Decodificare il presente, raccontare il futuro

MONITOR


gio 15 settembre 2016

L’ARROCCO D’EUROPA

Stato dell’Unione: malata. Come per il vertice di Ventotene, la cornice concettuale è sempre la stessa: ieri si dava vita all’Europa, oggi si cerca di tenerla in vita. È quell’Europa della frammentazione e non della compattezza, quella del dopo-Brexit, del reset oltre il Leave, quella minata dai populismi, dal terrorismo, dalla crisi. La risposta dei tecnocrati alle sfide interne ed esterne va in una sola direzione: difesa, protezione, preservazione, controllo, forza. La fortezza si chiude, protegge i confini, controlla gli ingressi, preserva «i suoi valori» dai «nemici». Ecco il discorso del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker.

«L’Europa è uscita dall’anestesia, si è chiusa una fase. Adesso se ne apre un’altra, molto più complessa. Oggi come ieri dobbiamo porci sul crinale sottile che separa il “prima” dal “dopo”. Far sì che il domani non sia troppo diverso dall’oggi, e che conservi le tracce di ieri». Il lampo di un fulmine mi fa fermare un momento, il rombo che segue è dirompente. «Da decenni giochiamo una grande battaglia nel segno della continuità, della supremazia del nostro modo di vivere, della conservazione dell’Occidente. Abbiamo preso tempo. Abbiamo protratto, in una lunga notte bianca, gli ultimi chiarori del tramonto. Abbiamo trasformato ogni sommovimento strutturale in una congiuntura, ogni fattura irricomponibile in un ciclo. C’eravamo ieri, ci siamo oggi, e ci saremo domani. E quando noi non ci saremo, la nostra visione continuerà». Da Chi ha paura del risveglio? – Il Tredicesimo piano
Immaginate una fortezza. Immaginate un bastione. Immaginate i confini da proteggere, le forze di sicurezza. Lo spazio è ben definito: interno ed esterno, noi e loro, amici e nemici. All’Europa della divisione e non dell’Unione è rivolto il discorso del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker dal titolo: «Verso un’Europa migliore – Un’Europa che protegge, che dà forza, che difende» (qui il testo completo). Parla all’Europa della frammentazione e non della compattezza, a quella del dopo-Brexit, del reset oltre il Leave, a quella minata dai populismi, dal terrorismo, dalla crisi. Se è vero che Juncker non usa la parola austerity (per questoapprezzato dai socialisti), condanna il razzismo nel Regno Unito contro gli immigrati, invoca la solidarietà per i rifugiati e diritti dei lavoratori, è altrettanto vero che la risposta alle sfide interne ed esterne va in una sola direzione: difesa, protezione, preservazione, controllo, forza. Sono tutti concetti ricorrenti tra le righe del ragionamento annuale di Juncker sullo stato dell’Unione. Ogni anno, infatti, il presidente della Commissione Ue si confronta con la plenaria del Parlamento di Strasburgo. Come per il vertice di Ventotene, la cornice concettuale è sempre la stessa: ieri si dava vita all’Europa, oggi si cerca di tenerla in vita.

Dodici mesi di tempo per quella che Juncker chiama un’Europa «migliore»

Quest’anno la diagnosi non promette bene. Le parole del presidente della Commissione evocano urgenza, irrequietezza, necessità di intervento: «I prossimi dodici mesi saranno determinanti se vogliamo ridare unità alla nostra Unione». Secondo Juncker, l’Europa «migliore» è: «Un’Europa che protegge; un’Europa che preserva il modo di vivere europeo; un’Europa che dà forza ai cittadini, un’Europa che difende, sia al proprio interno che all’esterno; e un’Europa che si assume responsabilità».

