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gio 26 maggio 2016

E-MAIL GATE E CYBER SICUREZZA

Essere un hacktivist significa stare dentro a un quadrilatero. Significa entrare nell’indirizzo mail di una leggenda, e considerarla nient’altro che un nemico. Perché collaborare con le guardie informatiche è quello che fanno i nemici. Lavorare a un algoritmo per generare la paura sui mercati, può farlo solo un nemico. Essere un hacktivist significa sapere, per esempio, che Villa Mandelli lavora a un potente strumento di condizionamento: un programma che non preveda soltanto i comportamenti, bensì che generi il terrore sui mercati attraverso precise sequenze di azioni. Perché chi terrorizza detiene il vero potere. – Macchine e finanza, I Diavoli
26 MAGGIO 2016 – A pochi giorni dalle primarie della California e a due mesi dalla Convention democratica che designerà il candidato alla successione di Barak Obama, Hillary Clinton è di nuovo nell’occhio del ciclone, questa volta a causa del cosiddetto “E-mail Gate”: l’ex first lady è accusata di aver trasferito migliaia di mail “ufficiali” nel suo server privato.
Il Dipartimento di Stato, che ha condotto l’indagine, ha trasmesso nei giorni scorsi al Congresso gli esiti dell’inchiesta lanciando un duro atto d’accusa contro la Clinton e contro il ministero degli Esteri americano che si sarebbe mosso con “sospetta lentezza” nonostante la gravità delle circostanze richiedesse provvedimenti urgenti al fine di mettere in salvo “informazioni rilevanti per la sicurezza nazionale”. I fatti risalgono al periodo in cui la Clinton ricopriva il ruolo di Segretario di Stato e, secondo l’accusa, in gioco ci sarebbero gravi violazioni delle regole sulla cyber sicurezza.
Il verdetto (non vincolante) emesso dall’Ispettore generale del Dipartimento di Stato USA, potrebbe rappresentare un ostacolo nella corsa alla candidatura della Clinton alla presidenza, anche se le indagini hanno ravvisato che pure i suoi cinque predecessori, appartenenti ad entrambi gli schieramenti politici, si sono resi responsabili di mancanze simili. Il quadro generale, descritto in un rapporto di 78 pagine, parla infatti di “debolezza protratta e sistemica” nella gestione delle comunicazioni all’interno dell’intero ministero.
Ma sulla Clinton pesa anche un’ulteriore critica: a differenza dei suoi colleghi, la candidata alla poltrona presidenziale non avrebbe attuato le giuste misure nemmeno dopo essere stata avvisata, già nel 2010, che il suo sistema di archiviazione era insicuro. E secondo l’accusa, se sbagliare è umano, perseverare è diabolico.
L’unica cosa certa, ad oggi, è che lo scandalo rischia di rimandare ancora una volta gli esiti delle primarie democratiche: forte delle debolezze della diretta sfidante, Barnie Sanders si ostina a restare in gara suscitando forti irritazioni all’interno del suo stesso partito. Il senatore del Vermont non esclude di poter battere la Clinton in California e rimettere così in discussione la sua nomination. Ma secondo l’economista Paul Krugman, in un’intervento ripreso dal Sole24Ore, “lo «scandalo» delle email di Hillary Clinton va avanti, e ancora nulla sembra indicare che abbia violato qualche regola quando era segretario di Stato, né che abbia inviato o ricevuto niente che avesse l’etichetta di «segretato»: però potrebbe aver ricevuto, e perfino inoltrato, documenti successivamente segretati, o che «avrebbero dovuto» esserlo. Secondo i normali parametri di un essere umano siamo di fronte a una montagna di aria fritta, ma in questo caso si applicano le Clinton rules, per cui si dà per scontato che ci sia del dolo: se c’è fumo, significa che c’è pure arrosto, anche se tutti sanno che il fumo è opera dei soliti sospetti”.
Leggi anche QUANDO “AARON SWARTZ” FACEVA TREMARE IL MONDO È per te che sono qui. Per vedere da vicino l’espressione di una leggenda, il volto di un eretico, di un martire, di un folk hero. Il volto di quando eri il prodigio adolescente che si univa ad altri per dare vita a Creative commons e promuovere la libera condivisione dei saperi. SARAO, LA STORIA DEL TRADER CHE MISE IN GINOCCHIO WALL STREET Sono le 14:42 del 6 maggio 2010. In poco più di cinque minuti 750 miliardi di euro scompaiono dai mercati finanziari. E appare il panico.

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