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sab 14 gennaio 2017

GENTRIFICATION LIPSIA: LA “NUOVA BERLINO”

L'hanno ribattezzata "la nuova capitale della gentrification in Germania". Fino a dieci anni fa era una città desolata di un'area arretrata nel contesto tedesco. Oggi è di tendenza, è "cool". Ecco il racconto di una trasformazione. La ricognizione di un processo dominante ed esclusivo.

Le città si trasformano, le linee del centro e della periferia si fanno sfocate. Tutto il resto giace ai margini. Gli spazi urbani parlano. Raccontano dei processi metropolitani dove l’astrazione dei flussi di capitale si traduce in gentrification.  I quartieri cambiano pelle, velocemente, come se d’improvviso dovessero fare un salto di qualità. Gli affitti aumentano per i vecchi abitanti, ma non per i nuovi residenti “cool”. Le identità si confondono, le comunità creative sostituiscono le generazioni precedenti. Chi è fuori dai nuovi canoni resta escluso. Da oggi su “i Diavoli” raccoglieremo questi mutamenti attraverso la narrazione dei processi che stanno cambiando le città europee. Iniziamo da Lipsia, la «nuova capitale della gentrification in Germania». Lipsia, «la nuova Berlino».
Lipsia è un funambolo in equilibrio. Sul filo che corrisponde a un trentennio, percorre la distanza che separa la fine della DDR dall’incoronazione a “nuova Berlino”. L’approdo che sta per raggiungere ha un volto florido e uno feroce.
Gentrification. Hype. Yuppies. Sono parole che si rincorrono sulla bocca delle persone e sui muri dei palazzi. Tutti qui sono consapevoli del cambiamento. A variare sono le reazioni. C’è chi protesta, chi festeggia, chi è rassegnato all’inevitabile. Gli affitti lievitano, la composizione sociale dei quartieri prende nuove forme. Gli esercizi commerciali si adeguano alla domanda e al tempo stesso la orientano.
Ancora una decina d’anni fa, Lipsia era una città desolata di un’area arretrata nel contesto tedesco. Una città svuotata dall’emigrazione a Ovest e dal suo scarso potere attrattivo, una città di appartamenti disabitati e negozi sfitti. Decaduta e umiliata, come l’imponente hotel Astoria davanti alla stazione, che ha perso una lettera del suo nome e si presenta come ATORIA.
Ma un processo si stava mettendo in moto, sotto traccia, e nel corso di questo decennio sono emersi i segni di uno stravolgimento. Nel 2009 una multinazionale come la Red Bull costituiva una società di calcio locale, la RB Leipzig. Nel 2010 il «New York Times» inseriva la città nella sua lista dei Places to Go. E, più simbolicamente, questo intero decennio ha l’impronta politica di una donna che a Lipsia ha fatto gli studi universitari, Angela Merkel.
Dopo il tramonto le strade di Lipsia sono buie, i lampioni pubblici offrono un’illuminazione debole e rossastra. Viene da pensare a un retaggio dell’epoca pre-unificazione, della Lipsia che ancora non era un funambolo sul filo teso. Le luci delle biciclette, così, sono lampi improvvisi.
Sulla Karl-Tauchnitz Straße, che circoscrive un lato del parco Clara Zetkin, si alza quello che era un albergo, con le finestre spaccate e le pareti coperte di spray a ogni piano. Più avanti, un rettangolo isolato con balconi minuscoli e gli appartamenti come celle di un alveare. Poi un paio di villini di pregio d’inizio Novecento abbandonati, mangiati dalle erbacce dei loro stessi giardini. Infine, di colpo, sulla stessa traiettoria, gli edifici curati e signorili di Beethoven Straße.
Lipsia è ancora tutto questo, su una linea di poche centinaia di metri.
Un’altra linea che taglia la città è l’Eisenbahnstrasse, l’asse di circa due chilometri in cui si concentra la popolazione non europea di Lipsia. Turchi, iracheni, vietnamiti, siriani. I supermercati più economici, i banchi di frutta e d’abbigliamento tra cui districarsi, i volantini che pubblicizzano un imbiss sul fronte e uno shanti bar sul retro.
L’Eisenbahnstrasse è un luogo evidentemente diverso dal resto di Lipsia. Per i ritmi più svelti, la maggiore socialità negli spazi esterni, i problemi di droga, le risse tra le comunità. La “strada peggiore della Germania”, la definiscono alcuni. Di sicuro è nel quadrante Est della città, quello rimasto indietro sul filo dell’evoluzione, dove pesano ancora la cattiva reputazione e lo spopolamento degli anni Novanta, che da questo lato ha colpito di più.
L’impressione è che per i quartieri orientali la gentrification potrebbe arrivare comunque in pochi anni, mentre l’etichetta sull’Eisenbahnstrasse la rende un fortino più ostico.
