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VISIONI


mer 30 maggio 2018

I 10 GIORNI CHE SCONVOLSERO L’ITALIA

E alla fine accadde davvero: furono file agli sportelli delle banche. In una Repubblica che da tempo immemore non era più fondata sul lavoro ma sui risparmi, il semplice sospetto che questi potessero essere toccati, diminuiti, trasformati in mini-Bot, aveva creato il panico. Dal nord al sud, il fiume umano davanti ai bancomat aumentò fino a esondare. Mi trovavo nel momento culminante dei dieci giorni che sconvolsero l’Italia.

GIORNO 1
Appena arrivato a Roma fui affascinato dalla luce.
Non immaginavo potesse essere così bella. Ricordo che un giorno rimasi a lungo immobile, quasi in trance, a osservare le mille sfumature di arancione che illuminavano radiose la facciata un vecchio palazzo. Certo: il traffico, la sporcizia ovunque, la lentezza burocratica. Tutte cose che però, se arrivavi in Italia dagli Stati Uniti, le mettevi in conto. La luce, quella no.
Era il primo giorno del nuovo Governo. La nascita della Terza Repubblica, annunciavano solenni i quotidiani.
Buongiorno a tutti gli ascoltatori di Radio Nabucco, in diretta da Milano dove anche oggi si lavora e si produce ma un occhio è puntato sulle televisioni per assistere alla diretta della formazione del nuovo Governo […] Ricordiamo che uno dei primi provvedimenti sarà l’emissione di mini-Bot per risarcire chiunque vanti crediti nella pubblica amministrazione […] Un provvedimento inteso a coprire tutti i 60 miliardi del debito che non porterà alla creazione di una seconda valuta da scambiare al mercato nero, tipo Cuba o il Venezuela, come sostenevano oggi alcuni sinistrati, ma funzionerà molto più semplicemente come un Ticket Restaurant, un titolo garantito e sicuro alternativo al denaro […]
C’era molta attesa e molta fiducia tra la gente. Il consenso per un Governo non era mai stato così alto. Gli italiani sembravano aver messo da parte il loro storico disincanto e guardavano speranzosi al futuro.
Certo, i leader europei e i burocrati da mesi ammonivano il paese e invitavano alla disciplina e al rigore. Ma nessuno aveva più voglia di ascoltarli.
La luce era sempre bellissima. Non poteva esserci momento storico migliore per fare l’inviato in Italia del «New York Magazine».
E io, Peter Green, mi sentivo l’uomo più fortunato della terra.
GIORNO 2
Anche il secondo giorno tutto procedeva alla grande. Il consenso governativo continuava a crescere. Alcune organizzazioni di piccole e medie imprese del nord Italia già rivisitavano al rialzo le stime di crescita.
Per questo motivo non detti alcun peso alle rivelazioni del mio contatto Bruno Livraghi, titolare di un grosso hedge fund.
In quei giorni era a Francoforte, diceva di trovarsi lì per puro caso, e mi aveva scritto per allertarmi che i veri ricchi stavano già trasferendo tutti i soldi all’estero, investendo in titoli di stato tedeschi e in polizze sulla vita.
Quella mattina alla buvette incontrai Samuele Silvestri, storico deputato della sinistra. «Il gettone d’ingresso che i parlamentari devono pagare prima dell’ingresso in aula è una mossa astuta» mi disse, «la gente lo appoggia in pieno dopo tutti questi anni di attacchi alla casta.»
«Però c’è un problema» aggiunse, «alla lunga potrebbero essere proprio deputati e senatori a stancarsene. E noi siamo qui, sulla riva del fiume, ad aspettarli a braccia aperte.»
L’unica voce stonata, quel giorno, fu la rivelazione sulla stampa straniera che durante il primo meeting informale europeo il nuovo Presidente del Consiglio italiano, a ogni domanda a lui rivolta, cercava sempre di prendere tempo. Svicolava, sosteneva che per valutare appieno la portata della richiesta doveva pensarci su per qualche ora.
Quasi, alluse qualcuno, che dovesse chiedere ai leader dei partiti che lo avevano messo lì cosa avrebbe dovuto rispondere. E aspettare che i due si mettessero d’accordo prima di poterlo fare.