La paura dei populismi e le prossime elezioni

Juncker esordisce parlando dell’Unione e della «crisi esistenziale» che sta vivendo. Nelle sue parole c’è preoccupazione: «Mai prima d’ora ho visto i governi nazionali così indeboliti dalle forze del populismo e paralizzati dalla paura della sconfitta alle prossime elezioni. Mai prima d’ora ho visto così tanta frammentazione, e così poca condivisione nella nostra Unione».
Ora il fuoco cova sotto la cenere. Forze nuove sono pronte a ravvivare la fiamma per diffondere l’incendio. Noi dobbiamo arrivare prima degli altri. Da Chi ha paura del risveglio? – Il Tredicesimo piano
Il messaggio è chiaro. Per l’Europa e le spinte nazionaliste che ne stanno erodendo le fondamenta, il banco di prova sono le urne. La Germania ha già votato alle regionali a marzo e i primi di settembre: la destra populista e islamofoba dell’AfD, guidata da Frauke Petry (qui il ritratto de “i Diavoli”), ha superato la Cdu della cancelliera Angela Merkel in Meclemburgo-Pomerania. Il 18 settembre i cittadini sono chiamati alle urne a Berlino, ma gli appuntamenti elettorali sono in tutta Europa per i prossimi dodici mesi, come ha rilevato Juncker (non a caso). Il 2 ottobre c’è il referendum in Ungheria sulle politiche di accoglienza ai migranti. A marzo 2017 si vota in Olanda e a maggio/giugno in Francia, dove i populismi di Geert Wilders e Marine Le Pen soffiano sulla paura dello straniero, come ha fatto la AfD tedesca contro le «porte aperte» ai migranti di Merkel. A fine estate-inizio autunno 2017 tocca, infine, alla Germania scegliere il nuovo cancelliere e rinnovare il Bundestag.

«Coraggio» e «forza» contro i «nemici»

Il linguaggio che usa Juncker rievoca in più punti del discorso la «forza» e il «coraggio», l’aiuto e la protezione contro una minaccia percepita. Perché, dice il presidente della Commissione, «è tempo di fare una scelta importante». Dunque: «Non è questo il momento di riprendere coraggio?». E ancora: «Le nazioni europee devono difendere le ragioni dell’unità. Nessuno può farlo per loro. Solo loro possono farlo. Possiamo essere uniti anche se siamo diversi. Le grandi nazioni democratiche dell’Europa non devono piegarsi ai venti del populismo. L’Europa non deve chinare la testa di fronte al terrorismo. No. Gli Stati membri devono costruire un’Europa che protegge. E noi, istituzioni europee, dobbiamo aiutarli a mantenere questa promessa».
Il presidente della Commissione ripete come un ritornello che i «valori» d’Europa vanno preservati contro le minacce esterne, «perché solo lavorando insieme l’Europa sarà in grado di difendersi, sia al proprio interno che all’estero». Afferma: «I nostri figli meritano di più. Meritano un’Europa che preservi il loro modo di vivere. Meritano un’Europa che li difenda e dia loro forza». Fa un riferimento esplicito ai nemici, fomenta il senso di divisione tra un ipotetico “noi” buono e un “loro” oscuro e pericoloso: «I nostri nemici vorrebbero dividerci. I nostri concorrenti vorrebbero approfittare della nostra divisione. Solo uniti siamo e saremo una forza che non può essere sottovalutata».

Controllo e sorveglianza contro il terrorismo (e non solo)

Alludendo al terrorismo, Juncker si affida a un’immagine: il «lato oscuro dell’umanità». Di fronte a questo, afferma, «dobbiamo preservare i nostri valori e rimanere fedeli a noi stessi e a quello che siamo: società democratiche, pluralistiche, aperte e tolleranti». Poi strizza l’occhio alla stessa retorica che usano i populisti: la troppa presunta tolleranza di quell’ipotetico “noi” contrapposto a “loro”. Dichiara: «Tuttavia questa tolleranza non può mettere a rischio la nostra sicurezza».

