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MONITOR


lun 29 agosto 2016

GERMANIA 2017. LA LUNGA RINCORSA DI ANGELA MERKEL

Un tedesco su due è stanco della cancelliera. Nel mirino le sue politiche su immigrazione e anti-terrorismo. Gli attacchi arrivano da più fronti: da chi le è vicino, ma soprattutto dalla destra populista anti-Islam pronta a conquistare il Paese. Come risalirà la china fino alle elezioni di fine estate o inizio autunno del prossimo anno, quando verrà scelto il nuovo cancelliere e il Parlamento?

Il bastone sull’Europa. L’egemonia tedesca, l’ideologia tedesca. Lo strabismo nel considerare alcuni parametri e non altri, la miopia che distorce la vista di Berlino, il culto del surplus commerciale, l’ossessione per gli scambi esteri – Esportare esportare esportare –, la cieca professione di fede nei mercati e nelle riforme che i mercati – sempre e solo i mercati – esigono. L’ideologia tedesca, l’egemonia tedesca… Da L’Unione europea, tra il cinema di Sergio Leone e il teatro di Molière. Il Tredicesimo Piano
Quella di Angela Merkel è una lunga rincorsa alle elezioni di fine estate o inizio autunno 2017. La cancelliera ancora non ha deciso se si presenterà o meno, ma metà dei tedeschi ha già bocciato l’ipotesi. Stando ai numeri di un sondaggio realizzato da Emnid per la “Bild am Sonntag”, il 50 per cento degli intervistati è contrario a un quarto mandato di Merkel alla guida della Germania, mentre il 42 per cento a favore. L’indagine, che è finita addirittura in apertura sul “Wall Street Journal”, è stata però realizzata su un campione di 501 persone nel mese di agosto.
Se i dati di cui sopra riguardano queste ultime settimane, sedimentano, invece, da mesi i malumori nei confronti delle politiche della cancelliera: immigrazione e anti-terrorismo sono da sempre i tasti dolenti, senza contare le questioni finanziarie. E le pressioni arrivano da più fronti.
Il germe del disamore per lo stile Merkel si è insinuato in primis nel suo stesso partito, la Cdu, dove il 22 per cento si oppone a un’eventuale altra candidatura. Parole amare sono arrivate dal vice-cancelliere socialdemocratico Sigmar Gabriel, secondo il quale Merkel avrebbe «sottovalutato» il milione e più di profughi che ha varcato i confini tedeschi nel 2015. «È impensabile che la Germania accolga un milione di persone all’anno. C’è un limite che va oltre la capacità di integrazione di un Paese», ha detto Gabriel all’emittente ZDF, ridicolizzando anche lo slogan con cui Frau Merkel ha fatto passare le sue politiche di accoglienza lo scorso anno: «Wir schaffen das», «Possiamo farcela». Per lui, però, «non basta dire “ce la faremo”» per risolvere la situazione.
Guardando alla sorella bavarese della Cdu cristiana-democratica, la Csu, l’equazione immigrati uguale problema non cambia. Dunque, per Merkel: altro fronte, altre critiche. Secondo quanto si legge dalle colonne di “Die Welt”, l’intenzione dell’ala (destra) bavarese del partito della cancelliera sarebbe quella di proporre una selezione degli immigrati in base alla religione. Se così fosse, per i musulmani non sarebbero giorni facili, perché considerati «culturalmente lontani» dai tedeschi. «Per la Csu è difficile immaginare i musulmani in lederhose (pantaloni di pelle bavaresi, ndr)», riassume il quotidiano in un titolo. In cantiere ci sarebbe una bozza, da presentare al congresso del partito il prossimo novembre, che considera la religione e in particolare l’Islam una discriminante per le politiche di accoglienza. Secondo Markus Blume, che del documento è promotore, un immigrato che proviene da un ambito dove è un «imam a decidere dove si va» è troppo «distante» dalla cultura tedesca. In sintesi: per integrarsi bisogna essere «vicini». Il concetto è piuttosto scivoloso e fonte di pericolo rispetto alla narrazione populista e islamofoba che si è incuneata tra gli esponenti Csu.