GIORNO 3
Buongiorno a tutti gli ascoltatori di Radio Nabucco, in diretta da Milano dove anche oggi si lavora e si produce ma i media asserviti alla sinistra continuano a propinarci la favola che il Fondo Monetario Internazionale avrebbe manifestato delle inquietudini sulla tenuta dei conti italiani […] È ovvio, si tratta di allarmi seri, ma dovuti alle vecchie gestioni, ai precedenti governi. Alla cieca obbedienza ai dettami degli eurocrati di Bruxelles che ci ha fatto precipitare nella crisi […] Oggi a Milano splende il sole, e abbiamo qui con noi il titolare delle Assicurazioni **** per presentarci le nuove polizze sulla vita […]
Forse è stato quel giorno che ho cominciato ad avere i primi dubbi. Il mio amico Bruno Livraghi mi aveva avvertito con un sms che i gestori internazionali erano subissati da richieste su quanto rischio italiano avevano nei loro portafogli.
Poi, aveva aggiunto, sapendo che di economia non ne masticavo così tanto, che il rischio era negativo, andava venduto. E quindi i vari gestori stavano cominciando a fare calcoli su quanto sarebbe costato loro una possibile uscita del Paese dall’euro.
Ma la possibilità sembrava allora troppo remota. Tutelarsi su ipotesi che allo stato attuale erano ancora fantascientifiche risultava una prassi negli ambienti finanziari. Non c’era da preoccuparsi troppo, pensai.
Anche perché, per una serie di profili che avevo deciso di ritrarre per il «New York Magazine», chiamai un piccolo imprenditore brianzolo di pellame, Massimo Pezzali, che si dimostrò entusiasta delle manovre messe in atto da questo Governo. E ancora di più delle sue promesse, soprattutto quelle più estreme.
I mini-Bot erano stati un toccasana per la sua azienda. Aveva ricevuto dallo Stato una cifra che gli avrebbe permesso di chiudere l’anno senza problemi.
GIORNO 4
Da quello che avevo capito, a seguito di un pranzo con il deputato Samuele Silvestri, le banche stavano cominciando a rifiutarsi di sottoscrivere aste dei Btp, dopo che le ultime erano andate in porto solo con le loro richieste, e cominciavano a vendere parte dei loro titoli di stato.
I soldi non erano loro, mi aveva spiegato, ma dei risparmiatori come Massimo Pezzali, di cui gli avevo raccontato l’entusiasmo, quindi non c’era più patrimonio libero da investire nelle aste.
Mi sembrava più una manovra speculativa dei poteri forti contro il nuovo Governo, formato da gente perbene ed entusiasta, ma priva di agganci nei posti che contano. Derubricai gli allarmi di Silvestri a mera propaganda politica, se non addirittura a una minaccia degli ambienti finanziari legati alla sua parte, e mi ripromisi il giorno dopo di richiamare Pezzali.
Anche perché il consenso del nuovo governo continuava a crescere.
Furono infatti subito implementate misure più restrittive in materia giudiziaria, come l’aumento delle pene per i corruttori – era esploso a fagiolo il caso di un imprenditore torinese, arrestato in pompa magna sulla soglia di casa e salvato per un pelo dal linciaggio di una folla inferocita.
Anche le misure di tutela del lavoro e dell’occupazione, come la temporanea inibizione all’assunzione di extracomunitari nelle aziende italiane, mi sembravano provvedimenti di buon senso.
Nonostante io non fossi razzista, e nonostante per le statistiche gli immigrati in Italia erano di molto inferiori alla media europea, in qualche modo erano un problema. L’astio nei loro confronti era giustificato. Era inevitabile prendere provvedimenti contro di loro.
GIORNO 5
La mattina chiamai Massimo Pezzali al telefono, gli esposi i mei dubbi e gli confidai le rivelazioni del deputato Silvestri sulle banche. Mi rispose con una grassa e sincera risata.
Aveva appena sottoscritto una polizza sulla vita, che sarebbe stata esente dalla tassazione patrimoniale. «Fanculo ai Btp, esclamò, io i miei titoli me li scelgo, rendono meglio di quelli di stato e non ci pago le tasse!»
Dopo il suo invito, mi ripromisi di andare a trovarlo. Mi aveva sempre affascinato la Brianza, quella distesa di piccole fabbriche abitate da indefessi lavoratori, senza grilli per la testa né ideologie politiche. “Lasciateci lavorare”, era il loro motto.
E rimanevano fiduciosi anche oggi che le grandi fabbriche erano scomparse, e gli ex poli industriali erano stati occupati da immensi magazzini della logistica, proprietà di multinazionali che non pagavano tasse in Italia né dovevano sottostare alle locali leggi sul lavoro.
