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MONITOR


lun 8 gennaio 2018

IL DROIDE SENZA SPIGOLI

Il 2017 si è concluso con la più grande ingiustizia cinematografica degli ultimi quarant’anni: la sovrapposizione – e quindi – l’epurazione di uno dei personaggi più iconici della storia del grande schermo. Il droide R2D2, noto ai più accorati fan italiani della saga come C1P8, è stato soppiantato da una sua copia deforme e sintomatica dei tempi che corrono: senza spigoli.

Il 2017 si è concluso con la più grande ingiustizia cinematografica degli ultimi quarant’anni: la sovrapposizione – e quindi, de facto – l’epurazione di uno dei personaggi più iconici della storia del grande schermo, ovvero il furto di identità ai danni del geniale e battagliero droide R2D2, noto ai fan italiani degli anni ‘80 come C1P8.
Nell’ultimo episodio della fortunata saga diretto da Rian Johnson, Star Wars – Gli ultimi Jedi, si è assistito infatti al definitivo travaso delle caratteristiche psicologiche – e della stessa “voce” – di R2D2 sullo scialbo clone rotondo, denominato BB8 e veicolante un discutibile rapporto di complementarità e supplenza rispetto al suo predecessore.
Mentre il cinguettante robottino di proprietà del comandante Poe Dameron ruba scena e battute a R2d2, ostentando una cifra che è la medesima ma viziata da una ridondanza che lo depriva di ogni sfaccettatura genuinamente empatica, C1P8, uno dei “comprimari” più riusciti e risolutivi di tutte le saghe cinematografiche, viene ingenerosamente relegato in cantina, ammantato da un’aura museale e stantia, e spunta soltanto per pochi e struggenti attimi, impolverato e decadente, sull’isola scelta come esilio volontario da Luke Skywalker.
In questo senso l’operazione degli sceneggiatori non è riducibile a un mero passaggio di testimone, alla designazione di una figura che sappia traghettare il nuovo.
Presenta, invece, delle sottili e tendenziose misure da poter leggere alla stregua di un vero e proprio oltraggio per alcuni fan e, in generale, di una svolta sintomatica nei significanti della rappresentazione.

I due droidi – C1P8 e BB8 –, pressoché identici nella forma mentis, risultano decisamente difformi dal punto di vista fisionomico.
BB8 è rotondo come la di Giotto, una forma rassicurante e priva di asperità. Il nuovo droide è scevro di spigoli: pertanto non può mai cadere, né tantomeno rialzarsi.
Elemento che, ben lungi da una cavillosità del discorso, determina un vero e proprio scarto rispetto alla metafora di resistenza e ribellione contro lo status quo, personificate invece nel vecchio droide, non a caso il più amato del cinema per quella sua capacità di sintetizzare il tragicomico, non eludere le contraddizioni della vita, che è una battaglia.

Attraverso il suo corpo levigato e cerchiato d’arancio, al contrario, BB8 rotola verso radiose e rassicuranti avventure, e la sua consolatoria sfericità viene ancora più amplificata nell’animo del servo che – stavolta, e qui c’è anche la variazione narrativa – esegue gli ordini senza nemmeno sognarsi di prendere iniziative personali e solitarie.

Continuamente imbeccato dal suo padrone, il personaggio di BB8 si atteggia, rimbalza, parlotta e, cercando di rubare l’anima dell’altro, perde irrimediabilmente la propria, anzi: la riduce a quella di un piccolo automa-soldato, sgretolando tutta l’autodeterminazione che C1P8 aveva saputo conquistare nel corso degli antecedenti sei episodi.
BB8 non prevede fragilità né rischi e, quindi, non può risultare davvero ribelle, come lo schieramento in cui milita.
Non si assume la responsabilità della scelta e non ha un compagno cui dialettizzare, confrontare i suoi cibernetici pensieri. Non presenta mai cortocircuiti sistemici, non devia mai, davvero, dalla norma vigente.

E nonostante queste differenze sostanziali, la sceneggiatura forza perché il droide tondeggiante soppianti, in tutto e per tutto, il decadente C1P8, accantonato in un contesto per cui sarebbe calzante coniare il termine: “museabondo”. Nauseante, cioè, per il delitto mortificare un personaggio, volendolo convertire da testimone chiave di una saga a oggetto museale e incancrenito, ormai incapace di interagire con l’ambiente fantastico in cui ha avuto i suoi natali, minato, direbbe il celebre filosofo Hans-Georg Gadamer, nella sua ontologia, nella sua essenza artistica.

Al vecchio combattente C1P8, all’irascibile droide di un tempo che si opponeva persino al venerando maestro Yoda, non resta che la via della malinconia, nei pochissimi fotogrammi a lui dedicati in cui, cocciutamente, continua a proiettare l’antico ologramma di tanti episodi fa, quello contenente la richiesta d’aiuto della giovane principessa Leia rivolta a Obi Wan Kenobi.

Per le restanti parti del film C1P8 è un personaggio statico, senza più nemmeno la forza di muoversi, un amaro destino risparmiato allo Wookie Chewbecca che, invece, troneggia ancora sulla scena, nonostante la sua appartenenza alle vecchie glorie.
Nemmeno nel finale c’è la pietas riservata agli eroi per C1P8.
Viene privato persino della consolazione di essere riunito al suo compagno di sempre C-3PO, il droide antropomorfo e luccicante che, in sua assenza, perde tutto il comicissimo smalto dell’ansioso burocrate, per cui era divenuto popolare.

In questa operazione che scientemente precipita C1P8 nell’oblio, con conseguente flessione dei gadget che lo riguardano, c’è forse la misura di questi tempi bui, in cui il restyling liberista di un’icona rischia di passare inosservato persino ai fan più accorati.
Eppure il dado è tratto, nell’epoca della clonazione e della riproducibilità la continuazione della space-opera di Star Wars da una parte conquista elementi cruciali – quali il protagonismo femminile – dall’altra si piega alle ragioni del botteghino senza colpo ferire e in maniera singolare rispetto alla storia registica della saga, fiaccando, appunto, un’icona come quella di C1P8.
Il droide viene sostituito da una sua copia deforme, da un uncle dolan per usare il gergo della Rete, un personaggio privo di spigoli il cui essere tondeggiante – di pari passo alla ridefinizione del suo ruolo – restituisce una ciclicità consolatoria, epurata dai concetti di caduta e rovescio, contraddittoriamente slacciata dal precetto la cui eco, invece, risuona in questo ultimo film: «fallimento, il più grande degli insegnamenti esso è».

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