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MONITOR


gio 26 gennaio 2017

LA CINA GLOBALE SIGILLA LA SUA INTRANET

Mentre a Davos il presidente Xi Jinping candida la Repubblica popolare cinese nel ruolo di campione del mondo globalizzato, al di qua della Grande Muraglia si prepara una stretta sulle maglie del controllo online. Dietro le contraddizioni apparenti, emerge un modello impostato sul principio: “Armonizzati dentro per primeggiare fuori"

Non è passata nemmeno una settimana dallo storico discorso del presidente cinese Xi Jinping al World Economic Forum di Davos (prima volta in assoluto per un capo di Stato cinese), che dalla Repubblica popolare sono arrivati segnali drammaticamente contrastanti, in apparenza. Xi, davanti al gotha economico internazionale, in un discorso sviluppato attorno alla strenua difesa della globalizzazione e del commercio libero ha palesato, per quei pochi che ancora non l’avessero avuto chiaro, la determinazione della Repubblica popolare cinese nel sostituire gli Stati Uniti di Donald Trump nel ruolo di campione del mondo globalizzato. «Inseguire il protezionismo è come chiudersi da soli in una stanza buia», ha spiegato Xi, «il vento e la pioggia rimarranno pure fuori, ma lo saranno anche la luce e l’aria».
Pochi giorni dopo, il Ministero dell’industria e della tecnologia dell’informazione cinese (Miit) in un comunicato stringato ha annunciato una nuova campagna di 14 mesi tesa a rafforzare il controllo sulle fessure che ancora oggi lasciano entrare spifferi di aria fresca all’interno dell’enorme rete cinese sigillata dal Great Firewall, il sistema di censura online applicato all’internet di Pechino. Obiettivo della stretta del Miit saranno le centinaia di servizi di Virtual private network, alias Vpn, una sigla che chiunque risieda al di qua della Grande Muraglia ha imparato a usare con una certa disinvoltura.
L’internet cinese è gestito come una gigantesca rete locale sorvegliata dai tecnici del Miit: pur collegata al resto dell’internet mondiale, la Cina applica sistematicamente una serie di blocchi per fermare al di là dei propri confini telematici i contenuti considerati «minacciosi» per la stabilità e l’«armonia» interna. Google, Facebook, Twitter e Youtube, ad esempio, in Cina sono tutt’ora off limits. O almeno, lo sono se non ci si appoggia a un servizio Vpn, che permette di bypassare la censura governativa e spalancare le finestre del Great Firewall, lasciando passare «luce e aria» assieme a contenuti non armonizzati come, ad esempio, informazioni su Tiananmen 1989 o le rivolte in Tibet.
Per una spesa piuttosto modesta – Golden Frog, servizio basato in Svizzera, offre Vpn per meno di 7 dollari al mese – anche da Pechino si può navigare online come se si fosse (più o meno) in qualsiasi altro punto del pianeta Terra.
La nuova campagna, che dovrebbe terminare entro marzo 2018, impone a tutti i provider di Vpn all’interno della Repubblica popolare di registrarsi al Miit, ufficializzando un servizio che in Cina non è tecnicamente illegale ma viene, diciamo, piuttosto mal tollerato. La stampa internazionale, lanciando l’allarme per l’ennesimo «crackdown» di Pechino sulla libertà personale di chi risiede in Cina, affiancando il discorso di Xi a Davos al comunicato del Miit ha palesato un’apparente contraddizione in termini: come si può difendere la globalizzazione e, allo stesso tempo, stringere le maglie della censura online? Si tratta di un dilemma che, nell’ottica cinese, ha davvero poca aderenza con la realpolitik di Xi Jinping.
Punto primo: la Cina non sta mettendo fuori legge i Vpn, ma sta ribadendo il primato del «controllo» sulla libertà di circolazione online, in linea con le politiche promosse da Xi Jinping in questi ultimi anni. Di ispirazione presidenziale è stata ad esempio la legge sulla «sicurezza online» varata lo scorso mese di novembre, che obbliga le compagnie straniere attive in Cina a mantenere su server cinesi copie di dati raccolti sul territorio nazionale e, di nuovo, richiedere un certificato governativo per «important network equipment and software». La legge, che entrerà in vigore il prossimo mese di luglio, ancora una volta non fa altro che riaffermare il principio cinese secondo cui la libertà può essere virtuosa solo se tenuta sotto controllo. Altrimenti, si traduce in caos, e il caos non fa bene né al business né al «quieto vivere generale».
Punto secondo: Pechino, nella tradizionale retorica melliflua dei propri comunicati, limita la propria azione contro i provider di Vpn ai soli provider cinesi, che però non vengono formalmente «chiusi», bensì vengono invitati a certificare la bontà delle proprie operazioni davanti al controllo governativo. In due parole: se fate le cose per bene, non c’è alcun problema; se così non fosse, vi dovete adeguare. Nel frattempo, stando al comunicato, i Vpn stranieri sembrano essere in salvo, non compromettendo quindi l’operato delle svariate compagnie straniere che fanno affari in Cina e che già da anni si affidano a provider situati fuori dal perimetro del Great Firewall.
Punto terzo: la stretta sulla libertà di contenuti online non arriva mai per caso. Il calendario della Repubblica popolare quest’anno prevede un passaggio politico particolarmente delicato: durante il 19esimo Congresso Nazionale del Partito (Comunista) si decreterà l’inizio del secondo mandato del presidente Xi Jinping e del premier Li Keqiang alla guida del paese, con la grande incognita di chi – e soprattutto quanti, cinque o sette? – saranno i membri del Comitato Permanente del Politburo cinese. Il rinnovo del mandato, ormai una consuetudine considerando che sia Jiang Zemin sia Hu Jintao ricoprirono la carica di presidente della Repubblica popolare per due cicli di cinque anni, coincide con un aumento del controllo dei bisbigli online, che nella Cina di oggi rappresentano la minaccia più grande per i progetti politici di un leader come Xi Jinping, responsabile di un accentramento del potere nelle proprie mani andato di pari passo con una campagna di purghe nel nome dell’anticorruzione i cui effetti hanno recato danno a più di qualche potentato locale.
Si può, quindi, difendere la globalizzazione e, allo stesso tempo, stringere le maglie della censura online? Per Xi Jinping non solo si può, ma si deve. La Cina del domani, candidata alla guida del commercio globalizzato e impegnata in progetti ambiziosi come la Nuova Via della Seta – una rete di scambi che, ricalcando le rotte della Cina imperiale, è destinata a cambiare la geopolitica mondiale – intende garantire la libertà necessaria per condurre affari fruttuosi e «win-win» (altra parola d’ordine di Pechino) senza compromettere il controllo esercitato all’interno dei propri confini: armonizzati dentro per primeggiare fuori. Con poca aria e poca luce, tutto sommato, per Xi Jinping si può continuare a stare.

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