Buongiorno a tutti gli ascoltatori di Radio Nabucco, in diretta da Milano dove anche oggi si lavora e si produce ma un occhio è puntato sulle ultime fake news che ci propinano giornali e televisioni delle élite […] L’ultima in ordine di tempo è che prestigiose università americane avrebbero offerto corsi e cattedre ai nostri stimati economisti antisistema, fautori dei mini-Bot, per toglierseli di torno […]  Quando è evidente che è il dirompente modello italiano a voler essere studiato. E i suoi profeti a essere venerati, anche negli Stati Uniti […]
La sera di quello stesso giorno ricevetti due brutte notizie, però. La prima era del solito Silvestri, il vecchio deputato della sinistra mi avvisava che le banche non avevano più soldi.
Erano in crisi. La liquidità si stava asciugando.
La seconda, ben più drammatica, arrivò per voce di Bruno Livraghi attraverso un comune conoscente. I tassi sui mutui cominceranno a volare, per noi è un’opportunità, per la classe media un disastro. Il vento potrebbe cambiare presto, la pancia umorale del paese cominciare a brontolare, era il messaggio.
Mi venne allora in mente il primo insegnamento che mi aveva dato Bruno, quando lo incontrai al Tredicesimo piano di quel grattacielo di New York.
Mi disse di non credere alle favole sui mercati che condizionavano la politica. I mercati sono come le persone, mi disse. Possono vincere o perdere. Il capitale invece guadagna sempre e comunque, dalla crisi come dalla stabilità, dalla certezza come dall’incertezza. Il capitale è pura biopolitica, vince sempre e incide sulla vita della gente.
GIORNO 6
Buongiorno a tutti gli ascoltatori di Radio Nabucco, in diretta da Milano dove anche oggi si lavora e si produce e si festeggiano i primi immediati successi del nostro Governo del popolo e per il popolo […] È oramai acclarato che le foto che circolano di file alle sportelli delle banche, postate sui social network da diversi deputati e senatori di sinistra, sono false […] Il livello di queste mosse dell’opposizione si commenta da solo, non sanno più che pesci prendere per attaccare il primo governo veramente libero della storia repubblicana […]  A questo proposito abbiamo qui ospite [OMISSIS] ex militante della sinistra extraparlamentare e ora convinto sostenitore del governo del popolo […]
La luce non era mai stata così bella su Roma.
Alla fine di una settimana di allarmi, fuochi fatui rivelatisi puerili tentativi di terrorismo psicologico, il nuovo Governo italiano, il primo della Terza Repubblica, era salpato in maniera definitiva con il vento a favore.
Nel Partito della Sinistra era scoppiata un’incredibile polemica sulle false foto delle file agli sportelli bancari, immagini prese da una vecchia crisi argentina. La minoranza interna approfittò per attaccare il Segretario e i reggenti del partito, sostenendo che quelle foto si riferivano a una banca loro amica.
E così l’intero partito si mise fuori gioco da solo. Una volta per tutte.
Anche Bruno Livraghi taceva. Probabilmente era tornato a New York, o si stava occupando di altro. Il fallimento dell’Italia non era più un’opzione plausibile all’orizzonte, ma una solida realtà.
GIORNO 7
Qualcosa tornò a muoversi. Una piccola scossa. Ancora non era possibile capire se di avvertimento o assestamento.
Tutto cominciò all’alba, quando un sms di Bruno Livraghi mi segnalava che mutui e prestiti – una cifra vicina ai 500 miliardi di euro – avevano fatto scattare diverse clausole di salvaguardia.
Il risultato, avvertiva Bruno con la sua solita prosa apocalittica, era che gli imprenditori ricchi del nord erano pronti alla secessione.
Non dall’Europa, però, come aveva promesso il Governo, ma dal resto d’Italia per rimanere solo loro in Europa.
Dopo che la giornata precedente era stata un trionfo netto del Governo, con la dissoluzione e la definitiva scomparsa del Partito della Sinistra, attorcigliato su sé stesso, mi sembrò che Bruno stesse esagerando. Feci una rapida visita ai Musei Capitolini, poi chiamai Massimo Pezzali. Cercavo rassicurazioni, capii solo in un secondo momento che non potevo trovarne.
All’altro filo del telefono sentii un uomo distrutto. Il proverbiale ottimismo del piccolo imprenditore padano aveva lasciato spazio alla furia della disperazione.
«Ci hanno fregati!» urlò. In pratica, riuscii a capire tra un’invettiva e l’altra, aveva cercato di ritirare parte dei soldi ma gli era stato risposto che poteva avere solo i famosi mini-Bot della Pubblica Amministrazione, che però valevano meno della metà di quanto aveva.
I mutui da saldare, invece, lo sentii imprecare alla fine, erano rimasti in euro.
Buongiorno a tutti gli ascoltatori di Radio Nabucco, in diretta da Milano dove anche oggi si lavora e si produce e si fatica a tranquillizzare i nostri ascoltatori sobillati dalle fake news della stampa massonica europeista […] Forse è il caso di cominciare a chiamare i nostri nemici con il loro nome. Sono gli stessi di sempre. Gli avidi assetati di sangue e di denaro e nemici dei popoli liberi […] È giusto quindi che, di fronte a questi vili attacchi alla sovranità statale tricolore, il Governo del popolo pensi a nazionalizzare alcune imprese e, soprattutto, la Banca d’Italia […]
GIORNO 8
E alla fine accadde davvero. Furono file agli sportelli delle banche.
In una Repubblica che da tempo immemore non era più fondata sul lavoro ma sui risparmi, il semplice sospetto che questi potessero essere toccati, diminuiti, trasformati in mini-Bot, aveva creato il panico.
L’Italia non era mai stata così unita. Dal nord al sud, durante il giorno il fiume carsico umano davanti ai bancomat aumentò fino a esondare. In pratica, senza rendersene conto, la gente si trovò in piazza a protestare.
Erano scesi in strada a prelevare, si ritrovarono a ribellarsi.
Buongiorno a tutti gli ascoltatori di Radio Nabucco, in diretta da Milano dove anche oggi si lavora e si produce e dove ci troviamo costretti a tranquillizzarvi. Non è vero che è stata bloccata la circolazione dei capitali, che non è più possibile trasferirli all’estero. Si tratta solo di misure temporanee che fanno parte delle nuove norme contro la corruzione e l’evasione fiscale […] Molti ascoltatori chiamano arrabbiati. Nelle strade regna il malcontento. Per questo vi invitiamo a tornare nelle vostre accoglienti case. Cosa state in strada a fare? Tutto si risolverà entro pochi giorni […] Se ieri era trapelata la notizia della nazionalizzazione della Banca d’Italia, oggi possiamo finalmente annunciarvi la prossima novità del Governo del popolo: a breve i nostri leader annunceranno il referendum per uscire dall’Euro […] Addio moneta unica, addio massoni plutocrati europeisti […] Tornate nelle vostre case, rientrate a casa […]
Il blocco della circolazione dei capitali era imminente, mi avvertì Bruno Livraghi. Stava monitorando. E dagli ingenti movimenti di soldi e di persone attraverso le frontiere era chiaro che i grandi capitalisti stavano portando fuori i soldi. E stavano partendo anche loro. Questo voleva dire solo una cosa. Da domani non sarebbe più stato possibile farlo.
Fu allora che mi ricordai il secondo insegnamento che mi regalò Bruno quel giorno che lo incontrai al Tredicesimo piano di quel grattacielo di New York.
Le grandi crisi partono sempre dall’interno, mi disse, i primi a vendere, a uscire, sono i ricchi del paese. Non i mercati, ma le persone fisiche.
GIORNO 9
Buongiorno a tutti gli ascoltatori di Radio Nabucco, in diretta da Milano dove anche oggi si lavora e si produce e vorremmo provare tranquillizzarvi ma non ce la facciamo neppure noi. […] Oggi come sapete un provvedimento di urgenza del Governo del popolo ha decretato la chiusura a tempo indeterminato delle scuole e degli uffici pubblici, resteranno aperti solo gli ospedali […] Stiamo davvero crollando davanti all’ennesima mossa delle plutocrazie europee o forse il Governo del popolo ha sbagliato qualche mossa, consentiteci, per la prima volta, di avanzare qualche dubbio […] Molti ascoltatori ci chiamano, infuriati, sono piccoli imprenditori, commercianti, professionisti, che dicono di avere perso i loro risparmi […] Molte famiglie ci chiamano, terrorizzate, si sono rifugiate nelle chiese […]
Di quel giorno ricordo soprattutto la paura negli occhi della gente. Lo sgomento. Era successo tutto così in fretta. Ero preoccupato anche per Massimo Pezzali, oramai diventato il barometro per comprendere la pressione atmosferica che gravava sul paese. Non riuscivo più a entrare in contatto con lui. L’ultima serie di messaggi vocali su Whatsapp era angosciosa. Aveva perso tutto.
In pochi giorni aveva provato a impegnarsi tutto quello che aveva, accendendo mutui sulla casa e sull’azienda. Ma se le spese gli erano conteggiate in un modo, in cambio gli davano la metà dei soldi. Lo avevano fregato.
