decenni sarebbe rimasto un luogo di isolamento e marginalità. Nella prima metà del Novecento, piuttosto che Chávez Ravine la zona veniva chiamata coi nomi dei tre quartieri che la formavano: Palo Verde, La Loma e Bishop.

I Dodgers di Los Angeles giocano le partite casalinghe in uno stadio da 56mila posti, uno dei più antichi della Major League statunitense. La maggior parte dei loro tifosi erano operai dei cantieri navali, quando lo stadio venne inaugurato nel 1962.

Il terreno è quello di Chávez Ravine. Quello dove si ammucchiavano le case poverissime dei tre quartieri Latinos. La franchigia dei Dodgers era riuscita ad acquistarlo dalla città di Los Angeles, dopo una forte pressione e il referendum del 3 giugno 1958, il Taxpayers Committee for Yes on Baseball.
L’anno seguente, lo sgombero degli ultimi residenti che avrebbe concluso un lunghissimo conflitto, la cosiddetta “Battaglia di Chávez Ravine”. Che è diventata tanto leggendaria da essere tramandata come un’ammonizione, tra gli ispano-americani di Los Angeles che temono il displacement, come a Boyle Heights.
Li hanno definiti “gli Sradicati”. Erano mexican-americans, erano poveri, e avevano messo su una comunità rurale autosufficiente che coltivava terra e allevava animali.
Abitavano nei tre insediamenti di Chávez Ravine nel 1949, quando la città di Los Angeles ebbe i finanziamenti federali per costruire nella zona migliaia di alloggi popolari. L’anno successivo gli Sradicati ricevettero una lettera dall’autorità municipale: dovevano lasciare le loro case per far posto all’housing project dell’Elysian Park Heights. Potevano decidere se ricevere in cambio dei soldi o avere una priorità sui nuovi alloggi. Alcuni accettarono, altri fecero resistenza e vennero bollati come “squatters”.

Sfruttando l’Eminent Domain della giurisprudenza statunitense, l’espropriazione per pubblica utilità, la città di Los Angeles si liberò degli abitanti che non volevano andarsene e demolì gli immobili d’intralcio. Tabula rasa.

Ma presto il governo si tira indietro. E l’elezione del sindaco repubblicano Norris Poulson, nel 1953, partecipa alla svolta.

Il progetto abitativo dell’Elysian Park Heights viene bloccato. Sembra inopportuno avviare gli housing project in piena guerra fredda: troppo UnAmerican, troppo riconducibili al socialismo, come avanza il gruppo dall’incredibile nome di Citizens Against Socialist Housing (CASH).

La città di Los Angeles acquista i circa 350 acri di Chávez Ravine dal governo federale per una somma modesta, con una stipula che prevede la destinazione d’uso pubblico.

E poi il sindaco Poulson cede il terreno a un privato, Walter O’Malley, proprietario dei Dodgers.

Il referendum del ’58 conferma il passaggio. Sembra una scelta moderna e patriottica. Due cause che sostengono l’illegalità della privatizzazione superano il primo grado di giudizio ma vengono sconfitte in appello.
Nell’ultima fase di sgomberi, le foto di Aurora Vargas trascinata in un’auto della polizia compaiono su tutti i quotidiani losangelini. Lei e la sua famiglia sono sfrattati dal posto in cui hanno vissuto per trentacinque anni. Quell’8 maggio 1959 verrà ricordato come “il Giorno dell’infamia”.

Chávez Ravine diventa un tempio del baseball.
“È stata la tragedia della mia vita. Sono stato responsabile dello sradicamento di centinaia di persone dalla loro piccola valle”. Nel 2003 la raccontava così Frank Wilkinson della Los Angeles City Housing Authority. Negli anni Cinquanta era uno dei massimi promotori di quell’housing project che prima era stato imposto e poi abbandonato.
Chávez Ravine è anche il nome di un concept album del 2005 che Ry Cooder ha incentrato sulla storia del quartiere. Sono ballate che mescolano inglese e spagnolo, le storie degli abitanti, i nomi di Palo Verde e La Loma.

Uno di questi brani, In my Town, dice: “If you’re brown, back down / If you’re black, get back / Better white than right / Better dead than red”.

E in un altro, quello che conclude l’album, Ry Cooder ripete amaramente: “If you want to know / where a local boy like me is coming from: / 3rd base, Dodger Stadium”.
La prima puntata
L.A. in lotta contro la gentrification – pt. 1: Boyle Heights qui
Per approfondire:
J. Podair, City of Dreams. Dodger Stadium and the Birth of Modern Los Angeles, Princeton University Press, 2017

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