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MONITOR


lun 23 luglio 2018

L’IMPLOSIONE DELLA TRADE WAR

Nel contesto commerciale internazionale sta progressivamente emergendo un inedito attivismo politico intento a tessere trame commerciali e superare l’ostruzionismo americano. Sono Giappone ed Europa che, di fronte alla minaccia statunitense di far saltare l’intero sistema degli scambi globali, assumono posizioni che in altri tempi avremmo definito «conservatrici», cioè mirate al mantenimento dello status quo, ma che oggi, per assurdo, vengono presentate come progressismo illuminato in opposizione all’oscurantismo statunitense. L’implosione della trade war sembra stagliarsi all’orizzonte. Con l’inizio del 2019 entrerà in vigore il Jefta, il più grande accordo di libero scambio mai siglato dall’Unione Europea, che prevede una riduzione progressiva del 90 per cento dei dazi imposti bilateralmente da Cina e Usa.

Salvo eccezionali cambi di fronte dell’ultimo momento, con l’inizio del 2019 entrerà in vigore il Jefta, il più grande accordo di libero scambio mai siglato dall’Unione Europea.
Lo scorso 16 luglio a Tokyo, alla presenza del premier giapponese Shinzo Abe, del presidente del consiglio europeo Donald Tusk e del presidente della commissione europea Jean Claude Juncker, Giappone e Ue hanno firmato un patto che darà vita alla più grande zona di libero scambio al mondo, interessando oltre 600 milioni di persone.
L’accordo, tra le altre, prevede una riduzione progressiva del 90 per cento dei dazi imposti bilateralmente dalle due potenze economiche – che macinano il 30 per cento del Pil mondiale e rappresentano oltre il 40 per cento degli scambi globali – andando a ridurre sensibilmente il prezzo di formaggi e vini europei in Giappone e di prodotti elettronici e componenti automobilistiche giapponesi in Europa.
L’intesa è arrivata al culmine di trattative che dal 2011 hanno interessato le cancellerie europee e giapponesi e che oggi, in contrapposizione al disfattismo protezionista del presidente statunitense Donald Trump, finisce per assumere significati politicamente pesantissimi.
Tusk, nella conferenza stampa a margine della cerimonia della firma, ha scandito di fronte alle telecamere:
«Politicamente, [l’accordo] è una luce nel bel mezzo dell’avanzata dell’oscurità nella politica internazionale. Stiamo mandando un messaggio molto chiaro: potete contare su di noi. Siamo prevedibili, Giappone e Ue, prevedibili e responsabili, e ci schiereremo a difesa dell’ordine mondiale basato sulle regole, la libertà, la trasparenza e il senso comune. […] Si tratta di un atto dall’enorme importanza strategica per l’ordine internazionale basato sulle regole, in tempi in cui alcuni stanno mettendo in discussione il medesimo ordine».
Chiarissimo il riferimento alla «guerra dei dazi» dichiarata dagli Stati Uniti al resto del mondo, con Donald Trump che pochi giorni prima aveva additato Bruxelles come «il principale nemico degli Stati Uniti» in termini commerciali.
Trump, in ottemperanza al suo motto «America First», sin dal proprio esordio alla Casa Bianca ha sistematicamente sabotato ogni iniziativa multilaterale intrapresa verso l’abbattimento dei dazi per una deregulation della circolazione delle merci, affossando prima il Tpp per poi applicare dazi mirati alle esportazioni di Cina ed Unione Europea dirette negli Stati Uniti.
Misure che, secondo Trump, dovrebbero tutelare le aziende e i lavoratori statunitensi, ma che come avevamo già evidenziato in passato presentano dei danni collaterali potenzialmente devastanti per il medesimo comparto che The Donald vorrebbe «salvare».
In risposta al ripiegamento statunitense su posizioni protezionistiche intrise di sciovinismo, e al conseguente isolamento di Washington nel contesto commerciale internazionale, sta progressivamente emergendo un inedito attivismo politico del resto del mondo, intento a tessere trame commerciali a tutela di un multilateralismo degli scambi che si prepara a superare l’ostruzionismo americano.
Lo scorso 15 luglio, un giorno prima della firma del Jefta a Tokyo, i due principali «nemici» degli Usa trumpiani – Cina ed Unione Europea – si incontravano a Pechino per il 20esimo China-Eu summit, rilasciando un comunicato congiunto in cui si riaffermava «il forte impegno nel resistere al protezionismo e all’unilateralismo» sostenendo «con fermezza il sistema di scambi multilaterali basato sulle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio».
Opporsi alla guerra dei dazi di Trump, per Pechino e Bruxelles, rappresenta un’unione d’intenti tale da soprassedere, almeno temporaneamente, sui grandi temi di scontro quali il rispetto dei diritti umani, lo spionaggio industriale e la manipolazione, da parte di Pechino, delle medesime regole del Wto.
Di fronte alla minaccia statunitense (prima potenza commerciale al mondo) di far saltare di netto l’intero sistema degli scambi globali, Cina ed Europa in questo senso assumono posizioni che in altri tempi avremmo definito facilmente «conservatrici», mirate al mantenimento dello status quo, ma che oggi, per assurdo, vengono presentate come progressismo illuminato in opposizione all’oscurantismo statunitense.
Individualmente, sia Unione Europea che Cina continuano a intrattenere rapporti col resto della comunità internazionale tesi alla tentacolarizzazione del libero mercato e delle sue regole.
Si legge sul New York Times: «Mentre il presidente [Trump] minacciava di fare a pezzi il North American Free Trade Agreement, l’Unione Europea operava gli ultimi ritocchi al patto di libero scambio col Canada, entrato in vigore l’anno scorso.
L’Europa ha inoltre raggiunto un’intesa di base col Messico per migliorare l’accordo di libero scambio già esistente entro la fine dell’anno. Simili accordi con Vietnam e Singapore stanno attraversando le fasi finali pre-approvazione.
Negoziati sono in corso tra l’Unione Europea e una lunga lista di Paesi che include Australia, Cile, Indonesia, Nuova Zelanda, Tunisia e i cosiddetti Paesi del Mercosur – Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. L’Ue e l’India hanno riaperto colloqui fermi dal 2013».
In un interessante commento firmato da Cod Satrusayang per Asia News Network, titolato emblemiaticamente “A world without America”, si dà conto della straordinaria penetrazione cinese nel mercato globale sotto il vessillo della Belt and Road Initiative (la Nuova Via della Seta), grazie a cui Pechino ha già soffiato agli Stati Uniti il sostegno di due alleati storici come Thailandia e Filippine e continua a corteggiare i mercati dell’India e del resto dell’Asia Meridionale.
Con l’entrata in vigore del Jefta, Washington perderà per strada anche due alleati simbolo del fu «blocco occidentale», mentre gli 11 membri del Tpp sopravvissuto alle bordate di Trump – Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam – non solo stanno portando avanti discussioni per integrare la zona di libero scambio con altre iniziative che includano anche Cina e India (Regional Comprehensive Economic Partenrship), ma stanno valutando richieste di adesione al progetto da parte di Thailandia, Indonesia, Colombia, Corea del Sud, Taiwan e, forse, del Regno Unito post Brexit.
Tutto lascia intendere che il progetto suicida della superpotenza americana stia entrando nelle proprie, drammatiche, fasi finali.

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