Monitorare i confini: una nuova guardia di frontiera europea

Sorvegliare e difendere, i concetti si ripetono sistematicamente nel discorso di Juncker. «Dobbiamo sapere chi attraversa i nostri confini. Per questo li difenderemo con la nuova guardia costiera e di frontiera europea, che al momento, a soli nove mesi dalla proposta della Commissione, è in fase di formalizzazione da parte del Parlamento e del Consiglio. Frontex dispone già di 600 agenti sul terreno in Grecia, al confine con la Turchia, e di oltre 100 in Bulgaria». Annuncia: «Adesso è necessaria una stretta collaborazione fra le istituzioni europee e gli Stati membri per istituire rapidamente la nuova agenzia. Voglio che a partire da ottobre ai confini esterni della Bulgaria siano stanziati 200 guardie di frontiera e 50 veicoli extra».

Chi entra e chi esce sarà registrato

Alla fine dell’anno, spiega Juncker, chiunque attraverserà i confini d’Europa sarà schedato: «Difenderemo i nostri confini attraverso controlli serrati (…). Per ogni ingresso o uscita dall’Unione europea saranno registrati data, luogo e motivazione». Inoltre, entro novembre sarà proposto un «sistema europeo di informazione per i viaggi». Sarà automatico, con lo scopo di «conoscere l’identità di tutti coloro che entrano in Europa ancora prima che arrivino».

Rafforzare Europol e intelligence per lo scambio di informazioni

Se l’Europa si sente minacciata, bisogna puntare sulla sicurezza nella strategia della Commissione europea. Chiudersi, arroccarsi, controllare gli ingressi: sembrano queste le linee guida di Juncker per affrontare il terrorismo. L’esigenza, allora, è quella di rafforzare l’unità antiterrorismo di Europol: «La sicurezza alle frontiere implica anche dare la priorità allo scambio di informazioni e di intelligence. Per questo rafforzeremo Europol, l’agenzia europea che offre supporto alle attività di contrasto a livello nazionale, attraverso un migliore accesso ai database e più risorse».

Migranti, rifugiati, terrorismo. Una risposta univoca a questioni diverse?

Se da un lato Juncker distingue quando parla di rifugiati e associandoli sempre ai concetti di unione e solidarietà, dall’altro è più vago nei suoi riferimenti alla sicurezza dei confini. Le questioni migratorie e la minaccia terroristica sono parecchio distanti nei fatti. La narrazione che vede potenziali attentatori arrivare da oltre le frontiere della fortezza Europa ha pochi riscontri nella realtà, soprattutto in proporzione al numero di migranti che arrivano perché scappano dalla guerra, dalla crisi e dalla miseria. Ma nella retorica politica i problemi si confondono e si incrociano. È breve il passaggio sulla gestione europea della questione rifugiati: «Cominciamo a intravedere solidarietà anche nella gestione della crisi dei rifugiati. Sono convinto che sia necessaria ancora più solidarietà. Ma so anche che la solidarietà è un gesto spontaneo che viene dal cuore e non si può forzare. Spesso la solidarietà emerge più spontaneamente davanti alle emergenze». Parlando di investimenti, Juncker propone un piano per l’Africa che potrebbe potenzialmente racimolare 44 miliardi di euro, 88 se gli Stati contribuissero. Questo progetto da un lato potrebbe impiegare soldi pubblici come stimolo all’occupazione, dall’altro lascia chiaramente intendere che si potrebbe intervenire alla fonte dei flussi migratori. Aiutiamoli a casa loro? Ecco le sue parole: «Potremo così integrare il nostro aiuto allo sviluppo, contribuendo ad affrontare una delle cause profonde dei movimenti migratori. Si tratta di un intervento cruciale, visto che la crescita economica nei paesi in via di sviluppo ha raggiunto il suo livello più basso dal 2003. Questo nuovo piano rappresenta un’ancora di salvezza per tutti coloro che, altrimenti, sarebbero costretti a intraprendere un pericoloso viaggio alla ricerca di una vita migliore».

