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MONITOR


mar 20 giugno 2017

LONDRA, IL PUNTO DI NON RITORNO

Il terrorismo bianco colpisce la capitale britannica. Attacca una moschea. Questa volta succede in Europa e non negli Stati Uniti. Il bersaglio sono i musulmani, dopo anni che titoli di giornale e fake news invadono autorevoli testate e meno autorevoli social network, fomentando l’odio anti-islamico. Quando la guerra tra poveri è l’unico diversivo possibile per evitare che la rabbia dei ceti medi impoveriti si diriga verso l’ideologia dominante, lo scontro di religione diventa l’ultimo rifugio di una società frantumata.

L’orizzonte degli eventi d’Europa accade a Londra.
«Voglio uccidere tutti i musulmani», avrebbe gridato – secondo un testimone – l’uomo prima di lanciarsi con il suo camioncino sul marciapiede antistante la moschea di Finsbury Park (qui la cronaca della Bbc, ndr).
Ne ha ucciso uno solo. Quanto basta.

È l’orizzonte degli eventi d’Europa. Il punto di non ritorno.
Non è il primo attacco contro i musulmani e i loro luoghi di ritrovo.
Negli Stati Uniti il numero di attacchi terroristici perpetrati – e di morti causati – da estremisti di destra è di gran lunga superiore ai morti causati dal cosiddetto terrorismo islamico.
Con la campagna elettorale di Donald Trump e la sua retorica anti-Islam, il numero di organizzazioni di estrema destra è triplicato, gli atti di violenza contro musulmani sono cresciuti del 67 percento.

L’ultima vittima è una ragazza di 17 anni che usciva da una moschea nella contea di Fairfax, Virginia. È stata uccisa tre giorni fa.
La prima differenza è che in un caso – quando le vittime sono i musulmani — lo spazio sui media si esaurisce in un breve ritratto del lone wolf, il cosiddetto “lupo solitario”, il cane sciolto, il singolo individuo con problemi mentali che ha compiuto la strage (qui un approfondimento sui limiti della narrazione del “lone wolf”, ndr). Mentre nel secondo — quando l’attentato è di matrice jihadista — si analizza per giorni il presunto odio atavico di una cultura diversa nei confronti delle libertà dell’altra.
L’altra differenza è che in Europa non era ancora successo. Non ancora, non in questi termini.

La moschea di Finsbury Park, nord di Londra, è stata vittima di diversi attacchi negli ultimi anni: dalla testa di maiale lasciata davanti al cancello nel 2012 al tentativo di incendio del 2015.
E se nel Regno Unito il numero di attacchi nei confronti di musulmani è triplicato dopo gli attacchi di Parigi, è cresciuto addirittura del 500% dopo la strage di Manchester del 22 maggio scorso.  E si è trasformato in furia omicida il 3 giugno a London Bridge, quando un veicolo si è diretto a tutta velocità sulla folla falciando diverse persone.
La stessa dinamica di quanto successo sul ponte di Westminster lo scorso marzo. Di quanto accaduto la settimana scorsa a Malmö, in Svezia, quando un uomo bianco legato ad ambienti neonazisti ha cercato di investire un gruppo di iracheni che manifestava davanti all’ufficio immigrazione.