Spostando lo sguardo ancora più a destra, alla cancelliera non va meglio. A insidiare la Cdu della Merkel (che sta perdendo ormai da tempo la sua base conservatrice) e gli equilibri di voto in Germania è l’AfD, Alternativa per la Germania. Il partito di estrema destra, che alle regionali di marzo ottenuto dal 10 al 15 per cento dei voti nei tre Lander coinvolti e che fa della lotta al velo integrale islamico un vessillo da agitare per la difesa dell’integrità tedesca, potrebbe presto diventare la terza forza politica del Paese. Almeno questo è lo scenario che prospettano i numeri snocciolati dall’emittente radio ZDF. Al prossimo test elettorale, quello delle elezioni del 4 settembre in Meclemburgo, l’AfD potrebbe infatti guadagnare il 21 per cento dei consensi. Addirittura potrebbe raggiungere il 25 per cento dei consensi, stando ai conti che fa la leader AfD Frauke Petry, che in un’intervista al quotidiano “Repubblica” spara a zero su Merkel: «Non ha mai chiesto a nessuno» riguardo alla gestione dei profughi e di un eventuale tetto ai migranti, «la verità è che finalmente i tedeschi le stanno presentando il conto». Quando si tratta di Islam, Petry usa una retorica incendiaria, stigmatizzandolo come una «cultura» problematica e sparando slogan del tipo: «Blaterare di libertà delle donne se uno lascia che indossino il velo significa capire solo il sintomo. Dobbiamo spegnere ogni ambizione politica del fanatismo islamico. Non può avere spazio in Germania».
Come farà la Angela nazionale a risalire la china fino alle elezioni del 2017, dopo dodici anni al timone tedesco? Se scegliesse di correre e vincesse, supererebbe il record di Helmut Kohl, che è stato cancelliere per sedici anni. Finora ha giocato la carta della fermezza e del rigore. Inamovibile come sempre, Merkel ha scelto di perseguire la strada dell’accoglienza sulle politiche di asilo: «La Germania resta fedele ai suoi principi e darà rifugio a chi lo merita», aveva detto alla fine di luglio dopo l’attacco di Ansbach, compiuto da un richiedente asilo. Su una questione, però, ha cambiato idea: quella dell’europeizzazione dell’affaire migranti. «La Germania ha cambiato la propria posizione. Per tanti anni siamo stati contrari all’europeizzazione di questo tema, adesso invece vogliamo più cooperazione europea», ha detto a Ventotene, a bordo della Garibaldi insieme al premier italiano Matteo Renzi e al presidente francese François Hollande. La verità è che sul fronte europeo le cose non sono semplici, specialmente perché nel dopo-Brexit, Berlino vuole continuare a tenere il guinzaglio all’Europa. Per Merkel, il divorzio di Londra da Bruxelles è «uno spartiacque nello sviluppo europeo e nella storia di successo dell’integrazione europea». Secondo quanto riporta Bloomberg, Merkel ha detto: «Abbiamo cominciato un cosiddetto processo di riflessione per esplorare in quali aree prioritarie dovremmo avanzare. Tutte le famiglie, di tanto in tanto, hanno bisogno di momenti nei quali pensare in quale direzione andare».
Ed è tempo di decidere quale sarà la rotta, perché, come aveva scritto Sven Afhueppe su Handelsblatt, le elezioni del 2017 potrebbe essere un vero e proprio referendum per la tenuta dell’Ue: «L’Europa è bloccata in una grande crisi di identità». Seguendo il ragionamento di Afhueppe, il punto non è che il progetto europeo sia già collassato o meno. Il problema è che la Brexit ha fatto da detonatore a «turbolenze, insicurezze, scetticismo» che superano i confini britannici. «La politica del facciamo “business come sempre” in Europa non è un’opzione, e questo vale in particolare per la cancelliera Angela Merkel. Ha sottovalutato sistematicamente l’ascesa della destra populista dell’AfD». Dopo le regionali di marzo, il direttore di “Die Tageszeitung”, Georg Löwisch, commentando l’avanzata dell’AfD in Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt, aveva fotografato bene la situazione: «I vincitori delle elezioni di questo 13 marzo sono la paura, l’esclusione, l’autoritarismo. La ragione è che molti leader politici hanno perso fiducia in se stessi e nei loro programmi. Non si fidano della base del loro partito, non si fidano dei loro sostenitori, non si fidano del popolo. In fondo, non si fidano della Germania».
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