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mer 20 aprile 2016

TRUMP STRAVINCE E ORA I REPUBBLICANI TREMANO

New York mette la parola fine alla corsa di Sanders e rilancia il magnate verso la nomination alle presidenziali

20 APRILE 2016 – Il risultato delle primarie di questa notte può essere riassunto in questa frase: una corsa si conclude e l’altra si riapre, senza che sia ben chiaro quale possa essere il risultato finale.
Sul fronte repubblicano, la netta vittoria di Donald Trump (circa il 60% dei voti) permette al magnate newyorchese di ottenere 90 su 95 delegati oggi in palio, azzerando così, in una sola sera, tutti i delegati recuperati nelle ultime settimane dal suo principale rivale, il senatore del Texas, Ted Cruz. Questa prova di forza mette prepotentemente Trump di nuovo in pista per raggiungere quota 1.237 delegati, quelli necessari per ottenere la vittoria alla Convention al primo voto ed evitare quella che in gergo verrebbe definita “brokered Convention”, vale a dire una Convention contestata con più voti. Senza entrare troppo nel dettaglio, per Trump è vitale ottenere la nomination al primo voto in quanto le regole di vincolo dei delegati cambiano a partire dalla seconda votazione in poi: molti delegati che in prima istanza sarebbero obbligati a votare per Trump, dunque, potranno liberamente cambiare idea in seguito – e molto probabilmente lo faranno, a suo danno. Ma come riuscirà Trump ad arrivare alla magica soglia di 1.237 delegati? Secondo il modello utilizzato dal sito FiveThirtyEight1, a seguito dei risultati di questa notte, Trump dovrebbe arrivare a quota 1.191 delegati, vale a dire 46 delegati in meno della maggioranza assoluta.
Ad oggi, dunque, per Donald Trump ci sono solo due possibilità: ottenere risultati migliori del previsto negli Stati in cui si deve ancora votare (in particolare in Indiana a maggio e California a giugno, che a questo punto sono gli Stati che assegnano più delegati); oppure cercare di trovare un accordo con quei pochi delegati non sottoposti a vincolo che saranno eletti alla Convention di Cleveland, in modo tale da chiudere comunque la partita alla prima votazione. Dalla sua il miliardario ha l’opinione degli elettori repubblicani i quali – anche i più scettici – pensano in netta maggioranza che Trump debba ottenere la nomination repubblicana nel caso in cui arrivi alla Convention con il numero più alto di delegati – cosa praticamente certa – anche in assenza di una maggioranza assoluta. Contro, però, ha l’estabilishment del partito, di cui i delegati sono per buona parte espressione. Resta quindi la domanda: come si comporterà il GOP nel caso in cui Trump arrivi vicinissimo alla soglia della vittoria, ma senza “sfondare”? Cercherà un accordo o andrà allo scontro finale alla Convention? La risposta, qualunque essa sia, potrebbe segnare le sorti del Partito Repubblicano non solo per quanto riguarda le elezioni di novembre, ma anche per gli anni a venire.
Per quanto riguarda i democratici, la vittoria di Hillary Clintona New York era attesa e pone la parola fine alla candidatura del senatore del Vermont, Bernie Sanders, che ha avuto alti e bassi, ma che ha rappresentato comunque una grande novità politica nel corso di queste primarie. Lo scontro tra due candidati a loro modo rivoluzionari – la prima possibile presidente donna degli Stati Uniti vs il primo candidato presidente americano ad auto-definirsi “socialista democratico” – si conclude con la vittoria dell’ex segretario di Stato, che ha avuto dalla sua l’appoggio dell’estabilishment e quello determinante delle minoranze etniche (soprattutto dei neri, che vedono in lei la continuazione delle politiche del loro idolo, il presidente in carica Barack Obama). Le chance di Sanders erano già al minimo prima di ieri sera, ma la sua candidatura era sopravvissuta già a precedenti dichiarazioni di morte mediatica a cominciare dai Caucus in Iowa di inizio febbraio, quando tutti pensavano che sarebbe stata la principale sfidante a vincere e invece il senatore è riuscito a pareggiare all’ultimo minuto. Stesso copione dopo il Supermartedì, quando una eventuale sconfitta in Michigan – Stato nel quale era dato 20 punti sotto nei sondaggi – avrebbe decretato per lui la fine dei giochi; e ancora dopo il 15 marzo, quando il 5-0 di Hillary Clinton aveva ormai ridotto le sue chance al lumicino, ma Sanders ha invece saputo riprendersi e vincere otto Stati su nove. Stavolta, tuttavia, la questione sembra definitivamente chiusa e per un semplice motivo: l’assegnazione proporzionale dei delegati senza alcuno Stato ‘winner take all’ che – a differenza di quanto avviene per i repubblicani – impedisce a Sanders di sperare in singoli miracoli. A seguito del risultato di questa sera, infatti, secondo le analisi del New York Times2, il senatore dovrebbe ottenere in media almeno il 58% dei voti in tutte le prossime votazioni, per sperare di raggiungere lo stesso numero di delegati vincolati della Clinton, partendo dai -241 di ieri.
Si tratta di un’impresa a dir poco titanica se si considera che la Clinton è attualmente in vantaggio nei sondaggi (ed in alcuni casi a doppia cifra) per le primarie della settimana prossima in Connecticut3, Maryland4 e Pennsylvania5 e persino in quelle importantissime in California6 – lo Stato che assegna di gran lunga il maggior numero di delegati in palio – previste per inizio giugno. E’ per questo motivo che, a ragione, lo staff della Clinton ha dichiarato che la partita è chiusa e che la palla resta nelle mani di Bernie Sanders, che ora dovrà decidere cosa fare. Andare avanti sino all’ultimo per ottenere il maggior numero di delegati possibili e dare battaglia alla Convention sulla piattaforma programmatica e possibilmente sulla vicepresidenza, oppure lasciare il campo in nome dell’unità del Partito di fronte al pericolo di una vittoria repubblicana a novembre? La scelta per Sanders, che ha definito più volte la sua campagna elettorale come una “rivoluzione politica” che prescinde dalla sua discesa in campo per la presidenza, non è di quelle più facili. Ma sapere gestire un momento così delicato è proprio ciò di cui c’è bisogno per evitare che il patrimonio di voti e di idee portate avanti dalla sua campagna elettorale vada disperso, mettendo potenzialmente a rischio anche la vittoria democratica alla presidenza degli USA. Su una cosa, comunque, ci sentiamo di concordare con il senatore del Vermont: ora che la Clinton ha praticamente ottenuto la nomination, non dovrà dare per scontato il supporto degli elettori democratici e soprattutto indipendenti che hanno votato per Sanders. Starà a lei – nei fatti e non solo nelle parole – dimostrare di essere in grado di unificare il Partito e portarlo alla vittoria alle urne, come ha fatto Obama otto anni fa.
1 Link: http://projects.fivethirtyeight.com/election-2016/can-you-get-trump-to-1237/ 2 Link: http://www.nytimes.com/interactive/2016/03/30/upshot/trump-clinton-delegate-calculator.html 3 Link: http://projects.fivethirtyeight.com/election-2016/primary-forecast/connecticut-democratic/ 4 Link: http://projects.fivethirtyeight.com/election-2016/primary-forecast/maryland-democratic/ 5 Link: http://projects.fivethirtyeight.com/election-2016/primary-forecast/pennsylvania-democratic/ 6 Link: http://projects.fivethirtyeight.com/election-2016/primary-forecast/california-democratic/

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