Verso una Difesa europea

La Germania era stata la prima a proporlo: servirebbe un esercito europeo. Già un anno fa Juncker aveva ventilato l’ipotesi. «Serve una difesa europea forte» e un «fondo europeo per la difesa», dichiara nel discorso sullo Stato dell’Unione. Adesso dunque, sempre all’interno del paradigma forza-difesa-protezione, si espone in modo più esplicito: «L’Europa non può più permettersi di fare affidamento sulla potenza militare degli altri o di consentire che il suo onore in Mali sia difeso solo dalla Francia. Dobbiamo assumerci la responsabilità di proteggere i nostri interessi e il modo di vivere europeo». Poi aggiunge: «Senza una struttura permanente non possiamo agire con efficacia: così operazioni urgenti vengono rimandate; missioni parallele, nello stesso paese o nella stessa città, hanno comandi distinti. È arrivato il momento di creare un comando unico per queste operazioni. Dovremmo altresì andare verso risorse militari comuni, in alcuni casi di proprietà dell’Unione europea stessa. Questo, ovviamente, in totale complementarità con la NATO».
È il momento d’imprimere uno scarto, di consumare un vero e proprio salto di paradigma per ridefinire le condizioni di stabilità. Per queste ragioni individuiamo in una radicale estensione delle politiche monetarie il passaggio decisivo al fine di costruire rinnovate condizioni di equilibrio. È tempo che la moneta circoli oltre corsi e solchi già tracciati. È il momento di attuare una grande operazione di sostegno della domanda finanziando direttamente i consumatori. Non solo i grandi processi di trasformazione esigono la combinazione di spregiudicatezza e visionarietà. Anche i grandi piani di controllo necessitano della stessa miscela. Non è nel déjà-vu ordo-liberista che possiamo trovare risposte conformi a nuove domande, bensì in parole d’ordine da rubare agli avversari e rideclinare secondo le nostre esigenze. Da La morte clinica dell’Europa – il Tredicesimo piano

Salvare l’euro tra globalizzazione e crisi: unione dei mercati dei capitali

Se il mondo è sempre più globalizzato e l’Europa unita vacilla in un contesto che «sta diventando più grande, e noi stiamo diventando più piccoli», le mosse da compiere secondo la Commissione puntano ancora una volta a difendere, unire, proteggere. In un mondo dove “noi”, afferma ancora Juncker «rappresentiamo l’8% della popolazione mondiale; nel 2050 saremo solo il 5%», sarebbe necessario evitare ancora una volta i nemici, ovvero – sempre nelle parole del presidente della Commissione – fare i conti con «i nostri nemici [che, ndr] vorrebbero dividerci e i nostri concorrenti [che, ndr] vorrebbero approfittare della nostra divisione». L’obiettivo: agire affinché l’Unione europea resti in cima alla lista delle economie mondiali. Se Europa significa anche e soprattutto moneta unica, e a detta di Juncker, durante «la crisi finanziaria mondiale l’euro si è mantenuto forte e ci ha protetto da un’instabilità che sarebbe potuta essere ben peggiore», non bisogna fermarsi proprio adesso. Se la Banca centrale europea rappresenta lo “stabilizzatore” d’Europa («Mario Draghi sta preservando la stabilità della nostra moneta») e se un’economia che dipende quasi interamente dal credito bancario non fa bene alla stabilità finanziaria, allora – afferma ancora il Commissario Ue – serve «con urgenza, accelerare il progetto dell’Unione dei mercati dei capitali». A che scopo? Per semplificare l’accesso ai finanziamenti: «dagli investitori informali (i cosiddetti business angel) al venture capital ai finanziamenti del mercato».

Apple: la “Trade War” continua…

Il 30 agosto 2016 la Commissione europea bacchettava Apple per i «vantaggi fiscali indebiti» concessi dall’Irlanda all’azienda di Cupertino, per un totale di 13 miliardi di euro. Sostenendo che questo tipo di trattamento «è illegale ai sensi delle norme UE sugli aiuti di Stato», chiedeva all’Irlanda di «recuperare gli aiuti». A due settimane di distanza, Juncker ritorna sulla “dolce vita delle multinazionali”, invocando «l’aspetto sociale della normativa sulla concorrenza». Usa parole pesanti: «In Europa non accettiamo che imprese potenti ottengano sotto banco trattamenti fiscali illegali. Non ci interessa il livello di tassazione che un paese come l’Irlanda decide di applicare. L’Irlanda ha il diritto sovrano di fissare il livello di tassazione come intende. Non è giusto però che un’impresa possa evadere tasse che andrebbero a beneficio di famiglie e imprese, scuole e ospedali irlandesi». È solo questo o c’è una guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, tra Ue e Usa?

