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VISIONI


sab 12 agosto 2017

ESSERE KIM JONG-UN

Sono Kim Jong-un, guida suprema della Repubblica Popolare Democratica di Corea, presidente del Partito del Lavoro di Corea e presidente della Commissione per gli affari di Stato, presidente della Commissione militare centrale e comandante supremo dell’Armata del popolo coreano. Mi credete pazzo, invece i pazzi siete voi.

La Liebefeld Steinhölzli Schule? Sì, ci sono stato due anni. Due anni a sguazzare in quella specie di struttura semi monacale, che vorrebbe essere un collegio di élite. Cercate le foto: un edificio di cemento grigio, senza neanche un terrazzino e quelle strisce gialle tra un piano e l’altro. Una cosa triste, svizzera, decadente, europea.
Mi facevo chiamare Pak Un. C’è pure qualche immagine che mi ritrae al tempo, l’ho vista su Google. A un mio amico avevo detto: «Io sono il figlio del boss della Corea del Nord». Quel coglione non ci aveva creduto.
Qualche tempo dopo, però, ho notato che la madre mi guardava con attenzione, scrutava i miei lineamenti, soprattutto la testa. Quella maledetta più avanti avrebbe dichiarato al New York Times che aveva capito subito la somiglianza. Certo. Se ti avessi chiesto di indicare la Corea del Nord sulla mappa forse l’avresti messa vicino a Vienna. Tedeschi di merda.

In quella specie di college studiavo scienze naturali, mi piacevano gli insetti: soprattutto i vermi. Ho incontrato molti ragazzi, svizzeri e stranieri, ragazze bellissime e sfigati senza speranza. Mi sarebbe piaciuto fermarmi di più, studiare anche musica, tecnologia. Zero contatti con casa, zero contatti con quel bastardo di papà, zero contatti con mia madre.

Qualche professore ogni tanto tirava fuori la storia della carestia nel “regno eremita”. Lo chiamavano proprio così: “regno eremita”. E dire che io, prima di partire, dovevo assistere di continuo a estenuanti cerimoniali: ora con un cinese, ora con un vietnamita, ora con un cubano. A volte arrivavano pure degli italiani.
Ma quale regno eremita? Mio padre faceva arrivare roba dappertutto e mi spiegava che le nostre navi attraccavano in ogni porto del pianeta. Quale eremita? Eravamo già globali. È che ci avete sempre creduto pazzi, mentre i pazzi siete voi.
Ma torniamo in Svizzera e alla carestia in Corea. Era il 1998: la marcia maledetta, ardua, micidiale. Morti, piccoli mercati che crescevano e papà sempre più affondato sui divani, sempre più indaffarato nella città sotterranea a rapire registi, attrici per fondare la nouvelle vague della dinastia dei Kim. A casa mia si stava bene, credo. Così dopo due anni di buone maniere e invidia (erano invidiosi delle mie scarpe, quegli straccioni) sono tornato a Pyongyang.

Bisogna capire che significa essere il terzo di sette figli di uno degli uomini più potenti del mondo. Certe cose bisogna guadagnarsele, non si può rimanere in Svizzera a guardare il basket, a comprarsi le Nike e a discettare di Mozart.
Bisogna mostrare di avere carattere, bisogna mostrare di saperci fare, bisogna mostrare di saper chiudere certe bocche, cancellare dicerie e chiacchiere.
Relegarle nel dimenticatoio: azzerarle. Poi, una volta al potere, puoi fregartene tranquillamente. Anzi: più voci girano, più illazioni, più leggende clamorose, meglio se trucide, schifose, unte di sangue e materiale cerebrale, meglio è.
Sono Kim Jong-un, guida suprema della Repubblica Popolare Democratica di Corea, presidente del Partito del Lavoro di Corea e presidente della Commissione per gli affari di Stato, presidente della Commissione militare centrale e comandante supremo dell’Armata del popolo coreano.
Mi credete pazzo, invece non lo sono. I pazzi siete voi. Prendiamo Trump: ma che vuole, scusate? Lui non sta seduto su un immenso arsenale nucleare? Una volta qui sono venuti dei cinesi. Lo ammetto: non li sopporto. Quei pochi che ho conosciuto mi stavano già sul cazzo a Berna. Si credono i padroni della Terra, si credono onnipotenti, credono di mettersi in tasca gli americani e soprattutto credono di potermi comandare. E negozia di qua, e media di là, e rispetta questo e rispetta quell’altro. Si sono offesi perché ho fatto fuori uno del partito che gli passava informazioni. La storia dei cani, non ditemi che non ve la ricordate, non ci credo. Ecco, se la sono inventata loro, i cinesi, mica i media occidentali. Ma io certe faccende le sistemo in modo molto semplice: un colpo alla nuca nel chiuso di una stanza, e via. Non sono per sfoggiare le esecuzioni. È meglio che s’immaginino qualcosa di truce, violento, sgradito, impietoso, terribile. Devono pensare che io non abbia pietà, perché i pazzi hanno paura della violenza.

Dicono che mi piaccia fumare forte e che mi piaccia il formaggio: cazzate. Adoro il kimchi e la carne dolce.
Sono coreano, sono il capo dei coreani, perché sono il più coreano di tutti. Credo che mio nonno fosse divino, credo che papà mi abbia dato un unico grande consiglio: riguardava l’atomica.
Poi mi sono informato, ho convocato esperti internazionali. Non lo sa nessuno, ma sono venuti a mangiare verdura ghiacciata e a bere birrette che ho solo io. Ad alcuni ho regalato un po’ di banconote che produciamo noi e tutti mi hanno dato lo stesso consiglio: «Amico, l’atomica è la tua unica salvezza». Dicono anche che non si sa quando sono nato. Sì, non lo so. Papà era un puttaniere incontenibile, mia madre era esaurita e i tanti lecchini del regno dicevano: «Vabbè è il terzo figlio, chi se ne frega». E invece…

Stavamo parlando di questi cinesi che sono venuti qua: ho minacciato di arrestarli, li ho minacciati di pene capitali o, quanto meno, di un ritorno a Pechino su un letto, in coma. Non possono permettersi di darmi ordini. Loro lo sanno bene: senza di me metà dell’esercito sbroccherebbe, metà del partito impazzirebbe, metà dei loro s’incazzerebbe. Sì sì, certo. «Quel culo pesante fa le bizze» pensano, «ma mica vogliamo i sudcoreani accanto ai nostri confini». La Cina si ritroverebbe le basi americane vicino a quei luridi posti di frontiera, luoghi di mezzosangue, cinesi, russi e quel cromosoma sifilitico centro-asiatico che m’incute sempre una sorta di terrore biologico.
Ma io posso anche fottermene, posso tranquillamente far finta di niente. A me interessa Pyongyang, m’interessa la Corea del Nord, mi interessano gli sfarzi, il cinema, la musica. Il pazzo non sono io, siete voi.
Americani, lo sapete perché non mi bombarderete mai? Perché se io continuo a rompere i coglioni, voi potete continuare a mettere i vostri carrarmatini in Corea del Sud. Poi da lì, in altre zone e in altre ancora. E la Cina? Si attacca al cazzo, è chiaro il concetto. Se mi faccio la mia atomica, è perché non voglio finire come quell’imbecille di Gheddafi. Io sono coreano, io sono asiatico, io non credo agli occidentali. Io voglio il mio potere, io voglio i miei agi, io voglio che mia figlia possa essere la mia erede. Dicono che abbia un altro figlio. Certo, ne ho moltissimi, nascosti.
Questa storia di Guam è stata geniale, o no? Ora blaterate tutti di un posto che manco sapevate esistesse.
Anche farmi fotografare mentre rido: ci avete beccato o no? Ci siete cascati. Tutto questo l’ho imparato da un piccolo cinese, l’unico che ammiro e che ancora oggi riverisco nelle mie preghiere di fronte al monte dove nacque mio nonno: fatti sottovalutare e avrai un vantaggio enorme. Riempi i tuoi nemici di informazioni inutili e nascondi il resto.

Avete capito? La verità è che voi ignorate tutto di me. Lo sapete che ho una laurea in fisica?

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