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MONITOR


ven 6 aprile 2018

L’INDIA E LA SFIDA SOLARE: COSA È IN GIOCO

La rivoluzione green di Nuova Delhi continua a stupire, ma l’entusiasmo generale per il solare indiano è minacciato da potenziali scossoni del mercato, su tutti l’eventuale imposizione di dazi per tutelare le – pochissime – aziende produttrici di pannelli solari autoctone dall’invasione di pannelli Made in China.

Alla fine del mese di marzo l’India ha festeggiato il raggiungimento di un traguardo dall’altissimo valore simbolico per il futuro energetico del paese. La produzione energetica nazionale da fonti rinnovabili – idroelettrico, eolico e fotovoltaico – ha superatoquota 100mila gigawattore (Gwh) all’anno.
In percentuale siamo ancora ben lontani dalla quota derivata da combustibili fossili, intorno al 70 per cento della potenza energetica installata in India, ma già al di sopra del nucleare e vicini a un altro obiettivo fissato dall’attuale amministrazione: produrre il 10 per cento dell’energia necessaria a mandare avanti il paese con fonti rinnovabili meno inquinanti entro la fine del 2019. Oggi siamo al 7,7 per cento, segno che lo sforzo indirizzato verso un consumo energetico più responsabile e meno dannoso per l’ambiente sta dando i frutti sperati.
Si tratta di un risultato del governo presieduto da Narendra Modi, dimostrando che gli impegni presi ufficialmente alla conferenza dei cambiamenti climatici di Parigi nel 2015 (Cop21) per l’India non solo rimangono inderogabili, ma la stanno effettivamente proiettando alla guida di una rivoluzione energetica su scala globale.
All’inizio di marzo, infatti, si è tenuto a New Delhi il primo summit internazionale della International Solar Alliance, che al momento riunisce 121 paesi (Cina e Brasile compresi) impegnati nella promozione e nello scambio di tecnologie per ottimizzare la produzione energetica solare, con l’obiettivo di installare una potenza energetica solare combinata di un terawatt (TW) entro il 2030, dietro un investimento cumulativo di un trilione di dollari.
L’evento è stato organizzato, non a caso, in concomitanza con la visita di stato del premier francese Emmanuel Macron, cementando ulteriormente la sintonia tra Parigi e New Delhi nella promozione del solare a livello globale. A margine del summit, Macron ha dichiarato: «L’India dimostra che si può fare. Ciò che state raggiungendo è seguito con attenzione dal mondo intero. State attirando investimento, sostenendoli, state formando le nuove generazioni e questo è ciò che dobbiamo fare tutti. È ciò che i 121 paesi di questa alleanza, dall’Asia all’Africa fino all’America Latina, dovrebbero fare».
Il gigante indiano, in pieno boom edilizio trainato dalla crescita del Pil, a oggi ancora contribuisce enormemente all’emissione di gas serra globale, ma grazie a politiche del governo che guardano al futuro e alla fiducia dei mercati nell’esperimento rinnovabile su scala subcontinentale, l’esempio di New Delhi potrebbe mostrare la via per uno sviluppo energetico più pulito, sostenibile e, soprattutto, economicamente remunerativo.
La gara al ribasso delle tariffe proposte dalle nuove compagnie indiane per aggiudicarsi gli appalti per la creazione e gestione di “solar park”, ingolosite dagli incentivi governativi messi sul tavolo dall’esecutivo Modi lo scorso anno, sembra stia riuscendo ad attirare anche i grandi investitori internazionali: un segnale importante, che lascia ben sperare per il concretizzarsi di progetti al momento in gran parte ancora su carta. Un esempio? Pochi giorni fa il conglomerato giapponese SoftBank ha annunciato la creazione di una joint venture con la cinese GCL System Integration Technology per investire nel fotovoltaico indiano, stimando uno stanziamento di fondi pari a 930 milioni di dollari.
Nelle stesse ore, l’indiana ReNew Power – sostenuta dai capitali di Goldman Sachs e del Canada Pension Plan Investment Board – annunciava l’acquisizione della start up energetica indiana Ostro Energy per 1,5 miliardi di dollari. L’operazione, spiega Quartz, darà vita al primo colosso energetico rinnovabile del paese per capacità installata, un primo passo verso un processo di consolidazione che, secondo l’analista Ankur Agarwal di India Ratings and Research «porterà a una maggiore efficienza e a player più seri con maggiore influenza, capaci di gestire meglio le incertezze del settore».
L’entusiasmo generale per il solare indiano è infatti minacciato dai potenziali scossoni del mercato, su tutti l’eventuale imposizione di dazi per tutelare le – pochissime – aziende produttrici di pannelli solari autoctone dall’invasione di pannelli Made in China. La Cina contribuisce da sola alla produzione di oltre il 60 per cento delle celle per pannelli solari in commercio su scala mondiale, esercitando un monopolio che di fatto rende impossibile una qualsivoglia parvenza di concorrenza per le aziende produttrici indiane.
All’inizio dell’anno il governo indiano ha proposto l’imposizione di dazi al 70 per cento sull’importazione di pannelli solari, nel tentativo di pacificare i produttori indiani sul piede di guerra e «proteggere l’industria interna da ulteriori colpi da cui sarebbe difficile riprendersi». Nella lettera inviata dalla Indian Solar Manufacturers Association (ISMA) al ministero del commercio indiano per sostenere la necessità di dazi a tutela del mercato interno, si legge: «Le conseguenze di non imporre i dazi proposti in tempi brevi saranno molto significative non solo per l’industria manifatturiera, ma anche per la nazione, considerando la natura strategica dell’energia solare in India e la continua dipendenza dalla Cina per le importazioni di pannelli e celle solari».
La proposta protezionistica è al momento sospesa per effetto di una prima sentenza della High Court di Mumbai, cui i costruttori coinvolti nel business dei “solar park” si erano rivolti paventando l’ipotesi, a dazi imposti, di paralisi completa di tutti i progetti in corso d’opera. L’obiettivo dei 100 mila megawatt di capacità energetica solare installata entro il 2022 (oggi sono 16mila) fissato dall’esecutivo Modi due anni fa, senza accesso a pannelli cinesi più efficienti e meno costosi, diventerebbe una missione impossibile.
In un’intervista alla Cnn, Ketan Mehta, fondatore e presidente di Rays Power Infra, ha spiegato: «I dazi metterebbero a rischio l’intero progetto. L’India non ha capacità manifatturiere minimamente vicine a ciò che ci serve per quanto vogliamo fare». Secondo le stime del settore riportate da Cnn, l’India oggi importa tra l’80 e il 90 per cento dei pannelli solari di cui ha bisogno, in particolare da Cina, Malaysia e Taiwan. L’applicazione di dazi al 70 per cento porterebbe a un rincaro medio del prezzo dell’energia solare in India pari al 45 per cento. Vanificando, in un sol colpo, tutti gli sforzi fatti finora.
Leggi anche: “La rivoluzione solare è indiana: chi la finanzia e come funziona la guerra delle tariffe”

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