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MONITOR


ven 15 settembre 2017

IN GERMANIA IL VINCITORE STA AL CENTRO

Cosa succede quando il linguaggio conservatore e quello progressista si assomigliano e si sovrappongono, nella Germania egemone d'Europa con la sua turbo-economia. I socialdemocratici sono al loro risultato peggiore da gennaio. L'effetto Schulz sembra svanito, mentre Merkel rappresenta "l'usato sicuro". L'ultradestra AfD punta al terzo posto. Intanto l'80 per cento dei tedeschi si dice di centro. Sono davvero così noiose queste elezioni?

«Ringraziate la crescita economica per queste noiose elezioni in Germania», parola di Bloomberg, che dà praticamente per scontata la riconferma di Angela Merkel come cancelliera tedesca, alle federali del prossimo 24 settembre. L’Economist sostiene che Merkel «meriti di vincere» e debba essere ancora «più audace nel suo (quasi inevitabile) quarto mandato» consecutivo. E ancora: «L’inamovibile Angela ha saputo muoversi meglio degli avversari in questa situazione in movimento», scrive Michael Braun su Internazionale.
Insomma, Merkel e la sua Unione cristiano-democratica (Cdu) rappresenterebbe l’usato sicuro, la continuità, l’affidabilità. L’avversario socialdemocratico Martin Schulz, invece, una (quasi) novità che non convince troppo gli elettori. Dopo un exploit iniziale, infatti, resta inchiodato al 20 per cento nei sondaggi. La chiave (e la speranza) per l’Spd sono gli indecisi: «I sondaggi, se dobbiamo proprio crederci, portano una buona notizia: oltre metà degli elettori non sa per chi votare», ha detto Schulz.
Eppure i numeri parlano. Secondo quelli di Deutschlandtrend, i socialdemocratici sono al loro risultato peggiore da gennaio. Stando, invece, a un sondaggio per la tv ARD, la Cdu è al 37 per cento, e l’Spd è seguita dall’ultradestra di Alternative für Deutschland, al 12 per cento. In coda, ci sono i liberali con il 9,5 per cento e la sinistra della Linke che è scivolata al 9, perdendo un punto. A seguire, infine, i Verdi a 7,5 per cento (-0,5).

Se le cose restassero così, a parte la Große Koalition, ci sarebbe l’opzione Cdu-Fdp e Verdi, ma non è detto che tutti la vogliano. Al di là del duello tra Cdu e Spd, la posta in gioco per il terzo posto è altissima e la missione dell’AfD è conquistarlo.
Il vincitore delle prossime elezioni, comunque, dovrà stare al centro. Interpellato sulle proprie posizioni politiche dalla Bertelsmann Foundation, infatti, l’80 per cento dei tedeschi oscilla tra centrodestra e centrosinistra.
Riavvolgiamo il nastro.
Solo pochi mesi fa, la stampa si spendeva in titoli trionfalistici, descrivendo «l’effetto Schulz», il «miracolo» Martin, «l’uomo del popolo» che «ha ricompattato la sinistra tedesca», «l’ha risvegliata», ne ha «infuocato il cuore». A febbraio aveva portato, dopo dieci anni, la Spd fuori dalla zona 20 per cento nei sondaggi, fino al testa-a-testa con la Cdu di Merkel.
A fine marzo, quando Sigmar Gabriel, oggi ministro degli Esteri, rinunciava alla corsa alla cancelleria e gli lasciava il posto da leader dei socialdemocratici, Schulz lanciava la sua ricetta: «Giustizia, rispetto e dignità».
Prometteva contratti di lavoro più stabili, un periodo di disoccupazione più lungo per i disoccupati, università accessibile per tutti e gridava battaglia al pacchetto di riforme volute da Gerhard Schroeder, con la cosiddetta Agenda 2010.
In politica estera, parlava di «un’Europa forte, attraverso una Germania forte».
Il bastone sull’Europa. L’egemonia tedesca, l’ideologia tedesca. Lo strabismo nel considerare alcuni parametri e non altri, la miopia che distorce la vista di Berlino, il culto del surplus commerciale, l’ossessione per gli scambi esteri – Esportare esportare esportare –, la cieca professione di fede nei mercati e nelle riforme che i mercati – sempre e solo i mercati – esigono. L’ideologia tedesca, l’egemonia tedesca… Da L’Unione europea, tra il cinema di Sergio Leone e il teatro di Molière. Il Tredicesimo Piano
Oggi nella Germania dalla turbo-economia che spadroneggia in Europa con il suo Pil, la giustizia sociale porta ancora voti?
«I socialdemocratici hanno fatto tutti gli errori che si potevano fare in questa campagna elettorale» – ha commentato all’Ansa Peter Matuschek, dell’Istituto di sondaggi Forsa – «a partire dalla scelta dei temi, puntando, come nel 2009 e nel 2013, sulla giustizia sociale. Con questo non si vince qui oggi. È troppo poco. Il 75% degli elettori dice di essere contento della sua situazione finanziaria».
Eppure le proposte ci sono e sono concrete: dalla valorizzazione e promozione delle lavoratrici al salario minimo. Ma gli elettori sono invecchiati, la sinistra è cambiata e i socialdemocratici assomigliano sempre di più agli elettori della Merkel.
Durante il confronto tv del 3 settembre scorso, Schulz e Merkel si sono trovati ad annuire l’uno alle parole dell’altra. La scena, a tratti, sembrava assurda, quasi come se i ruoli si fossero rovesciati. A un certo punto, ad esempio, Schulz ha addirittura puntato il dito contro Merkel perché non aveva coinvolto gli altri paesi europei nella sua scelta di aprire le porte ai migranti.
Riavvolgiamo il nastro. Ancora una volta.
Erano esattamente due anni fa. La cancelliera decideva di aprire i confini tedeschi ai migranti intrappolati in Ungheria (qui la cronologia della Zeit). Con lo slogan «Wir schaffen das» («Ce la faremo»), la prendeva posizione sulla crisi: «accoglienza» era la parola chiave. In un anno erano arrivate un milione di persone.
Poi il 5 settembre 2016 iniziavano i giorni bui: dal Meclemburgo-Pomerania arrivava la bocciatura delle politiche di Merkel su profughi, rifugiati e richiedenti asilo. Nonostante nel Länd dove la Angela nazionale ha il suo collegio per il Bundestag siano arrivati meno di 23 mila migranti, la retorica anti-Islam dei populisti di destra dell’AfD, aveva racimolato consensi e l’ossessione che la «Germania resti ai tedeschi» contro «l’invasione islamica» proseliti.

E ancora prima, a marzo dello scorso anno, Merkel si era ritrovata a fare i conti con l’ascesa improvvisa dell’ultradestra. In quei giorni, il direttore di Die Tageszeitung”Georg Löwisch, commentando l’avanzata dell’AfD in Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt, aveva fotografato bene la situazione: «I vincitori delle elezioni di questo 13 marzo sono la paura, l’esclusione, l’autoritarismo. La ragione è che molti leader politici hanno perso fiducia in se stessi e nei loro programmi. Non si fidano della base del loro partito, non si fidano dei loro sostenitori, non si fidano del popolo. In fondo, non si fidano della Germania».
Il germe del disamore per lo stile Merkel si era insinuato in primis nel suo stesso partito, la Cdu, dove il 22 per cento si opponeva a un’eventuale altra candidatura. Parole amare arrivavano anche dal vice-cancelliere socialdemocratico Sigmar Gabriel, secondo il quale Merkel avrebbe «sottovalutato» il milione e più di profughi che ha varcato i confini tedeschi nel 2015. «È impensabile che la Germania accolga un milione di persone all’anno. C’è un limite che va oltre la capacità di integrazione di un Paese», diceva Gabriel all’emittente ZDF.
Guardando alla sorella bavarese della Cdu cristiano-democratica, la Csu, l’equazione immigrati uguale problema non cambiava. Dunque, per Merkel significava: altro fronte, altre critiche. Secondo quanto scriveva “Die Welt”, in quei giorni l’intenzione dell’ala (destra) bavarese del partito della cancelliera era quella di proporre una selezione degli immigrati in base alla religione. «Per la Csu è difficile immaginare i musulmani in lederhose (pantaloni di pelle bavaresi, ndr)», riassumeva il quotidiano in un titolo. In cantiere c’era una bozza, da presentare al congresso del partito che considerava la religione e in particolare l’Islam una discriminante per le politiche di accoglienza.
Spostando lo sguardo ancora più a destra, alla cancelliera non andava meglio. A insidiare la Cdu della Merkel, che – dicevano i sondaggi – stava perdendo ormai da tempo la sua base conservatrice, era l’AfD. Il partito di estrema destra, che alle regionali di marzo aveva ottenuto dal 10 al 15 per cento dei voti nei tre Lander coinvolti e che fa della lotta al velo integrale islamico un vessillo da agitare per la difesa dell’integrità tedesca, punta ancora oggi a diventare la terza forza politica del Paese.
Un anno fa un’intervista al quotidiano “Repubblica”, la ex leader Frauke Petry sparava a zero su Merkel: «Non ha mai chiesto a nessuno» riguardo alla gestione dei profughi e di un eventuale tetto ai migranti, «la verità è che finalmente i tedeschi le stanno presentando il conto».

Ma, alla fine, anche per l’AfD è arrivata la crisi. A maggio scorso scrivevamo: “Sempre più a destra, sempre più estrema, ma negli ultimi mesi sembrano lontani i successi a due cifre collezionati dall’Alternative für Deutschland nel 2016. Messa all’angolo la “predicatrice d’odio” Frauke Petry e la sua realpolitik che puntava a coalizioni con altri partiti, adesso a sfidare Merkel —già in pole position per le elezioni di settembre — c’è il duo Gauland-Weidel. Uscita dall’euro e ritorno al marco è il mantra, «l’islam non appartiene alla Germania» il nuovo motto.”
Oggi l’AfD resta ambiziosa. Alla fine, però, il vero vincitore starà al centro e la lunga rincorsa di Frauke Angela potrebbe concludersi nell’ennesimo salto in avanti.

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