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MONITOR


mar 2 maggio 2017

ESSERE XI JINPING NEL 2017

La soluzione cinese al problema nordcoreano, appoggiata dalla Russia, rimane sempre la riapertura del dialogo con Pyongyang e, per Xi Jinping, è solo una delle molteplici sfide che è chiamato ad affrontare in questo 2017. Partite interne complicate, ma propedeutiche all’affermazione del ruolo di “leader della globalizzazione” che è riuscito a ritagliarsi in quasi quattro anni di presidenza seguendo una chiara strategia binaria: consolidamento del potere all’interno, egemonia commerciale all’esterno.

Nelle ore in cui Donald Trump oltrepassava la soglia psicologica dei primi 100 giorni di governo e il Consiglio di sicurezza dell’Onu presieduto da Rex Tillerson si riuniva per discutere della minaccia nordcoreana, Kim Jong-un salutava l’interesse della comunità internazionale con l’ennesimo test missilistico, fallito.
Provocazione sguaiata o diplomazia pirotecnica che fosse, la dimostrazione di forza nordcoreana ha dato modo al presidente statunitense di rendere ancora più chiara quale sia la vera partita geopolitica dietro il dilemma nucleare di Pyongyang, salito stranamente in cima all’agenda della politica estera a stelle e strisce tra raid punitivi in Siria e bombe in Afghanistan.

Xi Jinping tra due leader

Su Twitter Donald Trump ha scritto: «La Corea del Nord, lanciando – e fallendo – un missile oggi, ha mancato di rispetto alle volontà della Cina e del suo rispettato presidente. Male!» Un messaggio velenoso che, platealmente, vuole addossare interamente a Xi Jinping la responsabilità delle continue intemperanze di Kim Jong-un, nel solco della nenia autoassolutoria secondo cui Pechino sarebbe il fratello maggiore di Pyongyang, colpevole di perdonare tutto al piccolo scavezzacollo nuclearizzato.
Xi Jinping, insomma, si trova in mezzo a due leader – andiamo di eufemismi – poco avvezzi all’arte diplomatica, con gli Stati Uniti che a giorni alterni minacciano ora di “fare da soli”, ora di “farsi aiutare dalla Cina”, senza però dare alcun segnale di distensione necessario ad aprire una vera trattativa col regime nordcoreano. E anzi, insistendo in provocazioni verbali, navali e missilistiche, con l’installazione del sistema antimissile Thaad in Corea del Sud, venduto a Seul come strumento di tutela dagli attacchi nordcoreani, ma considerato da Pechino un’ingerenza militare indebita in Asia Orientale.

Pechino e Pyongyang nell’era di Xi

La realtà dei rapporti tra Cina e Corea del Nord nell’era di Xi è decisamente più complessa e, in questi anni, ha mostrato segni di discontinuità importantissimi nella storia delle relazioni tra Pechino e Pyongyang.
Xi Jinping è stato il primo presidente cinese nella storia a criticare apertamente il regime di Pyongyang, a permettere che la stampa criticasse la dirigenza nordcoreana – come da alcune settimane sta facendo a scadenza giornaliera dalle pagine del Global Times, quotidiano cinese in lingua inglese, espressione dei “falchi” di Pechino – e ad allinearsi alla comunità internazionale accordando sanzioni economiche a Pyongyang: prima nel novembre del 2016 e ora, secondo quanto annunciato, pronto a riconfermarle qualora ne arrivassero di nuove.
Una dichiarazione d’intenti non irrilevante, considerando che l’interscambio nordcoreano con l’estero dipende al 90 per cento dall’economia cinese.
La soluzione cinese al problema nordcoreano, appoggiata dalla Russia, rimane sempre la riapertura del dialogo con Pyongyang e, per Xi Jinping, è solo una delle molteplici sfide che è chiamato ad affrontare in questo 2017. Partite interne complicate, ma propedeutiche all’affermazione del ruolo di “leader della globalizzazione” che è riuscito a ritagliarsi in quasi quattro anni di presidenza seguendo una chiara strategia binaria: consolidamento del potere all’interno, egemonia commerciale all’esterno.
Il secondo aspetto, esemplificato dall’ambizione della Nuova Via della Seta, non può realizzarsi senza la soluzione dei problemi del primo: un’attività che Xi Jinping ha intrapreso con una determinazione straordinaria.
Dal punto di vista politico, la campagna anticorruzione indetta da Xi si è abbattuta con violenza su centinaia di funzionari, falcidiando le fila dei gruppi di potere invisi al presidente; stesso discorso per l’esercito, alle prese con una riforma voluta da Xi sempre nel nome dell’anticorruzione e dello snellimento dell’apparato decisionale, che accentrerebbe il potere militare nelle mani del presidente “commander in chief”.

Il rigore industriale

Dal punto di vista economico, Xi Jinping ha inaugurato una nuova stagione del rigore industriale, annunciando che d’ora in avanti le cosiddette “zombie companies” – le aziende di stato in perenne perdita, tenute in vita da iniezioni di capitali direttamente dalle casse di Pechino – saranno lasciate al loro destino: deciderà il mercato, dunque.
Un tris di misure che, se da una parte ha magnificato l’immagine di Xi Jinping leader potente e risoluto “come Mao”, dall’altra ha ingrossato le fila dei nemici interni che adesso, a pochi mesi dal diciannovesimo congresso del Partito comunista cinese previsto per il prossimo autunno, pare stiano preparandosi al contrattacco.
Persone come Guo Wengui, miliardario residente negli Usa dal 2015, già nel mirino della campagna anticorruzione di Xi, che recentemente attraverso i social media e in diverse interviste a media statunitensi ha annunciato rivelazioni scottanti circa gli affari illeciti di Wang Qishan. Wang, alleato di ferro di Xi Jinping, a capo dell’anticorruzione cinese e – secondo le previsioni – predestinato numero due dell’amministrazione, secondo Guo sarebbe stato messo sotto indagine proprio per sospetti di attività economiche illecite compiute da alcuni famigliari. Accuse che, se comprovate, rischiano di far crollare rovinosamente tutto l’impianto di leader intransigente su cui Xi Jinping ha costruito la propria azione politica in questi anni.

Compiti per i prossimi mesi

Ricapitolando, nei prossimi mesi Xi sarà chiamato a regolare i conti interni: politici e militari; gestire la transizione economica cinese con un debito nazionale mastodontico – intorno al 42 per cento del Pil, dati di ottobre 2016  –; promuovere la Nuova Via della Seta e consolidare il ruolo di “portabandiera della globalizzazione”; mediare tra Usa e Corea del Nord nel tentativo di riaprire un tavolo delle trattative; difendere il primato cinese in Asia orientale dall’avanzata di Stati Uniti e alleati. Essere Xi Jinping, nel 2017.

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