Non lontano verso sud c’è Reudnitz, che l’etichetta di quartiere malfamato se l’è tolta di dosso. Il rinnovamento qui è stato accelerato da un grande intervento pubblico, che al posto di una stazione ferroviaria abbandonata ha creato nel 2004 un’estesa area verde attrezzata, il Lene-Voigt Park, dove ora passeggiano giovani famiglie coi figli nei passeggini e il mate nella sporta, attratte dagli affitti bassi e dal nuovo volto del quartiere. I complessi delle ex fabbriche attorno sembrano una pittoresca cornice più che un recinto squallido.
Il parco intitolato a Clara Zetkin racconta come la toponomastica sia ancora legata alla Repubblica Democratica Tedesca. Le figure cruciali della Lega Spartachista hanno strade e piazze dedicate.
Il lungo viale che porta il nome di Karl Liebknecht viene confidenzialmente abbreviato in “KarLi”. Si trova nel Südvorstadt, dove appartamenti di lusso e ristoranti hanno dato l’assalto alla zona, col favore di un’architettura ordinata e rassicurante e della posizione appena a sud del centro.
Diversa la situazione a Connewitz, il quartiere confinante. Luogo ancora misto, dove convivono persone di tutte le età ed estrazioni, e dove gli affitti restano per ora accessibili. Connewitz dà la misura della precarietà di questo equilibrio sul filo: tutto si tiene insieme, ma tutto sta cambiando e mostra di non potersi tenere insieme.
La gentrification è sempre graduale e violenta. Si infila con discrezione apparente, poi domina. Esclude.
Ad ogni modo la resistenza organizzata al fenomeno si è portata avanti, a Connewitz, per esempio con episodi di lanci di vernice su palazzi appena ristrutturati, tecnica usata in tutto il mondo contro la speculazione sugli immobili. Per adesso i centri sociali nelle ex fabbriche sono accanto ai caffè eleganti e agli späti dove a tarda sera post-hippie bevono glühwein e squatters si affrettano a comprare birre.
Un funambolo che dallo status di città povera ex DDR arriva a quello di attraente centro nella Germania del nuovo Millennio. Una città dai prezzi accessibili, con tanto spazio a disposizione e una vivace scena artistica. A duecento chilometri da Berlino, al riparo dalla saturazione della capitale.
L’hype che avvolge la città ha fatto nascere la parola Hypezig. Continuano ad arrivare giovani e turisti alternativi, si insediano hub di multinazionali, aprono locali e negozi e si rinnovano quelli che già c’erano. Tutto gira bene, sembra. Addirittura la squadra di calcio locale, appena promossa dalla seconda serie, oggi è ai vertici della Bundesliga.
Due casi dove la gentrification è già in stato avanzato riguardano il quadrante Ovest.
Uno degli assi principali del quartiere di Lindenau, la Karl-Heine-Straße, ha vissuto una trasformazione fra le più marcate della città. In una manciata di anni, gli appartamenti sfitti sono stati affittati, gli esercizi commerciali vuoti si sono riempiti di enoteche, negozi di gastronomia italiana, caffetterie, supermercati bio. Il processo non è concluso, ancora ci sono intere palazzine occupate e studenti che possono permettersi di vivere da queste parti. Ma sembra incredibile che solo una decina d’anni fa, nella zona intorno alla piazza di Lindenauer Markt, quasi la metà degli abitanti vivesse di sussidi sociali.
Il quartiere occidentale adiacente, Plagwitz, già vede l’arrivo dell’ondata che modificherà la sua composizione. Fra i maggiori centri dell’industria tessile in Europa, finito in rovina dopo l’unificazione tedesca, oggi è tempestato di cantieri. Il suo emblema è l’ex cotonificio dello Spinnerei, che al grido di From Cotton to Culture ospita gallerie d’arte, biblioteche e ristoranti, dopo esser stato recuperato dal basso su iniziativa di giovani artisti.
I tram sono il mezzo pubblico più utilizzato, grazie a una rete capillare, ma hanno una frequenza scarsa e circolano ancora vecchi modelli accanto ai più nuovi. Un altro segno che il presente qui è solo una sospensione tra passato e futuro.
I tram portano in giro lo slogan voluto dall’azienda del trasporto pubblico: Wir sind Leipziger, Noi siamo di Lipsia. Anche il sindaco un paio d’anni fa, in un’intervista al «New York Times» spiegava: “Noi non siamo Berlino, siamo Lipsia”. Ribadire un’autonomia dell’identità sembra una strategia difensiva, più che una rivendicazione che gioca in attacco. La sensazione è che si vogliano evitare le conseguenze del boom che hanno scottato la Capitale, trovando stavolta un modo per governare la trasformazione. Il che è difficile, se non un improbabile vagheggiamento nella Germania al tempo della große koalition.
Resta la consapevolezza che il cambiamento è in atto, e che l’approdo del funambolo ha un volto florido e uno feroce.
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