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MONITOR


ven 22 aprile 2016

IL PICCOLO PRINCIPE

22 APRILE 2016 – Attenzione, perché ieri l’altro non è morto un musicista. E’ morto il musicista. Il genio dei geni. Prince Rogers Nelson alias Prince, alias Tafkap, alias The Artist, alias Symbol, alias quello che sarebbe venuto dall’inesauribile vena musicale di questo piccolo (solo nella statura fisica, e nella magrezza anni ’70) nero di Minneapolis. Piccolo e magro, un concentrato di musica, cervello e sesso. Un sesso sfrenato sia nell’ispirazione artistica che nell’immaginario femminile, ma pure in quello maschile. Un concentrato di sesso, di desiderio come solo Freddy Mercury era stato, anche lui, benché omosessuale per sempre impresso nell’immaginario collettivo femminile. Ma la differenza è sostanziale, con tutti i meriti (e anche i demeriti) che vanno attribuiti a Mercury, vera bestia da palcoscenico, muscoli in vista appena velati dalla canotta sudata. Prince era sesso puro tanto fisico quanto intellettuale. E la brama, la voglia sono la sua cifra artistica, la voglia di esplorare, conoscere, possedere. Che era quello che faceva con la musica. Enciclopedico nel suo immenso sapere musicale, senza mai essere didascalico. Ogni sua citazione di un altro artista è un capolavoro che l’ispirato dona non soltanto al pubblico ma anche e soprattutto all’ispirante, facendolo rivivere o donandogli un’altra pagina di composizione a cui non era arrivato. Tutto quel che veniva toccato dal Piccolo Principe si trasformava in capolavoro, mai ripetitivo, mai uguale a se stesso eppure con una cifra stilistica impossibile da non riconoscere.
Miles Davis, con cui Prince aveva avuto una proficua collaborazione, lo aveva definito “talento assoluto e musicista assoluto come Dule Ellington”, dando scandalo ( una cosa in cui Miles e Prince non avevano davvero rivali, il dare scandalo non per il piacere di provocare rabbia o rossore, bensì per la libertà assoluta di pensiero e d’espressione di cui godevano e pagavano, i due immensi talenti). Ci fu una reazione sdegnata, si racconta, di Wynton Marsalis. Appunto, un musicista dotato da madre natura e dalla sua applicazione certosina di una tecnica assai più che sopraffina, ma artista d’intelletto e ispirazione mediocri. Prince non solo era rivoluzionario, e lo era tanto che era difficile stargli appresso. Non si limitava a distruggere il vecchio per trasformarlo, non si fermava mai su nulla. Non aveva un obiettivo se non la continua evoluzione: rivoluzionario ed evoluzionario, appunto. Una volta-forse potrebbe sembrare che non c’entra niente, ma se mi seguite c’entra, c’entra- Enrico Berlinguer disse una bellissima frase, una frase in cui molti sperduti, molti agnostici seppur militanti della polirica, si ritrovarono, disse: “il PCI è un partito rivoluzionario e consercvatore”: Cristo ci voleva tanto? Era quella la formula che poteva attrarre gente come me e come tanti di voi, e in quella frase apparentemente banale ( ma importantissima) c’è anche Prince. Ovvero quella frase l’avrebbe potuta dire Prince rivolgendosi a se stesso. Non macinava il vecchio, né lo distruggeva, amorevolmente lo “conservava”: Che è un operazione rivoluzionaria. Rientrava di dritta o di sbieco, nel nuovo che sempre produceva, anche quando i limiti del rock, del blues del R&B sembravano ormai raggiunti: Come spingersi oltre? Prince conosceva sempre un oltre che superava l’oltre. Lo conosceva, prima ancora d’intuirlo.
Ebbe contratti multi-milioari dalle majors, ma quei contratti non potevano comprarlo. E allora si ribellò alle majors. Rischiò di andare a picco lui e tutto il suo talento. “The Black Album” che doveva uscire senza il nome del compositore e dell’interprete, subì l’onta dello “spiffero”, dell’anticipazione che piace tanto alla grande discografia. Prince lo fece ritirare e lo mandò al macero. Perché il suo “non essere” in quell’album pienamente suo, non era un cappello pubblicitario era il cuore stesso dell’operazione artistica. Questo avveniva nel 1987. Probabilmente con soddisfazione di chi nelle majors non aveva, e non erano pochi, simpatia per il tappo smilzo che aveva ai suoi piedi le donne più belle del mondo, e soprattutto che non conosceva limiti alla libertà. Ma Price non morì, non venne messo all’angolo, non si ritirò ( o meglio lo fece talmente spesso che non c’è soluzione di continuità tra il suo esserci e il suo non essrci) a vita privata. Così, visto che il successo non aveva fine, nel 1993 venne pubblicato il CD dell’album nero. E nel ’93 a sei anni di distanza dal mancato lancio, era avanti di altri sei anni rispetto a chiunque si peritasse nel far musica. Scrisse un film di successo (con tour e album) Purple Rain, e un bellissimo flop, Graffiti Bridge. Stravolse gli anni ’80 di molti di noi, producendo la fidanzata, piccola e tanta nei punti giusti, Apollonia e la fidanzata della fidanzata Vanity ( o almeno così si dice o almeno così piaceva immaginare). Si scrisse “Slave” ( schiavo) su una guancia, per protestare contro la prepotenza capitalista, ancora una volta, delle grandi compagnie discografiche. Ma soprattutto fece incessantemente musica: Musica di un livello artistico, che sarebbe sciocco confinare in qualsiasi genere, anche nel più nobile. Perché Prince è stato uno dei più grandi musicisti del nostro tempo. In assoluto, e in assoluto lo rimarrà nella storia.
A chi per caso non conoscesse (quasi impossibile non esser stati investiti almeno un poco dall’enorme massa della sua musica) a fondo Prince, o non lo avesse ( la passione per la musica porta a molti errori, ma ci si può riprendere) affrontato sino in fondo, a rimarcare quello che affermavo all’inizio di questo articolo scritto con l’emozione più che con il pensiero, consiglio di ascoltare, intanto, una sola canzone. The Ladder. C’era stata in tutta la storia della mia vita che collima con la storia della musica degli anni miei e di Prince ( aveva mezz’anno più di me), storia di emozioni fortissime (cit. Paolo Conte), una sola canzone che mi aveva accarezzato e strizzato a fondo l’anima come The Ladder: Atlantis di Donovan. Due mondi apparentemente lontanissimi. Ma il mondo di Prince li conteneva tutti gli altri mondi, e sapeva dar loro un posto e metterli d’accordo. E uno così non può morire all’improvviso in un ascensore. Oppure, a pensarci bene, si. Un ascensore, la metafora dell’astronave che riporta a casa il marziano, come lo studio di registrazione è la metafora del concerto.
(We) just want your extra time and (forever) your kiss

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