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MONITOR


lun 5 settembre 2016

IL «GIORNO BUIO» DI MERKEL: LE “PORTE APERTE” AI MIGRANTI E LA DESTRA POPULISTA

La Cdu della cancelliera scavalcata dai populisti anti-rifugiati dell’AfD alle elezioni in Meclemburgo-Pomerania: numeri piccoli, ma è una bocciatura simbolica. Sono arrivati solo 23 mila migranti nel Länd, ma la retorica contro «l’invasione islamica» ha preso piede. A un anno dallo slogan «Ce la possiamo fare» e in vista delle nazionali del 2017 è un test per la Germania e per l’Europa

Il bastone sull’Europa. L’egemonia tedesca, l’ideologia tedesca. Lo strabismo nel considerare alcuni parametri e non altri, la miopia che distorce la vista di Berlino, il culto del surplus commerciale, l’ossessione per gli scambi esteri – Esportare esportare esportare –, la cieca professione di fede nei mercati e nelle riforme che i mercati – sempre e solo i mercati – esigono. L’ideologia tedesca, l’egemonia tedesca… Da L’Unione europea, tra il cinema di Sergio Leone e il teatro di Molière. Il Tredicesimo Piano
Era esattamente un anno fa. Angela Merkel decideva di aprire i confini tedeschi ai migranti intrappolati in Ungheria (qui la cronologia della Zeit). Con lo slogan «Wir schaffen das» («Ce la faremo»), la cancelliera tedesca prendeva posizione sulla crisi migranti: «accoglienza» era la parola chiave. In un anno erano arrivate un milione di persone. Oggi il calendario segna 5 settembre 2016 e dal Meclemburgo-Pomerania arriva la bocciatura più sonora alle politiche di Merkel su profughi, rifugiati e richiedenti asilo. Nonostante che nel Länd dove la Angela nazionale ha il suo collegio per il Bundestag siano arrivati meno di 23 mila migranti, la retorica anti-Islam dei populisti di destra dell’AfD, Alternativa per la Germania, ha racimolato consensi e l’ossessione che la «Germania resti ai tedeschi» contro «l’invasione islamica» ha fatto proseliti. Le elezioni a Berlino sono vicine (il 18 settembre) e la lunga rincorsa alle nazionali di inizio autunno 2017 appare sempre più affannosa, in casa e in Europa, dove la cancelliera è sempre più sola.

I numeri

Alle elezioni locali in Meclemburgo-Pomerania, Länd rurale sul mar Baltico, la Cdu di Merkel ha ottenuto il 19% dei voti ed è stata scavalcata dai populisti di destra di AfD, che si sono aggiudicati il 20,8% delle preferenze (tutti i dati qui). Primo partito quello dei socialdemocratici (Spd), guidati da Erwin Sellering con il 30,6% dei voti. Rispetto al voto del 2011, la Cdu ha perso 4 punti e la Spd cinque. È andata male per la sinistra della Linke che ha avuto il 13,2% dei voti, ovvero oltre cinque punti in meno rispetto a cinque anni fa. I Verdi e i neonazisti della Npd (3%) non hanno superato lo sbarramento del 5%: non si aggiudicano, dunque, nessun posto al Landtag di Schwerin.

Un test per le politiche di accoglienza

Numeri piccoli, grande impatto simbolico: hanno votato circa 800 mila persone, su una popolazione di 1,6 milioni nel Länd, rispetto agli 80 milioni totali. Si tratta però di un voto cruciale in questa fase, per le due ragioni già menzionate nell’introduzione: a un anno di distanza dall’apertura delle frontiere tedesche e proprio nello stato federale, dove la cancelliera ha il suo collegio per il Bundestag. La popolarità di Merkel è scesa dal 67% al 45% in un anno. E le rogne arrivano anche dagli alleati. Come avevamo già scritto, l’intenzione dell’ala (destra) bavarese del partito della cancelliera sarebbe quella di proporre una selezione degli immigrati in base alla religione. Se così fosse, per i musulmani non sarebbero giorni facili, perché considerati «culturalmente lontani» dai tedeschi. «Per la Csu è difficile immaginare i musulmani in lederhosen (pantaloni di pelle bavaresi, ndr)», riassume “Die Welt”. In cantiere ci sarebbe una bozza, da presentare al congresso del partito il prossimo novembre, che considera la religione – e in particolare l’Islam – una discriminante per le politiche di accoglienza. Secondo Markus Blume, che del documento è promotore, un immigrato che proviene da un ambito dove è un «imam a decidere dove si va» è troppo «distante» dalla cultura tedesca. In sintesi: per integrarsi bisogna essere «vicini».
Il banco di prova non è solo in Germania. Il 18 settembre i cittadini sono chiamati alle urne a Berlino, il 2 ottobre c’è il referendum in Ungheria sulle politiche di accoglienza ai migranti. A marzo 2017 si vota in Olanda e a maggio/giugno in Francia, dove i populismi di Geert Wilders e Marine Le Pen soffiano sulla paura dello straniero come ha fatto la AfD tedesca.

