Decodificare il presente, raccontare il futuro

MONITOR


sab 15 luglio 2017

GLASTONBURY: LA ROCKSTAR È CORBYN

Oggi Londra e l’Inghilterra possono diventare terra di speranza. La viva partecipazione a Glastonbury testimonia che c’è margine per scartare dal binario unico. Jeremy Corbyn sta offrendo al treno un percorso alternativo, con fermate diverse da quelle scandite dai tempi della rassegnazione e dell’ineluttabilità.

[da una community del dark web] vlp26ueoc5XXrrcs4.onion/ on: June 24, 2017, 05:39:45 am
Glastonbury, giù, in mezzo. Il Regno Unito è l’apice di una crisi così profonda da sembrare il flesso di un grafico monodirezionale. A seconda dell’angolo, sembra una caduta libera o un’ascesa inarrestabile. Giovedì, per arrivare, da Londra. Non più camper e autostop, ma pacchetti vacanze e treni speciali. «Stop that train, we wanna get on.» Venerdì, durante il concerto dei Radiohead esplode il coro. Sulle note di Seven Nation Army dei White Stripes. «Pooo po po po po pooo pooo. Ooh Je Re My Co Oor Byn.» Glastonbury, Pyramid Stage. Sabato no, non ci sono headliners, c’è lo speech dell’absolute boy: «Ooh Je Re My Co Oor Byn.» Costruire ponti, non muri.
Trasformare il linguaggio muscolare della politica in una lirica nuova, sbattere in faccia l’evidenza di una realtà che sta crollando sotto il peso delle proprie contraddizioni.
È questo che trasforma Jeremy Corbyn in una rockstar. Fino a ieri, Londra e l’Inghilterra erano la terra promessa. Studenti da tutto il mondo in cerca dell’accademia vincente. Giovani europei in cerca di fortuna. Riciclatori di fortune in cerca di porti franchi.
Oggi Londra e l’Inghilterra possono diventare terra di speranza. Una politica, che sfugge alle coordinate di vecchio e nuovo, cerca di abbattere quelle contraddizioni colpevoli di cancellare ogni promessa.
Jeremy Corbyn sta offrendo al treno un percorso alternativo, con fermate diverse da quelle scandite dai tempi dell’acquiescenza. Quando l’ineluttabilità era il binario unico. Glastonbury, giù, in mezzo. «Stop that train, we wanna get on.» Glastonbury, Pyramid Stage. «La politica riguarda la vita di tutti giorni, i nostri sogni, quello che vogliamo. Riguarda quello che possiamo ottenere e quello che desideriamo per gli altri.» Frasi semplici, rimosse dagli ingloriosi decenni della rivoluzione conservatrice.
La nuova ragione del mondo non è più imposta dall’alto, bensì è una sorta di patto sociale, condiviso dalla maggioranza di noi. Non c’è più niente da delegare, il senso di marcia non è più obbligatorio e l’illusione del benessere non inganna più gli sguardi.
E proprio un inganno ha portato al rogo di classe della Grenfell Tower, alla demolizione di tutto ciò che è pubblico, alla lotta cieca contro i rifugiati, considerati la causa d’ogni male. Glastonbury, giù, in mezzo. Glastonbury, Pyramid Stage. Le distanze si accorciano. Scompaiono.
Jeremy Corbyn, osteggiato dai suoi compagni di partito, bollato come bollito, non solo ottiene un risultato novecentesco per il Labour Party, ma riavvicina i giovani alla politica. Mobilita masse ormai rassegnate, e apatiche, le riconsegna alla partecipazione attiva. Collega l’orgoglio della working class all’ingegno del cognitariato, il secolo breve a un altro futuro possibile.
Ed è osannato come una rockstar sul palco. Jeremy Corbyn ricorda che Daniel Blake non muore soltanto a Newcastle, perché a London City vivono centinaia di migliaia di Daniel Blake. Jeremy Corbyn cancella le retoriche sugli ultimi, i dimenticati dei territori profondi, che assediano la grande metropoli dei flussi globali, l’Inner London delle reti e delle connesessioni globali. Il popolo di Corbyn è ovunque, ed è diverso. «Ooh Je Re My Co Oor Byn.»
Jeremy Corbyn parla come se fosse attorno al falò della Strummerville. Da vent’anni si raduna a Glastonbury nel nome di Joe Strummer: «Without people you are nothing.»
Jeremy Corbyn traduce la grande tradizione del rock in una narrazione semplice e lineare quando invoca la fine di un modo di vivere che cupamente accetta povertà, sofferenza e disperazione.
Jeremy Corbyn ribalta lo schema consunto dei divi del rock che fanno pubblici endorsement a favore di qualche politico.
È lui la rockstar. È lui a occupare direttamente il centro palco, senza mediazioni. «Ooh Je Re My Co Oor Byn.» Glastonbury, Pyramid Stage. Non c’è Bono che ti chiede soldi per portare bottigliette d’acqua in Darfur. Non c’è Madonna che promette blow jobs a chi vota Hillary. Si presentano i Run for Jewel – un duo hip hop dalle rime taglienti e militanti in cui compare, in un featuring, la voce di Zack de la Rocha. Il cantante dei Rage Against the Machine è il ponte ideale tra l’attivismo dei movimenti alter-globalisti e il nuovo linguaggio, che oggi echeggia sulle macerie provocate da quanti ignorarono proprio il messaggio di quei movimenti. Glastonbury, giù, in mezzo.
Jeremy Corbyn è qui con noi. È rock da sé. Questa coerenza lo premia.
Le distanze sono scomparse. Il futuro è ora.

NEWSLETTER


Autorizzo trattamento dati (D.Lgs.196/2003). Dichiaro di aver letto l’Informativa sulla privacy.



LEGGI ANCHE: