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MONITOR


ven 29 settembre 2017

L.A. IN LOTTA CONTRO LA GENTRIFICATION – PT.1

"La gentrification è il nuovo colonialismo", si legge sugli striscioni di protesta a Boyle Heights, East Side di Los Angeles. Oggi ha il volto dell'arte contemporanea e delle sue gallerie che sostituiscono le forme culturali preesistenti nel quartiere e fanno alzare gli affitti. In una zona dove l'89% dei residenti vive in affitto, fa gola a molti l'ipotesi di privatizzare, smantellare il sistema di affitti convenzionati, speculare sull'aumento dei costi generato dalla cosiddetta riqualificazione.

“Non ci servono gallerie d’arte, ci servono salari più alti” si intonava nel 2016 a Boyle Heights, il quartiere più antico dell’East Side di Los Angeles. Una dichiarazione di guerra all’invasione di spazi espositivi, aperti nel quartiere dai Whites. Di lì a poco sarebbe stato chiuso il Pssst, inaugurato solo pochi mesi prima.
Il caso di Boyle Heights racconta di un’attivazione preventiva. Il tentativo di un contrattacco per fermare o almeno arginare un fenomeno che si direbbe inarrestabile. E il nemico è il mondo dell’arte contemporanea, accusato di fungere da cavallo di Troia.
Il quartiere delle minoranze, il covo della working-class losangelina, il Melting Pot della città. Tra le tante descrizioni di cos’è stata Boyle Heights nel Novecento, sembra particolarmente ficcante quella uscita su «Fortnight» nel 1954: “Pochi distretti in America sono così dinamici sul piano etnico, tolleranti su quello politico e community-proud”.
Nel senso comune, ad ogni modo, Boyle Heights era soprattutto criminalità, inquinamento, violenza delle gang. Tradizionalmente confluivano qui indesiderabili da tutto il mondo, e lasciavano tracce fisiche. Gli insediamenti degli ebrei del primo Novecento, l’ospedale giapponese, il cimitero serbo, per fare qualche esempio. Ne è venuta fuori una comunità aperta, multiculturale, con le tensioni caratteristiche degli spazi deputati alla marginalità.
La situazione oggi è cambiata solo in parte. Le statistiche parlano chiaro riguardo le condizioni socio-culturali: di quasi centomila abitanti totali, il 90% è costituito da Latinos e il 17% da undocumented immigrants, il 33% vive in povertà e il 95% non ha preso il diploma.
Nel settembre 2016 il quattordicenne Jesse Romero è stato ucciso dalla polizia dopo una chiamata per atti di vandalismo: stava dipingendo un muro con lo spray. Secondo un’inchiesta del «Los Angeles Times», Boyle Heights è il quartiere della città che registra il maggior numero di “fatal police shootings”.
Oggi il public housing e la compattezza comunitaria di Boyle Heights sono minacciati da un’ombra. Gli abitanti lo sanno. In un quartiere dove l’89% dei residenti vive in affitto, fa gola a molti l’ipotesi di privatizzare, smantellare il sistema di affitti convenzionati, speculare sull’aumento dei costi generato dalla cosiddetta riqualificazione.
Le statistiche parlano chiaro e la riqualificazione sembra ancora a buona distanza. Ma negli ultimi anni l’arte contemporanea a Los Angeles ha avuto un fioritura notevole, e in particolare Boyle Heights è stata invasa di spazi espositivi (se ne contano dieci sulla sola South Anderson Street). Questi sono diventati il simbolo della gentrification che tenta di incunearsi e dalla quale è necessario difendersi.
In molti considererebbero l’arrivo di spazi dedicati all’arte a Boyle Heights un segno di vitalità e rinascita. Chi ne subisce o rischia di subirne presto gli effetti, invece, ha una prospettiva tutta diversa.
Le gallerie d’arte si rivolgono a persone slegate dal quartiere, o comunque restano un corpo estraneo e incapace di dialogare con la comunità residente. Le gallerie d’arte vanno a sostituire le forme culturali preesistenti del quartiere. Le gallerie d’arte fanno alzare gli affitti. Questo hanno sostenuto gli organizzatori delle proteste del 2016, che dicono di volerle far chiudere tutte. Tra i bersagli della polemica è finito anche il Self Help, un collettivo artistico fondato qui da una suora francescana nel 1970, dunque in tempi non sospetti.
Prima di chiudere il Pssst si riproponeva, almeno nella rappresentazione esterna, di concentrarsi su “artisti sottorappresentati: donne, neri, LGBT”. Si direbbe un paradosso lampante: voler difendere chi viene messo ai margini danneggiando indirettamente, al tempo stesso, chi viene messo ai margini.
Nel quartiere esistono associazioni consapevoli e reattive, con nomi come Defend Boyle Heights, Boyle Heights Alliance Against Artwashing and Displacement. Hanno assistito alla brutalità della gentrification a Echo Park o Silver Lake, ex quartieri Latinos dove si sono alzati esclusivi palazzi di vetro, abitati da bianchi che hanno lasciato Beverly Hills.
C’è anche un gruppo più strettamente politico, Servir al Pueblo, che nel displacement vede un rapporto verticale e oppressivo, orientato alle sole logiche del profitto. Sostiene che la gentrification sia una “minaccia violenta”, parla di radici da difendere, spiega che “Boyle Heights non verrà ceduta senza uno scontro”.
Certo, nel Nord America il livello di discussione intorno alla gentrification è talmente avanzato da far arrossire l’Italia, dove problematizzazione, dibattito pubblico e mera conoscenza del fenomeno sono indietro di decenni.
Murales, cibo messicano e Mariachi. Addirittura, la piazza che è punto di riferimento del quartiere si chiama “Mariachi Plaza”. È interessante come alcuni giovani manifestanti, nelle ultime proteste, indossassero i capelli marroni del Movimento Chicano, che qui negli anni Sessanta chiedeva l’estensione dei diritti civili.

Tra i tanti Latinos che hanno trascorso l’infanzia e frequentato le scuole a Boyle Heights, c’è Antonio Villaraigosa, sindaco di Los Angeles dal 2005 al 2013, e candidato per le elezioni del governatore della California del 2018.
Da sindaco, Villaraigosa ha usato parole di unità: “Siamo una famiglia, un quartiere, una città”. L’ha definita “la Ellis Island della West Coast”. Una porta d’accesso agli Stati Uniti per i migranti, dove poter cominciare qualcosa. Un posto dove si cerca di stare in guardia, per non essere espulsi e far spazio a immobiliaristi e nuovi abitanti.
“Keep Beverly Hills out of Boyle Heights” si leggeva pochi mesi fa su uno striscione in queste strade.

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