Uguale a quello che è successo domenica sera, a Finsbury Park.
La prima differenza è che in un caso — quando l’attentatore è musulmano — alcuni media vomitano accuse terribili contro l’Islam (con le dovute eccezioni, per fortuna, ndr). Mentre nel secondo — ovvero quando si tratta di “terrorismo bianco” — stanno già cominciando a chiedersi quasi che colpa abbiano le vittime. L’altra differenza è che accade anche in Europa.
L’ultima lunghissima scia di sangue che collega Westminster e London Bridge, Manchester Arena e moschea di Finsbury, si sparge in luoghi centrali in cui le telecamere a circuito chiuso riprendono ogni minimo spostamento.
In un paese le cui misure di sorveglianza calpestano ogni diritto e legittimano uno stato di eccezione permanente, la costruzione del nemico esterno serve a sua volta a legittimare queste misure.
In un paese in cui tabloid e quotidiani per anni hanno coniato titoli come “Un musulmano britannico su cinque simpatizza per la jihad”, “I musulmani cospirano per uccidere” o “I musulmani decisi a mandare all’inferno gli inglesi” [vedi foto, ndr], non stupisce come fin dalle luci dell’alba di lunedì il Daily Mail indichi la moschea di Finsbury Park come noto ritrovo di terroristi.
Tesi subito ripresa negli Stati Uniti dalla CNN, che sottolinea la sua «storica reputazione», «famigerata» in senso negativo, e in Italia da chi la definisce «luogo simbolo della jihad inglese».
Un modo di vedere le cose non dissimile da Abu Bakr al-Baghdadi, califfo dell’autoproclamato Stato islamico, che fosse vivo a questo punto potrebbe tranquillamente definire la meravigliosa cattedrale di Canterbury come “covo di sanguinari crociati”. Giusto per calmare le acque.
Il tutto perché fino al 2003 nella moschea predicava il violentissimo Abu Hamza al-Masri e da lì sarebbero passati alcuni personaggi coinvolti con l’attacco dell’11 settembre. Peccato però che dal 2005 la moschea sia diventata un punto di riferimento per il dialogo interreligioso e abbia vinto premi per essersi distinta nella lotta al fondamentalismo, come ricorda la scrittrice J. K. Rowling. (qui l’evoluzione della moschea fino ad oggi, ndr)
Lo scorso febbraio l’agenzia di stampa Reuters è stata costretta a risarcire la moschea perché, stilando report falsi e datati su presunti collegamenti con il terrorismo internazionale, aveva convinto la banca HSBC a chiudere ogni rapporto con la gerenza della moschea.
In un paese in cui l’architettura e l’urbanistica disegnano una rigida divisione in classi sociali e mappano la diseguaglianza nei ghetti invalicabili, e  in cui la tragedia della Grenfell Tower racconta come ancora oggi si muore pur di nascondere la povertà ai ricchi, la moschea di Finsbury era stata tra le prime realtà a mobilitarsi per i sopravvissuti dopo il disastro.

Oltre alla sacra preghiera, anche la decisione di aprire le porte e di raccogliere cibo e generi di prima necessità per i superstiti.

Ma per chi da ambo le parti soffia sul fuoco dell’odio religioso, magari per vendere 110 miliardi di dollari di armamentari all’Arabia Saudita — da cui sono passate molte più persone collegate con l’11 settembre di quante non ne siano transitate a Finsbury Park — queste sono notizie da nascondere.

Meglio alimentare l’odio.
Titoli di giornale, fake news, invadono autorevoli testate e meno autorevoli social network e fomentano l’odio anti islamico. Come scrive anche il libro bianco del 2015 del ministero degli Interni britannico.
Fino ad arrivare a Tommy Robinson, leader della formazione neonazista English Defence League, che invoca in video la pulizia etnica nei confronti dei musulmani.
Se negli Stati Uniti questo tipo di attacchi omicidi in nome della supremazia bianca sono all’ordine del giorno, fino a oggi in Europa si era registrato solo il suicidio di Dominique Venner all’interno della cattedrale di Notre-Dame.
Le altre aggressioni non avevano ancora provocato vittime. Non ancora.
Ma quando la guerra tra poveri è l’unico diversivo possibile per evitare che la rabbia dei ceti medi impoveriti si diriga verso l’ideologia dominante che li governa, lo scontro di religione diventa l’ultimo rifugio di una società frantumata.
L’orizzonte degli eventi, il punto di non ritorno.

Lo fu nel 1933 l’incendio del Palazzo del Reichstag. Rischia di esserlo nel 2017 l’attentato alla moschea di Finsbury Park.

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