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gio 19 aprile 2018

LA CHIAMAVANO “GOURMET GENTRIFICATION” (PT.2): IL MERCATO CENTRALE DI ROMA

Ammicca allo street-food, propone abbinamenti a effetto come la cioccolateria che vende anche fiori, mette insieme le eccellenze della città e si rivolge ai turisti e a una domanda benestante: il mercato di quartiere si sta trasformando. Non è più un posto solo per i residenti. È già parte della cosiddetta "gourmet gentrification". L'esperienza del Mercato Centrale di Roma.

Nell’Occidente del nostro tempo il mercato rionale sta cambiando volto. Diventa “esperienza”, oggetto di storytelling. Si orienta a una domanda occasionale, benestante, in cerca di prodotti sofisticati. Così il mercato non è più un posto dove i residenti fanno la spesa ma un’attrazione turistica da visitare. Non più un polo al servizio del quotidiano di una comunità ma un set teatrale per un pubblico che vuole combinare l’eccellenza gastronomica all’esotismo del popolare, del genuino, del tipico. E allora il mercato trasforma la sua funzione, e i prezzi. Secondo una ficcante definizione, è la “Gourmet gentrification”.
Nel recente saggio sul turismo Selfie del mondo, Marco D’Eramo scrive:
“I «mercati tipici» sono un altro esempio di backstage che si offre in spettacolo, perché lì i turisti cercano non «il bazar per turisti», ma il luogo in cui i locali vanno davvero a rifornirsi per la loro vita quotidiana. Questi mercatini all’inizio si offrono semplicemente allo sguardo continuando a mantenere il loro carattere “indigeno”, ma a poco a poco cominciano a offrire mercanzie rivolte soprattutto ai visitatori turisti, o semplicemente a impacchettare le stesse derrate ma in confezioni che possano essere acquistate (e regalate) come souvenir, finché diventano mercati interamente turistici”.
D’Eramo parte dall’esempio del Mercado de San Miguel a Madrid ma il discorso si estende con facilità ad altri casi, dal Brixton Market di Londra al Grand Central Market di Los Angeles. E di recente Roma ha preso a correre in questa stessa direzione.

Il Mercato Centrale a Roma

Aperto dalle 8 del mattino a mezzanotte, anche la domenica. Meno di venti banchi, definiti “botteghe artigiane”, e un piano dedicato alla ristorazione d’autore (lo chef è Oliver Glowig). Il Mercato Centrale riunisce le eccellenze gastronomiche della città, ammicca allo street-food e propone abbinamenti a effetto come la cioccolateria che vende anche fiori.
All’inaugurazione dell’autunno 2016, tra gli ospiti c’erano Beppe Grillo e Bruno Vespa. L’obiettivo dell’imprenditore Umberto Montano è ripetere a Roma l’operazione del Mercato Centrale di Firenze.
L’immediato, automatico, confronto viene da farlo col Nuovo mercato Esquilino. Perché sono distanti appena cinquecento metri. Perché rappresentano idee molto diverse. E perché la posizione del Mercato Centrale è tutt’altro che neutra, come farebbe pensare il non-luogo di una stazione: si direbbe invece un avamposto, un’ombra che minaccia di espandersi fingendo di ammiccare e rassicurare, di fronte a un quartiere che da anni resiste alla gentrification. O come preferisce metterla il Gambero Rosso, a proposto del Mercato Centrale, si è “consci del rischio che l’Esquilino non sia ancora pronto per accogliere uno spazio simile”.
Prima di queste due interpretazioni contemporanee, c’era lo storico mercato all’aperto di piazza Vittorio. Popolare, caotico, nella cornice dei palazzi umbertini che rendono la piazza la più sabauda di Roma. Aveva fatto da sfondo a Ladri di biciclette e al Pasticciacciodi Gadda. Il trasloco poco lontano, in una grande struttura coperta, non ha cambiato profondamente il senso di quel mercato. Perché il Nuovo mercato Esquilino, inaugurato nel 2001, continua a essere un luogo includente: grande offerta, prodotti internazionali, a prezzi accessibili. Più in generale, nonostante la qualità architettonica e la centralissima posizione urbana, la gentrification del quartiere Esquilino è frenata dalla rappresentazione di una zona poco decorosa, piena di stranieri (la Chinatown di Roma), sporca e magari pericolosa.
Quindici anni dopo quell’inaugurazione, nasce così uno spazio che prova a compiere il passaggio mancato. Alzare la qualità dell’offerta, alzare i prezzi, alzare il livello socioculturale della clientela. Selezionare una clientela benestante in un quartiere complesso e ancora misto e contraddittorio. E naturalmente non rivolgersi alla comunità più marginale: come scrive il Gambero Rosso, “il primo obiettivo è riqualificare il quartiere Esquilino”. Per ospitare il Mercato Centrale si sceglie la stazione Termini, e in particolare lo spazio della Cappa Mazzoniana, avanguardista realizzazione degli anni Trenta in marmo portoghese. Si orienta alla funzione commerciale uno spazio pubblico in un modo simile a quanto fatto con Eataly all’Air Terminal della stazione Ostiense (2012).
Da un lato l’autentico, il semplice ma buono (“La bontà è elementare”, lo slogan), il vecchio e sano. “Quel modo di fare la spesa tipico di un tempo” dice Montano. Dall’altro, l’eccellenza. Da un lato i proclami di attenzione a tradizioni e prodotti regionali (sembrerebbe) del Lazio. Dall’altro le specialità siciliane, e il sushi e il ramen.
Alta probabilmente l’offerta, alti di sicuro i prezzi. Di questo si parla poco. E si è pronti ad andare all’attacco, in caso lo si faccia notare: “Se la signora del quartiere non è disposta a spendere un euro in più per una pizza eccellente, me ne farò una ragione” spiegaMontano. Meglio perderlo un cliente che vuole, o deve, risparmiare.
Leggi la prima parte del lavoro sulla “gourmet gentrification” alla romana qui

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