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MONITOR


ven 8 luglio 2016

ITALIA VERO MALATO D’EUROPA?

Il nostro Paese sembra essere il cuore del problema, almeno secondo “The Economist”, convinto che la prossima crisi europea potrebbe partire proprio da Roma

«È un’illusione ottica. Sembra una salita, e invece è una discesa. Un po’ come il mulino di Escher che avevi sul desktop al floor. Hai l’impressione che l’acqua salga dal basso verso l’alto.» Derek sospira. «È solo una fata morgana. Esiste in natura. E noi oggi sui mercati ne abbiamo creata un’altra.» – Da “I Diavoli” di Guido Maria Brera (Rizzoli 2014)
La Brexit ha fatto da detonatore: le borse in affanno, i ribassi dei prezzi, la sofferenza delle banche già troppo vulnerabili. Adesso il vero stress test riguarda l’Europa, nessuno nella zona euro sembra essere immune da ripercussioni. Da giorni la Banca centrale europea, “stabilizzatore” economico del vecchio continente, vigila e mette in guardia. È ora di intervenire, ammonisce, l’«incertezza»incombe sull’Europa. E l’Italia è sempre più sotto pressione.
Il nostro Paese sembra essere il cuore del problema, almeno secondo “The Economist”, convinto che la prossima crisi europea potrebbe partire proprio da Roma: «L’economia è stata moribonda per anni, soffocata da eccesso di regolamentazione e debole produttività. Tra stagnazione e deflazione, le banche italiane sono in grossi guai». È davvero così? È l’Italia il Paese che ha in pancia tutte le tossine finanziarie? Il Sud d’Europa ancora il target?
Un autobus tricolore in bilico sul ciglio di un burrone è l’immagine che il settimanale britannico ha scelto per la sua copertina. Così descrive e racconta il «traballante» sistema bancario italiano «sull’orlo di una crisi». Per l’”Economist” la soluzione è un’iniezione di capitale pubblico: «Le pressioni del mercato sulle banche italiane non si allenteranno fino al ripristino di un po’ di fiducia. E ciò non avverrà senza fondi pubblici». Il riferimento è alle regole europee che tengono gli Stati con le mani legate rispetto al soccorso diretto delle banche in sofferenza: «Non ha alcun senso senso seguire le regole alla lettera, se ciò porta alla scomparsa della moneta unica. Dunque, la risposta giusta è autorizzare il governo italiano a finanziare i meccanismi di difesa delle sue banche vulnerabili con denaro pubblico che sia sufficiente a sedare i timori di una crisi sistemica», continua il settimanale.
Per adesso, però, l’iniezione di denaro pubblico non è tecnicamente possibile. Lo dicono le regole Ue. E all’Italia, che scalpita per avere una deroga, tiene a ricordarlo il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, da sempre vicino alle rigide posizioni tedesche. «Altri paesi sono riusciti a ristrutturare le proprie banche con mezzi pubblici e gli italiani non lo hanno fatto allora, ma ora abbiamo regole più severe», ha detto. Tradotto: l’Italia non si lamenti, avrebbe potuto risanare le sue banche prima ricorrendo all’uso di capitali pubblici, ma non lo ha fatto.
Dunque, piacerà poco a Dijsselbloem, ai falchi Ue e alla Germania la contromossa della Banca centrale europea. Per bocca del suo vicepresidente, Vitor Constancio, infatti, la Bce ha aperto all’ipotesi di un «piccolo sostegno pubblico». Al momento non c’è nessuna luce verde, nessuna ufficialità. Ma Constancio è stato chiaro: «La situazione attuale, dopo un nuovo round di ribassi dei prezzi delle azioni a seguito della Brexit, merita una profonda riflessione sul controbilanciamento del fallimento del mercato con un piccolo sostegno pubblico per migliorare notevolemente la stabilità di alcuni settori bancari». Sul breve periodo, solo così si potrebbe dare stabilità all’eurozona. «Senza un approccio di questo tipo, l’unica soluzione possibile sarebbe un’imposizione da parte dei supervisori di limiti di tempo per la svalutazione degli Npl che realisticamente richiederebbe diversi anni per raggiungere livelli ragionevoli», ha aggiunto Constancio. Dunque, le regole vanno rispettate «nel complesso», ma con possibilità di deroga in nome della «stabilità».
È una questione di sopravvivenza, almeno per l’Europa che abbiamo conosciuto fino ad adesso. E non c’è molto tempo. Lo ha scritto anche Reza Moghadam di Morgan Stanley sul Financial Times: «La Brexit farà scattare un intenso dibattito politico su una ulteriore integrazione delle istituzioni europee. Ma nell’area della banche non è possibile attendere che il processo svolga il suo corso. Se la moneta unica vuole sopravvivere, l’Europa deve muoversi deciso verso un’unione bancaria».
In questo delicato gioco di equilibri, dove la Bce detta i tempi e gli Stati non hanno potere decisionale, non è detto che la Commissione europea cambi idea sulle regole riguardo al sostegno alle banche. Anche perché sull’Europa continua a battere il bastone tedesco. Berlino, infatti, pensa al test elettorale interno del prossimo anno e, come abbiamo già visto con la Grecia, non ha alcuna intenzione di appoggiare politiche di sostegno comunitario. L’ossessione tedesca è da sempre quella di dover pagare per gli altri. La Germania, votata a soddisfare il volere dei mercati, guarda sempre al Sud dell’Europa. Forse, però, è solo un’illusione, perché il vero malato è altrove.
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