Decodificare il presente, raccontare il futuro
Il caso di Boyle Heights racconta di un’attivazione preventiva. Il tentativo di un contrattacco per fermare o almeno arginare un fenomeno che si direbbe inarrestabile. E il nemico è il mondo dell’arte contemporanea, accusato di fungere da cavallo di Troia.
Nel senso comune, ad ogni modo, Boyle Heights era soprattutto criminalità, inquinamento, violenza delle gang. Tradizionalmente confluivano qui indesiderabili da tutto il mondo, e lasciavano tracce fisiche. Gli insediamenti degli ebrei del primo Novecento, l’ospedale giapponese, il cimitero serbo, per fare qualche esempio. Ne è venuta fuori una comunità aperta, multiculturale, con le tensioni caratteristiche degli spazi deputati alla marginalità.
La situazione oggi è cambiata solo in parte. Le statistiche parlano chiaro riguardo le condizioni socio-culturali: di quasi centomila abitanti totali, il 90% è costituito da Latinos e il 17% da undocumented immigrants, il 33% vive in povertà e il 95% non ha preso il diploma.
Oggi il public housing e la compattezza comunitaria di Boyle Heights sono minacciati da un’ombra. Gli abitanti lo sanno. In un quartiere dove l’89% dei residenti vive in affitto, fa gola a molti l’ipotesi di privatizzare, smantellare il sistema di affitti convenzionati, speculare sull’aumento dei costi generato dalla cosiddetta riqualificazione.
Le gallerie d’arte si rivolgono a persone slegate dal quartiere, o comunque restano un corpo estraneo e incapace di dialogare con la comunità residente. Le gallerie d’arte vanno a sostituire le forme culturali preesistenti del quartiere. Le gallerie d’arte fanno alzare gli affitti. Questo hanno sostenuto gli organizzatori delle proteste del 2016, che dicono di volerle far chiudere tutte. Tra i bersagli della polemica è finito anche il Self Help, un collettivo artistico fondato qui da una suora francescana nel 1970, dunque in tempi non sospetti.
Nel quartiere esistono associazioni consapevoli e reattive, con nomi come Defend Boyle Heights, Boyle Heights Alliance Against Artwashing and Displacement. Hanno assistito alla brutalità della gentrification a Echo Park o Silver Lake, ex quartieri Latinos dove si sono alzati esclusivi palazzi di vetro, abitati da bianchi che hanno lasciato Beverly Hills.
Certo, nel Nord America il livello di discussione intorno alla gentrification è talmente avanzato da far arrossire l’Italia, dove problematizzazione, dibattito pubblico e mera conoscenza del fenomeno sono indietro di decenni.
Da sindaco, Villaraigosa ha usato parole di unità: “Siamo una famiglia, un quartiere, una città”. L’ha definita “la Ellis Island della West Coast”. Una porta d’accesso agli Stati Uniti per i migranti, dove poter cominciare qualcosa. Un posto dove si cerca di stare in guardia, per non essere espulsi e far spazio a immobiliaristi e nuovi abitanti.