Al summit di Bratislava l’Europa che verrà

Il 16 settembre l’Europa che verrà, quella che sembra volersi chiudere nel suo fortino, si riunirà in occasione del summit di Bratislava, in Slovacchia. Già nell’era post-Brexit (quindi senza un pezzo, il Regno Unito), i 27 si incontreranno per discutere del futuro dell’Unione. In una lettera scritta prima del vertice, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk fa riferimento a chi dall’Europa vuole andare via. L’allusione è di nuovo alle spinte nazionaliste e populiste. Il messaggio è il seguente: non lasciare «spazio ai dubbi, essere membri dell’Unione è positivo». «Senza dubbio la campagna a favore del “Leave” era piena di argomentazioni false e generalizzazioni inaccettabili. Ciononostante, è altrettanto vero che il voto per la Brexit è un tentativo disperato di rispondere alle domande che milioni di europei si pongono ogni giorno» (qui gli invisibili ai tempi della Brexit, raccontati da “i Diavoli”). Come Juncker parla di sicurezza: «Domande sulle garanzie relative alla sicurezza dei cittadini e del loro territorio, domande sulla tutela dei loro interessi, del loro patrimonio culturale e del loro stile di vita». Sulla questione migranti non è per nulla incoraggiante. Il fortino sembra voler difendersi da chi «si sposta nel nostro continente senza nessun controllo». Scrive Tusk: «La crisi migratoria ha rappresentato il punto di non ritorno. Il caos dello scorso anno alle nostre frontiere e le nuove immagini pubblicate con cadenza quotidiana di centinaia di migliaia di persone che si spostano nel nostro continente senza nessun controllo hanno diffuso una sensazione di minaccia tra molti europei. Essi hanno dovuto attendere troppo a lungo gli interventi che hanno riportato la situazione sotto controllo, come la chiusura della rotta dei Balcani occidentali e l’accordo UE-Turchia». Spara contro quello che definisce politically correct: «Al contrario, troppo spesso hanno sentito dichiarazioni politicamente corrette secondo cui l’Europa non può diventare una fortezza e deve rimanere aperta. L’assenza di un’azione rapida e di una strategia europea uniforme ha indebolito la fiducia dei cittadini nei loro governi, nelle istituzioni e nel sistema più in generale, che già era stata minata dalla crisi finanziaria».
La promessa è che Bratislava costituisca «una svolta per quanto concerne la protezione delle frontiere esterne dell’Unione». Intanto l’Europa del manifesto di Ventotene (quella di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, insieme a Ursula Hirschmann) appare sempre più lontana. E la cornice è sempre la stessa: ieri si dava vita all’Europa, oggi si cerca di tenerla in vita.
Nel consenso raccolto dalle forze cosiddette populiste c’è di tutto. Dietro la paura – o l’odio – per i migranti, non è difficile scorgere altre passioni tristi: la frustrazione per la precarizzazione del mercato del lavoro – e in questo la Germania è stata all’avanguardia anche se si tende a dimenticarlo –, l’assenza di prospettive, l’insicurezza sociale trasformata in ossessione securitaria e il degrado delle periferie metropolitane. Il migrante funziona da obiettivo verso cui indirizzare contraddizioni semplificate. Da Germania-Europa, nessun grado di separazione – Il Tredicesimo piano

NEWSLETTER


Autorizzo trattamento dati (D.Lgs.196/2003). Dichiaro di aver letto l’Informativa sulla privacy.



LEGGI ANCHE: