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RECENSIONE


gio 21 marzo 2019

HOUELLEBECQ CONTRO IL SESSO CONTRO SÉ STESSO

Florent-Claude Labrouste è il protagonista dell’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, “Serotonina”, ed è l’ennesimo alter ego dello scrittore francese che prosegue nel solco dell’autofiction e dell’invettiva, stavolta “contro il sesso e sé stesso”. Provocatore, anarchico e dissacratore, sempre pronto a raccontare di come la società stia soffocando l’uomo, e tuttavia senza assolverlo, Houellebecq narra la sconfitta di una società sempre più asfissiante e depressa, priva di desiderio.

La vita dell’uomo occidentale è la strada verso il bunker: immagine della vecchia Europa sublimata nel Führerbunker hitleriano situato otto metri sotto la Cancelleria del Reich. Proveniamo da un utero, finiamo rinchiusi in una bara, la nostra esistenza è misurata dalla distanza che separa questi due bunker.
Lo sa bene Florent-Claude Labrouste che, stufo della vita, decide di anticipare il momento dell’inumazione, e comincia a liberarsi di tutto ciò con cui la vita lo ha saturato, colpevolmente e contro la sua volontà, fino a scegliere di abitare stanze sempre più piccole e sempre più vuote. Con sempre meno vie di fuga. Fino al bunker.
Florent-Claude Labrouste è il protagonista dell’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, Serotonina (La Nave di Teseo, 2019), ed è l’ennesimo alter ego dello scrittore francese che, dal fulminante esordio (Estensione del dominio della lotta, 1994) prosegue nel solco dell’invettiva e dell’autofiction
Impossibile, come sempre, capire dove termini il reale e cominci la finzione, dove si situi l’autore e dove il personaggio, grazie anche a uno stile scarno e asciutto, intervallato da liste, descrizioni, resoconti, bugiardini, dépliant, dettagli tecnici e antropologici che contribuiscono ad accrescere quel senso di spaesamento e alienazione brechtiana che è, da sempre, cifra politica di un certo modo di concepire l’arte.
Come Houellebecq gioca con il suo personaggio autoriale, da ultima un’intervista a favore di Trump e degli americani che hanno votato Trump talmente surreale che solo una critica prevenuta e sprovvista di ironia ha potuto prendere sul serio, così si diverte con i suoi alter ego, mettendo loro in bocca contraddizioni e antinomie con cui è impossibile non deliziarsi.
Basta non fermarsi all’apparenza ed entrare nel gioco.
In Serotonina il tema principale, ripreso della sua oeuvre ma qui declinato forse in maniera diversa, è quello della malattia che invade tanto il corpo dell’uomo quanto il tessuto della società, senza che sia saggio indagare su chi abbia contagiato l’altro.
«È una piccola compressa bianca, ovale, indivisibile. Non crea né trasforma; interpreta. Ciò che era definitivo lo rende passeggero; ciò che era ineluttabile lo rende contingente».
Houellebecq potrebbe star descrivendo l’arte come il linguaggio, la politica come la religione, e forse lo sta facendo, anche se in realtà parla del Captorix, un farmaco (o “veleno”, se si intende per intero l’etimologia greca di ϕάρμακον) antidepressivo il cui effetto collaterale è l’inibizione del testosterone, e quindi del desiderio sessuale.
Ecco perché in apertura del libro assistiamo a una scena grottesca, in cui Florent-Claude osserva due ragazze spagnole intente a fare benzina a un distributore quasi fosse davanti a un soft porno, con un meraviglioso flusso di coscienza del maschio bianco contemporaneo che – cresciuto tra palestre e pornografia – si eccita per la sola vicinanza di un seno o di un culo, e interpreta come provocazione sessuale della donna il solo fatto che la donna abbia un seno o un culo.
E subito tutto precipita, con una traiettoria forse analoga al protagonista (ancora un maschio occidentale) della Casa di Jack.
In un attimo finiamo con l’assistere – è sempre il guardare, il gesto voyeuristico, l’unico senso rimasto alla soddisfazione sessuale – assieme al protagonista a dei filmini di orge con cani descritte nei minimi particolari.
Da qui comincia la trama vera e propria del libro, un viaggio attraverso la Francia, alla ricerca delle donne della sua vita che ricorda quello di Bill Murray in Broken Flowers (regia Jim Jarmusch, 2005).
È la strada verso il bunker. Gli incontri, di persona o attraverso i ricordi, di Florent-Claude non sono altro che tappe di avvicinamento, scandite da ipermercati, minuscole stanze d’albergo, antichi castelli e immense aziende agricole, ridotti tutti a non luoghi, non abitati più da relazioni umane ma solo da solitudini prodotte da menti in dissoluzione e corpi in disfacimento.
Un’ardita metafora potrebbe anche portarci su un altro terreno, quello dei social network, luoghi di memoria protesica cui abbiamo affidato la gestione della nostra serotonina, del principio regolatore che eccita e/o inibisce la nostra sfera emotiva secondo logiche disciplinari di profitto. In altre parole: i social speculano sulle nostre emozioni.
In fondo anche i social network non sono altro che lampadine utilizzate per illuminare i nostri bunker esistenziali.
«Cercavo di organizzare una mini cerimonia di “addio al mio cazzo”; volevo rivedere tutte le donne che l’avevano onorato, che l’avevano amato a loro modo». Dall’incontro è esclusa solo Camille, unico vero grande amore, matrice del desiderio scomparso. Perché nella nuova matrice, simile a quella delle sorelle Wachowski, il desiderio è espunto, relegato al fuori da sé.
Perché oramai nella vita virtuale è stato escluso il corpo.
E infatti Florent-Claude non apprezza più il cibo, il vino, la compagnia, tutto quello che implica prossimità. Non si lava neppure. «La prospettiva di avere un corpo di cui prendersi cura diventava sempre più insopportabile», dice.
Provocatore anarchico e dissacratore, sempre pronto a raccontare di come la società stia soffocando l’uomo, e tuttavia senza assolverlo, ovvero senza mai scadere nel cercare la salvezza dell’uomo in un’arcaica epoca di cui si soffre la nostalgia, Houellebecq narra la sconfitta umana e sociale.
La discesa negli inferi di Florent-Claude diventa dunque, e per paradosso, la scalata a una montagna. Più si prosegue, più manca l’aria. Le pareti del bunker, sempre più strette, sono la vittoria dello strangolatore, che ha le fattezze di Monsieur Le Capital.
L’auto inumazione nel grattacielo, o sotto terra, è la vittoria del neoliberismo, che ci vuole corpi stanchi, isolati e in perenne concorrenza tra di noi.
Eppure, tra omicidi e suicidi, rivolte e abbandoni, stupri e umiliazioni, emerge in Serotonina – a tratti – una dolcezza possibile e forse assente nelle opere precedenti.
Giunto a destinazione e cioè nel bunker in cui il capitalismo lo ha confinato, Florent-Claude Houellebecq si riconcilia con l’uomo? Parrebbe di sì.

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