«Una giornata nera», «uno schiaffo in faccia» per Merkel

«Questa è stata una giornata nera per Merkel», ha detto Thomas Jaeger, politologo dell’Università di Colonia, alla Reuters. «Tutti sanno che Angela Merkel ha perso queste elezioni. Ha [in Meclemburgo] il suo collegio, ha fatto campagna lì, e i rifugiati sono il suo problema». Ha esultato, invece, Frauke Petry, leader dell’AfD: «Questo è uno schiaffo in faccia per la Merkel – non solo a Berlino, ma anche nel suo stato natale. Gli elettori hanno lanciato un segnale chiaro contro le politiche d’immigrazione disastrose di Merkel. Questo l’ha messa al suo posto». Toni trionfalistici, quelli usati dalla leader dell’ultradestra francese Marine Le Pen, che su Twitter ha scritto: «Ciò che era impossibile ieri è diventato possibile: i patrioti dell’AfD spazzano via il partito di Angela Merkel. Tutti i miei complimenti».

L’ascesa dell’Afd: «Il volto borghese della destra populista»

«La AfD è riuscita a darsi un volto borghese e a essere percepita come una alternativa che non si posiziona così tanto a destra. Non si tratta di estremisti di destra, ma di populisti di destra». Le parole di Michael Lühmann, politologo all’Institut für Demokratieforshung di Gottinga, al quotidiano La Stampa raccontano in poche righe la potenza del partito fondato nel 2013 che continua a rubare voti ai partiti tradizionali(soprattutto Spd e Cdu) e ai nazisti di Npd, che hanno proprio in Meclemburgo-Pomerania, a Rostock, la loro roccaforte.
La AfD ha conquistato seggi in ben nove delle 16 assemblee statali della Germania. Non ha i numeri per governare in Meclemburgo-Pomerania, ma i suoi consensi bastano per spaventare i leader in Parlamento a Berlino. Secondo un sondaggio dell’istituto Emnidper la Bild, il partito potrebbe ottenere il 12% su scala nazionale. Il frontman locale, Leif-Erik Holm, (qui in un video in cui commenta lo scrutinio) ha girato il Land urlando nei comizi frasi del tipo: «I cittadini non vogliono che il nostro Paese diventi un califfato» e «la Germania resti il Paese dei tedeschi».

La crisi dei partiti tradizionali, la crisi della sinistra

Afd escluso, a vedere rosicchiati i propri voti sono stati tutti i partiti. Come fa notare la Sueddeutsche Zeitung in queste elezioni hanno perso tutti, un vero e proprio «massacro». Il drenaggio dei voti è stato generale. L’ha subito la Spd, che governa dal 2006 insieme alla Cdu (30,2% contro il 35,6% nel 2011). Per la Cdu il rapporto è 19% a 23%. Un brutto colpo anche per la sinistra della Linke: 12,7% rispetto al 18,4% di cinque anni fa, e per i Verdi (4,9%, contro 8,7%). Secondo gli analisti della Zdf tra gli operai la Afd ha guadagnato il 28%, mentre la Linke ha perso l’8% e la Spd l’11%.

Spd: numeri risicati, ma sufficienti per governare

I socialdemocratici si sono aggiudicati 26 seggi e, con i 16 della Cdu, basteranno per governare il Land sul Baltico. Staremo a vedere che succederà con l’AfD.

I migranti sono davvero un problema? I numeri smentiscono la retorica

Quella del 2016 è stata tutta una campagna elettorale giocata sul filo, impregnata di retorica populista e piena di astio sociale. La parola «invasione» ha trionfato in diversi comizi e interviste tv dei populisti. I numeri, però, smentiscono questa retorica.
A gennaio 2016, arrivavano dall’Austia circa 3 mila migranti al giorno. Vienna iniziava così a limitare il tetto di persone che potevano richiedere asilo a meno di metà rispetto al 2015. La decisione austriaca andava in tandem con quella serba di negare l’accesso ai migranti, a meno che non dimostrassero di voler chiedere asilo all’Austria o alla Germania. «Se non c’è una soluzione europea condivisa, Paesi come l’Austria hanno l’obbligo di adottare misure nazionali», aveva detto Sebastian Kurz , il ministro degli esteri austriaco.
Secondo il sistema di registrazione nazionale EASY, citato in una lunga inchiesta dello Spiegel, a gennaio aveva contato 92 mila persone tra migranti e rifugiati. A luglio le registrazioni sono calate a 16 mila unità. Il numero di richieste asilo inoltrate ed esaminate dall’Ufficio federale per migranti e rifugiati (BAMF) è stato pari a 330 mila nei primi sette mesi del 2016: in aumento del 146% rispetto allo scorso anno. Restano in attesa mezzo milione di domande. Come va l’integrazione? A rilento, sempre secondo i dati snocciolati dallo Spiegel: al momento 400 posti di lavoro a tempo pieno, 500 training e 1800 stage sono stati avviati nell’ambito del programma “Us together” per il reinserimento lavorativo dei rifugiati.

L’autunno europeo: che succede se tramonta l’era Merkel?

La questione migranti da gestire, l’accordo con la Turchia per la “diga profughi”, l’egemonia tedesca (con o senza Merkel) perno di molte decisioni dell’Unione europea, il malessere popolare che la Brexit ha detonato, i populismi che avanzano: l’Europa dei tecnocrati, prima o poi, dovrà fare i conti seriamente con il suo assetto attuale, perché le sfide sono parecchio impegnative. Le tappe in agenda per il futuro prossimo non promettono bene. Il 2 ottobre ci sono le presidenziali austriache: dovrebbe vincere Norbert Hofer, leader anti-migranti e anti Ue. Lo stesso giorno c’è il referendum in Ungheria: il primo ministro Viktor Orban è contro il piano di Bruxelles per la «equa distribuzione dei migranti».
Staremo a vedere.

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