Quello che Pezzali non sapeva, era che Bruno Livraghi stava comprando tutti i suoi mini-Bot come se fossero carta straccia. Lo chiamai abbastanza presto quella mattina, Bruno. La Bce non bastava più come scudo, si era tirata indietro alzando le mani, quasi a dire: l’avete voluto voi…
Il fondo salva stati Efsf aveva in pratica preso possesso dell’Italia, provocando un danno di gran lunga peggiore a quello greco. Duole a dirlo, ma in quel caso si parlava pur sempre di periferia. Qui invece era stato fatto saltare in aria uno degli organi vitali del progetto europeo.
L’Europa era definitivamente sgretolata. In ogni stato la moneta aveva un potere d’acquisto suo, un valore diverso da quello del vicino. Il sistema era imploso. Dall’interno. Dall’Italia.
Solo allora mi resi conto che tutti gli slogan sulla giustizia e sull’immigrazione, cui pure avevo creduto, trovandomi alleato per la prima volta con gente che storicamente la pensava diversamente da un liberal americano come me, mi avevano accecato.
Non erano gli immigrati il problema, ma il Capitale.
E questo presunto Governo del popolo aveva agito per conto del capitale, che ora festeggiava danzando sulle rovine del Paese.
Le agenzie di rating oramai avevano abbassato il rating dell’Italia al livello di spazzatura, certificando lo stato di dissolvenza del Paese. E dell’Europa.
Solo Bruno avrebbe riso, se solo avesse avuto tempo di fermarsi un attimo mentre stava mettendo a segno il colpo del secolo. Aveva cominciato a shortare prima di tutti. Non solo aveva pulito il suo portafogli, ma ora era pronto a comprare l’ennesima ondata di crediti deteriorati.
Mentre cercavo di raggiungere Piazza del Popolo, dove la popolazione si era riunita spontaneamente in attesa di capire cosa stesse succedendo, ebbi un incubo a occhi aperti. Un mostro gigantesco con le fattezze di Bruno Livraghi stava ingurgitando le ultime parti del corpo smembrato di Massimo Pezzali.
GIORNO 10
L’ultima mossa disperata del Governo del popolo fu indire in tutta fretta il referendum sull’euro. I pochi che sarebbero andati a votare avrebbero votato a favore, ma non c’era nemmeno bisogno di aspettare l’esito delle urne. L’Italia era sparita.
Era il 6 giugno, anniversario dello sbarco in Normandia. Il D-Day.
E come nel 1944 l’idea era di dividere l’Europa, quasi un secolo dopo la conseguenza fu di separare l’Italia. Un nord industriale e manifatturiero, con un prodotto interno lordo capace di competere con Catalogna e Baviera, si staccava da un sud che viveva di rendita e di risparmio famigliare.
Il nord rimaneva in Europa. Il sud, de facto, ne usciva.
A Roma, oltre alle scuole e agli uffici, erano stati ovviamente chiusi tutti gli aeroporti e le stazioni ferroviarie. Polizia ed esercito avevano cominciato dalla notte a presidiare militarmente le frontiere dell’Italia meridionale, per impedire non più l’ingresso degli extracomunitari ma la fuga degli italiani e dei loro risparmi. Dei piccoli italiani e dei loro piccoli risparmi.
I ricchi, i grandi capitalisti, erano già usciti giorni prima. Loro e i loro soldi.
Al porto di Civitavecchia erano già stati esplosi i primi colpi di arma da fuoco. Qualcuno aveva cercato di imbarcarsi per raggiungere la Tunisia, o forse la Libia. A Roma i primi spari si sentirono solo a partire dal tardo pomeriggio. E quando cominciarono, non si interruppero più.
Nelle strade regnava il caos. Si registravano assalti a ogni tipo di luogo del potere, dalle banche ai ministeri. La folla inferocita pare avesse già linciato il sottosegretario allo sviluppo economico, che inopinatamente si era affacciato dal balcone per cercare di tranquillizzare la folla ed era caduto giù. Arrivavano voci che il suo corpo fosse stato dilaniato.
Erano stati presi d’assalto anche i supermercati. Per la prima volta da oltre un secolo non era colpa dei saldi. La gente cercava il pane.
Il centro di Roma bruciava. Sarebbe presto giunto anche il tempo della sete.
Focolai divampavano in ogni angolo. Cassonetti bruciati, tende arrostite, falò improvvisati camionette dei carabinieri infuocate. Bottiglie molotov volavano da una parte all’altra della strada, intarsiavano il cielo come uno sciame di rondini.
Sul marciapiede vidi un uomo, i capelli lunghi e sporchi, avvolto in una lercia tunica bianca. Camminava spingendo un carrello della spesa. Dentro, una quantità incredibile banconote. Anche queste stavano bruciando.
La luce di Roma non era più arancione.
Era rosso fuoco.

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